Grandi laghi che muoiono

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Con un’impresa degna del Nautilus il primo agosto 2009 il primo ministro russo Vladimir Putin in un sommergibile esplorava il fondo del lago Baikal, il lago più profondo della terra che si stima contenga il 23% delle riserve di acqua dolce del pianeta, esclusi i ghiacciai e le calotte polari. Il gesto propagandistico di Putin è stato però presentato al mondo come una sua presa di coscienza ecologica per il futuro, per quando cioè l'acqua diventerà un bene sempre più prezioso. Per questo lo scaltro Putin avrebbe a cuore la salute ambientale del lago siberiano e dunque ha fatto persino spostare di 40 km il tracciato dell’oleodotto Eastern Siberia Pacific Ocean, la mega conduttura che dovrebbe portare dopo 4700 km il petrolio siberiano ai porti del Pacifico e che nel progetto iniziale doveva lambire le sponde del Baikal. Putin ambientalista responsabile dunque? Non tanto se pensiamo che proprio lui, nel marzo di quest’anno, ha ordinato la riapertura della The Baikal Pulp and Paper plant, una cartiera giudicata da Greenpeace come una grave minaccia per la salute del lago, già più volte chiusa dopo le pressioni degli ambientalisti. Per Putin invece conta di più l’occupazione mentre il Baikal, secondo la visone del primo ministro, profondo com’è, resisterà a questo tipo di inquinamento.

Eppure l'ex dirigente del KGB dovrebbe stare attento a fare previsioni ricordando la catastrofica condanna a morte che le autorità sovietiche avevano emesso sul lago (salato) d'Aral: dagli anni 50 in poi una sconsiderata politica agricola con la deviazione degli affluenti del lago ridusse nel corso del tempo la sua superficie da 68.000 km² a meno di 5.000. Doveva diventare una palude acquitrinosa per coltivare il riso, è invece un deserto salato, inquinato dai pesticidi e da sostanze chimiche tossiche diffuse da una ex base di armamenti chimico batteriologici piazzata su un’isola dell’ex lago. Ora sono in atto tentativi di salvare il Piccolo lago d'Aral attraverso dighe, spostamento di fiumi, nuova immissione d'acqua... opere ciclopiche, forse indispensabili ma foriere di ulteriori crisi ambientali, che purtroppo non potranno mai riportare il lago alla sua conformazione naturale.

Cambiando latitudine incontriamo un simile scenario in un altro lago che sta scomparendo, anche se in questo caso l'uomo è meno colpevole. È il lago Ciad, il settimo più esteso del mondo fino a mezzo secolo fa: da 25000 km2 di superficie del 1960 si è passati ai 2500 o anche meno di oggi. La riduzione del 90% della superficie si accompagna alla contrazione di circa il 60% nella produzione di pesca, alla diminuzione di pascoli che ha condotto ad una penuria di foraggio (nel 2006 stimata al 46.5%), alla riduzione della popolazione animale e della biodiversità. Tutto questo minaccia la vita di circa 30 milioni di persone che sopravvivono grazie al lago.

Questa agonia è causata da sempre più numerosi periodi di siccità, dall’evaporazione (il lago è profondo poco più di 10 metri anche se un tempo arrivava a 150), dal riscaldamento globale e non da ultimo dalla miscela di esasperato sfruttamento idrico e di non curanza da parte degli abitanti e soprattutto dai governi. Il lago è diviso tra quattro paesi diversi: Niger, Ciad, Camerun e Nigeria che nel 1964 avevano creato la Commissione del bacino del lago Ciad (CBLT). Un organismo sopranazionale indispensabile ma che in tutti questi anni non è riuscito a mantenere il lago in salute: ora c’è un progetto faraonico per deviare parte delle acque del fiume Oubangui (il maggior affluente del fiume Congo) nel fiume Chari e quindi arrivare al Ciad.

Anche qui le grandi opere dovrebbero limitare i danni, rischiando però di farne altrove. Forse invece hanno ragione la FAO e le Ong a battere su un altro tasto, quello della ricerca di nuovi modelli di gestione dell’acqua capace di riscoprire le tecniche agricole tradizionali: solo così si potrà recuperare, per quanto possibile, un rapporto armonico tra l'uomo, la terra e il lago, garantendo almeno la sicurezza alimentare agli abitanti della regione.

Piergiorgio Cattani

 

Con oggi inizia la collaborazione tra Piergiorgio Cattani ed Unimondo. La redazione da il benvenuto all'editorialista che i lettori potranno seguire tutti i lunedì. Classe 1976. Liceo classico, poi la laurea in Lettere Moderne con una tesi sul pensiero di Emmanuel Levinas. Ha narrato la sua esperienza politica giovanile nel libro “Ho un sogno popolare” - “Ed. Ancora 2002". Nel 2002 laurea triennale in filosofia ancora con una tesi su Levinas e infine nel dicembre 2005 ha ottenuto la laurea magistrale in “Filosofia e linguaggi della modernità” con un lavoro sul pensiero di Paolo De Benedetti. Nel 2006 la tesi ampliata e rivista, è diventata un libro, edito dalla casa editrice il Margine di Trento (di cui è socio fondatore), con il titolo “Dio sulle labbra dell’uomo. Paolo De Benedetti e la domanda incessante”. In seguito l'attività giornalistica è notevolmente aumentata: nel 2003 è entrato nella redazione del quindicinale di attualità “Questotrentino” e nella rivista di cultura e politica “Il Margine”. Dal settembre 2004 scrive articoli di fondo per il quotidiano locale il “Trentino”. Dal giugno 2008 è entrato nell’ordine dei giornalisti come pubblicista. Dal dicembre 2006 è presidente dell’Associazione culturale “Oscar Romero”, già partner di Unimondo. Nel maggio 2008 pubblica, sempre per la casa editrice "Il Margine", il suo terzo libro che s' intitola "Cara Valeria. Lettere sulla fede". Dal 2009 scrive articoli per il mensile delle Acli Trentine e da oggi è editorialista di Unimondo.

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