Il caldo le uccise: media, stereotipi e il femminicidio che non c'è

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Tre foto di donne, uccise rispettivamente a coltellate, martellate e forbiciate da ex mariti, ex fidanzati o familiari. Sotto il titolone: “Caldo criminale”. Ecco la recente copertina di un noto settimanale italiano di cronaca nera e gossip. Che stavolta, per spiegare i moventi delle sempre più numerose storie di uomini che uccidono le donne, ha dato la colpa al caldo. Un salto di qualità rispetto ai soliti raptus, agli attacchi di follia o alla cieca gelosia, che sono tra i più gettonati dai nostri media quando si occupano di questo tipo di notizie.

Nel darle, ci sono poi delle differenze: o, come abbiamo visto, si gioca sul “delitto passionale”, sul sangue che ribolle sotto la calura estiva, oppure si ingigantisce la notizia se a commettere questi crimini sono stranieri, rom, immigrati africani o dell'est. Dimenticando o, peggio, facendo dimenticare che il più delle volte il “mostro” è vicino a noi, nascosto dentro le quattro mura della nostra casa: è il marito, il compagno, o l'ex incapace di capire che la storia è finita; è l'amico, il vicino che va fuori di testa perchè qualcosa con lei non è andata secondo i suoi piani; è soprattutto l'uomo, di qualunque estrazione sociale, che non sopporta di non poter più disporre della donna come “oggetto proprio”, o valvola di sfogo da sfruttare a piacimento. La “colpa” delle donne in tutto questo? Quella di essere fuoriuscite dal ruolo che tutt'oggi la società (sì, anche la nostra) spesso impone loro: mogli e madri pazienti, fedeli e premurose, o al contrario sensuali tentatrici, donne facili e scostumate, quelle insomma che “se la cercano” e dalle quali un rifiuto non è nemmeno ipotizzabile.

Si comprende così come l'atto criminale definitivo, oltre che squisitamente nostrano, non è più frutto di un momento, di un “raptus” di follia, ma di una vita intera che si alimenta di atteggiamenti discriminatori ben radicati, di violenze psicologiche e vessazioni continue, in una cultura patriarcale e maschilista che ancora ci riguarda molto da vicino.

In merito a questo, la società civile, le associazioni di donne e perfino le istituzioni internazionali non hanno dubbi. “Si chiama femminicidio – affermano le donne del blog collettivo 'Femminismo a sud', da sempre impegnate nella questione – per l’Onu è un crimine di Stato, a commetterlo è un uomo, un uomo che uccide: strangolando, martellando, dando fuoco, facendo a pezzi, precipitando da un balcone, una donna”. Espresso dall'antropologa e parlamentare messicana Marcela Lagarde, femminicidio sta a indicare la matrice comune di ogni forma di violenza di genere, che annulla la donna non solo nella sua dimensione fisica, ma anche in quella psicologica e sociale. Più generale, invece, la definizione di “femmicidio”, che descrive l'uccisione compiuta da un uomo con movente di genere, ovvero della donna in quanto tale. Entrambi sono in ogni caso inesistenti nel vocabolario dell'informazione italiana.

Eppure per le associazioni e le attiviste che si occupano di discriminazione di genere, parlare di delitti “passionali” è il più delle volte fuorviante: quasi che l'uomo sia stato spinto alla violenza e all'assassinio dal troppo amore, crollato nella sua fragilità di uomo lasciato o tradito, e che per questo non ci ha visto più. Certo, che indicare il movente sia essenziale per capire un fatto di cronaca lo capiscono anche loro. Ma quello che alle associazioni non va giù è che così, oltre a percepire una certa “attenuazione” delle responsabilità, il lettore perde di vista il problema fondamentale: ovvero che si tratta di femmicidi e femminicidi, e che come tali bisognerebbe trattarli, sia a livello mediatico, ma anche giuridico e culturale.

Molti non sanno, infatti, che proprio nella nostra “civilissima” Italia questi omicidi di genere stanno diventando una vera piaga sociale, tanto da destare l'allarme dell'Onu e del comitato Cedaw (Convenzione per l’eliminazione di tutte le discriminazioni contro le donne), che quest'anno hanno presentato un rapporto proprio sul nostro Paese e dato indicazioni molto severe all'Italia su come affrontare la questione. Secondo il rapporto Cedaw, in Italia solo nel 2010 le donne uccise in quanto donne sono state 127, il 6,7% in più rispetto all’anno precedente. Nel 2011 sono state 120, e il trend pare destinato ad aumentare, con oltre 80 donne ammazzate fino ad oggi, nel solo 2012. Di queste, la stragrande maggioranza è stata uccisa per mano di famigliari. Sempre secondo il Rapporto, la maggior parte delle vittime è italiana (78%), così come la maggior parte degli uomini che le hanno uccise (79%). Altro dato significativo è che la maggior parte di questi omicidi di genere si compie nella casa della vittima e che, su dieci uccisioni di donne, 7.5 sono precedute da maltrattamenti o da altre forme di violenza fisica o psicologica nei confronti della donna (ecco che qui entriamo nel vero e proprio ambito del femminicidio). Il Cedaw aggiunge che in molti di questi casi la donna aveva già chiesto aiuto, era seguita dai servizi sociali o aveva presentato delle denunce per le violenze subite. Evidentemente, tutto ciò non è bastato a salvarla.

Tra le varie raccomandazioni, indirizzate soprattutto alla politica italiana perchè si faccia finalmente carico del problema, spicca anche quella agli organi di informazione, affinché cessino di farsi portavoce di “una visione concettuale semplicistica, discriminatoria e spesso stereotipata, che oscura l’intersezionalità dei fattori politici, economici, sociali, culturali, e di genere che riguardano tutte le donne del mondo”. Critica rimarcata anche dall'associazione 'Casa delle donne per non subire violenza' di Bologna, la prima che ha provato a sopperire alla mancanza di dati ufficiali, stilando dal 2006 un proprio rapporto annuale sui femminicidi in Italia. In questo frangente, già da tempo le associazioni e i movimenti stanno intraprendendo importanti battaglie collettive e di civiltà, a partire dai blog e dai . “Troppo spesso si tende a minimizzare gli episodi e le colpe – spiega ad esempio Marta, portavoce del blog collettivo Donne Viola – Non sono raptus o colpi di testa, in realtà questo tipo di violenza nasce da molto lontano, dall'educazione sentimentale, che negli ultimi anni si è fatta sempre più carente”. Educazione, cultura, formazione, dunque. “E' più che mai necessario introdurre l'educazione sessuale nelle scuole, un vero e proprio percorso formativo sui sentimenti e la sessualità – termina Marta –Il governo dovrebbe prendere contatto con le associazioni che ogni giorno lavorano con le donne maltrattate. Le loro sono esperienze concrete e possono fornire le strade giuste per affrontare questa che sta diventando una vera e propria emergenza sociale”.

Anna Toro

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