Greenpeace: Enel e Confindustria spacciano per vere le 'bulafe nucleari'

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Ieri gli attivisti di Greenpeace hanno srotolato sul palazzo dell'Eur uno stricione con la scritta "Stop alla follia nucleare" (qui il video) per protestare contro la riunione in corso nel prospicente palazzo di Confindustria in cui Enel cerca di presentare il nucleare come un "ottimo investimento" per le imprese italiane. "Stiamo ragionando per investimenti per oltre 30 miliardi e, se riusciamo a fare sistema, stimiamo che circa il 70% di questi potrebbe riguardare l'indotto italiano" - ha spiegato presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia sottolineando che, proprio per questo motivo, il nucleare rappresenta "una grande opportunità, non solo di lavoro e crescita, ma anche di qualificazione tecnologica".

"In realtà - spiega Greenpeace - a parte le norme sugli appalti di queste dimensioni che prevedono delle gare internazionali, gli impianti EPR proposti da Enel sono un affare solo per il costruttore francese a corto di ordinazioni. Non certo per l'economia italiana". "Enel cerca di imbonire le imprese italiane promettendo che il 70% degli investimenti per la costruzione di quattro reattori nucleari EPR sarà nella parte non nucleare (dunque non coperta da brevetti francesi) per un controvalore di circa 12 miliardi di euro. Secondo le informazioni pubblicate dall'azienda elettrica francese Edf - alleata di Enel nel riportare il nucleare in Italia - risulta, invece, che gli investimenti nelle parti non convenzionali degli impianti EPR, ovvero le uniche che potrebbero riguardare le imprese italiane, non superano il 40% degli investimenti totali" - sostiene Greenpeace.

"Ma quello che Enel non dice, lo dicono altri: EDF, STUK, Citigroup, AREVA" - denuncia Greenpeace che ha presentato un dettagliato rapporto sulle "Bufale nucleari". In un recente studio sul mercato inglese del novembre 2009, Citigroup, leader mondiale nei servizi finanziari, evidenzia che "i rischi di costruzione, finanziari e operativi, sono eccessivi per gli investitori privati". "Enel - continua Greenpeace - nonostante l'elevato debito netto pari a 54 miliardi di euro, dichiara di essere pronta a sostenere un costo per quattro reattori EPR tra i 16 e i 18 miliardi di euro, cioè tra i 4 e i 4,5 miliardi di euro a reattore. In un rapporto di novembre 2009 Citigroup afferma, invece, che i costi sono tra i 5 e i 6 miliardi di euro a reattore, con "l'alta probabilità che per i nuovi reattori saranno più alti di quelli previsti" e "i tempi di costruzione meno prevedibili in anticipo".

Ad oggi sono solo due gli EPR in costruzione nel mondo, uno in Francia e uno in Finlandia. In Finlandia, finora sono in costruzione solo le parti non nucleari (promesse alle imprese finlandesi) ed è un colosso francese – il gruppo Bougeys – che sta facendo la parte del leone. E la fa pure male, visto che ci sono stati due clamorosi blocchi dei lavori a causa delle saldature effettuate al di sotto degli standard di sicurezza: lo stop dell'agenzia finlandese di controllo, STUK, è arrivato nell'agosto del 2008 e ancora lo scorso ottobre.

Mentre Enel presenta i reattori EPR come un ottimo investimento, Areva, che gli EPR li costruisce, sta valutando se mettere sul mercato dei reattori meno sofisticati e più economici degli EPR, dopo aver perso un'importante commessa negli Emirati Arabi Uniti a favore di una sua rivale sudcoreana. "La propaganda di Enel sul nucleare continua, ma l'esperienza degli unici due EPR in costruzione in Finlandia e in Francia ha già ampiamente dimostrato che per questo tipo di impianti ritardi, problemi nella sicurezza e costi fuori controllo non sono un rischio ma una regola" - conclude Greenpeace.

Anche Legambiente ha messo in guardia contro la "demagogia imprenditoriale". “A parità di investimenti, l’efficienza energetica e le rinnovabili sono capaci di creare 15 posti di lavoro per ognuno nel nucleare. In meno di 10 anni, il settore delle rinnovabili in Germania ha creato oltre 280mila posti di lavoro tra diretto e indotto. In Italia, al 2020 con la diffusione delle rinnovabili si potrebbero creare dai 150 ai 200mila nuovi posti di lavoro. Questa sarebbe una reale occasione per lo sviluppo industriale e occupazionale del Belpaese” - ha commentato il presidente nazionale di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza.

“Quali studi segreti in possesso del nostro Governo giustificherebbero il ritorno a questa tecnologia rischiosa e vetusta? Certo non le motivazioni economiche - ha concluso Cogliati Dezza – ampiamente superate dallo sviluppo di un modello energetico moderno e innovativo, basato sull’efficienza e la sostenibilità. Smettiamola con le dichiarazioni ideologiche e con le previsioni fantastiche e cominciamo a promuovere sul serio una rivoluzione energetica sensata e pulita che ci permetta finalmente di raggiungere gli obiettivi europei al 2020, mettendoci al riparo anche dall’ennesima sanzione economica da parte dell’Ue”.

Infine anche il WWF - che da tempo ha criticato la scelta del Governo italiano del ritorno al nucleare - ha ribadito ieri con un comunicato che "il nucleare costa troppo, non è sicuro, è una sciagura sotto il profilo ambientale e, soprattutto, la maggioranza degli italiani non lo vuole". “Il futuro dell’energia è nelle rinnovabili, non certo in una fonte come il nucleare che pone problemi economici, sociali e di sicurezza, oltre che ambientali – ha dichiarato Stefano Leoni, presidente del WWF Italia. L'associazione ha espresso "apprezzamento" in merito al documento sul nucleare approvato a conclusione dell’incontro degli assessori all’Ambiente delle Regioni, ma sottolinea che il decreto legislativo "non ha sanato la frattura apertasi con la limitazione delle competenze regionali su una materia riconosciuta alle Regioni dalla Carta Costituzionale, frattura che ha portato undici Regioni a fare ricorso presso la Corte Costituzionale contro la legge del Governo

"Significativo il fatto - sottolinea il presidente del WWF Italia - che la linea contraria alle modalità di individuazione dei siti trova l’appoggio anche di Regioni governate dal centrodestra, denunciando la difficoltà di applicare nella realtà del paese una scelta, quella del nucleare, meramente ideologica e affaristica, che non scaturisce da una precisa analisi e strategia". "Vedremo - conclude Leoni - quale candidato Governatore avrà il coraggio di presentarsi alle elezioni dichiarando la volontà di ospitare una centrale nucleare sul proprio territorio, e soprattutto se tale candidato verrà eletto. Sottrarsi alla volontà popolare, espressa nei referendum del 1987 e mai davvero cambiata, sarà oltremodo difficile, nonostante il Governo addirittura stanzi dei soldi per fare propaganda e ‘convincere’ i cittadini, facendosi ancora una volta portatore degli interessi delle grandi aziende energetiche”. [GB]

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