Gli antichi e la demenza

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Foto: Pexels.com

La demenza senile ha sempre accompagnato l’uomo anche nel mondo antico?

Questa curiosa domanda se la sono posta i ricercatori della USC (University of Southern California), dove è ospitato anche l’ADRC, un Centro di Ricerca per l’Alzheimer supportato dall’Istituto Nazionale della Salute e dedito allo studio di problemi inerenti la memoria e l’invecchiamento. Lo scopo è di comprendere i mutamenti biologici che possono anticipare un peggioramento della memoria e capire se i nuovi trattamenti – inclusi i farmaci – possono essere realmente validi nel prevenire o nel migliorare le condizioni che portano alla perdita di memoria. 

Le analisi condotte spaziano su un arco temporale che guarda indietro fino ai testi medici della Grecia classica e dell’antica Roma, i quali suggeriscono che drastiche perdite di memoria – che ai nostri giorni raggiungono livelli pari a quelli di un’epidemia - erano estremamente rari ai tempi di Aristotele, Galeno o Plinio il Vecchio (ca. 2000/2500 anni fa). La ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica Journal of Alzheimer's Disease, sostiene l’idea che l’Alzheimer e le demenze correlate appartengano a stili di vita e ambienti moderni, che vedono comportamenti sedentari e forte inquinamento dell’aria tra i principali fattori di rischio. “Gli antichi Greci menzionano raramente – seppure qualche volta accada – manifestazioni di quelli che oggi chiameremmo leggeri deterioramenti cognitivi” afferma Caleb Finch, primo autore dello studio e professore presso la USC Leonard Davis School of Gerontology. “Già negli autori romani compaiono almeno quattro affermazioni riconducibili a casi di demenza avanzata e, anche se non possiamo dire se si trattasse di Alzheimer, di sicuro possiamo affermare una progressione tra epoca greca ed epoca romana”.

Gli antichi riconoscevano che l’avanzamento dell’età comportasse l’insorgenza di sintomi legati all’indebolimento delle capacità cognitive, ma nulla a che vedere con le importanti perdite di memoria, capacità di dialogo e ragionamento che causano Alzheimer e altri tipi di demenza. I maggiori sintomi riconosciuti da Ippocrate e dai suoi successori nell’anziano sono per lo più sordità, vertigini e disordini nella digestione, ma non si fa parola di perdite di memoria. Secoli dopo, nell’antica Roma, appare qualche riferimento. Galeno, per esempio, rileva che intorno agli 80 anni alcuni anziani mostravano fatica nell’imparare nuovi concetti; Plinio il Vecchio nota che il senatore Marco Valerio Messalla Corvino aveva dimenticato il proprio nome; Cicerone osserva prudentemente che “la sciocchezza delle persone più anziane è caratteristica di uomini vecchi e irresponsabili, ma non di tutti i vecchi”.

L’ipotesi che Finch mette in campo con il supporto del collega Stanley Burstein, storico presso la California State University di Los Angeles, è che a mano a mano che le città romane diventavano sempre più popolose anche l’inquinamento aumentasse, causando l’aumento di episodi di declino cognitivo. Con le dovute proporzioni, se questa è davvero la strada da seguire per risalire alle cause delle demenze, possiamo solo immaginare quali ricadute possano avere su di noi le condizioni ambientali che stiamo attraversando. Ma quale tipo di problemi di inquinamento avranno mai potuto avere nell’antica Roma? Beh, per esempio l’aristocrazia dell’Impero romano utilizzava vassoi e pompe d’acqua di piombo, aggiungendone persino al vino per renderlo più dolce e avvelenandosi inconsapevolmente con questa potente neurotossina.

Lo studio non guarda solo all’epoca greco-romana: in assenza di dati demografici che riguardino quel periodo, i ricercatori hanno studiato in maniera comparativa anche gli Amerindi Tsimane, una popolazione indigena che abita l’Amazzonia boliviana. Il loro stile di vita è equiparabile a quello preindustriale, fisicamente molto attivo. E i casi di demenza hanno un tasso di incidenza bassissimo.

Un team di ricerca internazionale guidato da Margaret Gatz, professoressa di psicologia, gerontologia e medicina preventiva alla USC Leonard Davis School ha riscontrato che tra gli Tsimane solo l’1% degli anziani soffre di demenza – un dato che cozza pesantemente con la percentuale degli over 65 che ne soffre negli Stati Uniti: l’11%. Non che i dati che riguardano Europa e Italia siano più confortanti, anzi: nei Paesi industrializzati la demenza è circa dell’8% negli ultrasessantacinquenni e sale a oltre il 20% dopo gli ottanta anni.

Sono dati che necessitano di ulteriori integrazioni e arricchimenti, ma di certo mettono in luce un fattore non trascurabile da integrare nella ricerca sulle demenze, e cioè come l’ambiente sia un enorme e determinante fattore di rischio.

Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.

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