Il cibo (ri)diventa naturale. Tutto vero ciò che è verde?

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A gennaio 2015, McDonald’s sostituisce l’amministratore delegato, colpevole di aver assistito inerme a un costante calo delle vendite che durava da nove trimestri. Kellogg’s se la passa un tantino meglio, ma anche questo colosso subisce da sette trimestri una sensibile diminuzione delle vendite. Gli utili della della Kraft si sono ridotti del 62 per cento nel corso dell’ultimo anno e Coca-Cola ha avviato un piano per risparmiare 3,3 miliardi di euro nei prossimi cinque anni.

Sullo scorso numero di Internazionale Martín Caparrós annuncia: «Oggi niente vende di più di un prodotto definito sano e prodotto in condizione eque per i lavoratori». Siamo all’alba di un nuovo giorno? Non possiamo certo negare una certa soddisfazione e anche compiacimento: sempre più persone scelgono cibo buono, pulito e giusto! E sempre più consumatori diventano co produttori, attenti a ciò che finisce nel loro piatto, preoccupati non solo della propria salute, ma anche di quella del pianeta e delle condizioni di chi quel cibo l’ha prodotto. Il risultato? Costrette dalla virata nei consumi, le grandi aziende si rifanno il trucco: eliminano coloranti e conservanti, evitano le sostanze potenzialmente dannose, riducono la quantità di grassi e zuccheri aggiunti, aprono linee integrali e biologiche.

Ma sarà tutto oro quello che luccica? Ad adeguarsi ai nuovi gusti alimentari, non è solo la produzione. A guidare le truppe (che ve lo diciamo a fare…) ci sono marketing e comunicazione del brand. E come per magia ora si sente parlare solo di salute e genuinità dei prodotti, provenienza certificata e sostenibilità della produzione. Il cibo diventa (ritorna?) naturale, privo di coloranti, conservanti o sostanze chimiche e prodotto nel rispetto di ambiente e lavoratori. Come nonna l’ha fatto.

Ma le etichette confermano quello che gli spot sostengono? O ancora, le informazioni che abbiamo sono sufficienti per determinare l’affidabilità di un cibo? Oppure oltre alla lista di ingredienti ci piacerebbe anche scoprire (ad esempio) il metodo di produzione? L’etichetta non potrebbe raccontarci una storia? 

Nell’euforia del momento, non facciamoci prendere per il naso: leggiamo gli ingredienti, capiamo di che cosa si sta parlando e non fidiamoci troppo della regola del risparmio. Non ci stanchiamo di ripetere (e ora i dati ci danno ragione) che le scelte fatte a tavola sono scelte politiche e si diventa cittadini attivi anche solo facendo la spesa. Il nostro portafoglio è uno strumento potente: scegliere un prodotto significa supportare un’idea, il lavoro di molti produttori, un’intera comunità.

Come fare dunque? Prima di tutto, siamo curiosi, informiamoci, per quanto possibile scegliamo prodotti locali, premiamo le aziende virtuose, conosciamo meglio il nostro quartiere: frequentiamo il mercatino rionale e le varie botteghe. Tutte ottime abitudini che permettono di mettere in atto strategie che, piano piano, possono cambiare il mondo, per davvero. E finalmente si inizia a vederne i frutti!

Qualche consiglio in più? Le guide al cibo quotidiano di Slow Foodle trovi tutte (gratis) qui! 

Sara Zavagno e Michela Marchi da Slowfood.it

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