Georgia, una partita storica

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Un tiro maldestro ed il pallone andò al di là del muro di cinta che attorniava il campetto. S'interruppe così l'amichevole Italia Georgia che vide il peggio delle due formazioni schierate a contendersi una palla vecchia e sgonfia da infilare tra i due pali di un campetto di Tblisi. Oltre c'era una foresta di 20 anni. Tanti quanti la caduta del muro di Berlino. Peka, il mio avversario diretto, s'arrampicò come uno scoiattolo sin sopra il muro ed iniziò a corrervi lungo il confine. Io, goffo, tentai l'altrettanto. Della palla non v'era traccia. La vegetazione stava avendo la meglio attorno alla vecchia fabbrica sovietica di Tbilisi. Peka era però determinato e non voleva sentir ragioni: la partita doveva continuare. Oggi. Non domani. E prima del calar del sole. La mia promessa di acquistare un'altra sfera al vicino bazar non gl'importò un fico secco. Lui voleva scendere. Il problema non era il salto di 4 metri ma due cani "da guardia" magri ed affamati. A mio avviso non avrebbero posto, come accadde, resistenza alcuna. E poi un ciccione, appena dietro l'angolo, che si stava facendo una doccia con l'annaffiatoio. Il guardiano, probabilmente.

Peka è orfano come molti ospiti al di qua del muro. Forse da pochi anni: da quando la Georgia, in un momento d'isteria, dichiarò guerra alla Russia. Quest'ultima invase anche il nord della Georgia radendolo al suolo anche strutture civili. Anche per questo in quasi tutti gli shops della capitale vi sono cartoline che invitano al “Go Home!” o !Stop Russia!”. Anche per questo, probabilmente, che la Georgia guarda ossessivamente agli Stati Uniti sino a vestire i suoi ragazzi come dei marines, sino a spararsi telefilm cow boy mal doppiati e farsi costruire, in un sol colpo un moderno aeroporto collegato dalla George Bush Avenue con tanto di foto dell'ex Presidente Usa intento a salutare. Su l'uno, giù l'altro. Nella vicina Gori hanno rimosso, pochi giorni fa, la statua di Stalin. Nessuno aveva avvertito i residenti della cittadina che la scultura sarebbe stata rimossa. La polizia ha anche impedito ad una troupe televisiva di effettuare riprese dell'operazione. Al suo posto ci sarà una lapide per commemorare le vittime dell'invasione russa dell'estate del 2008.

La fabbrica di modello staliniano sta davanti a me. Maestosa. S'erge ancora tra strade d'asfalto in entrata e binari in uscita. Infinita. Vetri rotti, crepe ovunque ed un tetto che lascia filtrare sole ed acqua. Ma non dismessa. In lontananza qualche operaio cammina svogliato, ozioso. Chissà. Forse un domani, come già accaduto per Brno vi sarà una sorta di rinascimento. Quelle mura potrebbero far posto ad animati centri commerciali, musei d'arte, parchi gioco. Uno c'è già. S'intravedono le torrette di un'acquapark nel centro della zona industriale abbandonata. Ettolitri d'acqua potabile non più utilizzati per raffreddare l'acciaio ma pompati in quota per far scivolare i figli della borghesia della capitale giorgiana. La contraddizione che meglio rappresenta l'oggi ove, in assenza di una progettualità legata al territorio, si finisce per sposare i modelli piu' invasivi, meno coerenti, affatto sostenibili ma che danno uno stipendio a qualche decina di giovani. Un'oasi al centro del degrado.

Peka chiede il mio aiuto. E' determinato a scendere dal muro. E scende prim'ancora giungessi a dargli una mano, assorto com'ero tra i pensieri. Poi, giunto a metà muro, risale. Macchè 4 metri; saranno anche 5. Preferisce ripercorrere tutto il muro di confine per trovare un punto meno pericoloso. E' a terra. Il ciccione s'accorge della mia presenza e, mia fortuna, incurante si risciacqua mentre i cani sbadigliano. Io lì impalato a 50 anni e 5 metri da terra irto in piedi su un muro di cinta a scrutare la piana di Tblisi. Ma come cavolo avranno fatto senza luce e senza gas? Quando hanno chiesto l'indipendenza Mosca sembra aver acconsentito tagliando, però, luce, gas ed ogni tipo di import. Venti anni ci sono voluti per riprendere lo standard di prima. Proviamo ad immaginare che il nostro appartamento sia privato in una sola notte di luce e gas e riusciremo forse a comprendere la fatica dell'oggi ove il welfare è affidato alla strada ed alle organizzazioni caritatevoli.

Alle mie spalle ne ho una: Caritas Georgia. Davanti: la grande fabbrica. Una delle grandi fabbriche siderurgiche georgiane che resero grande la Russia. Due figure stanno ancora in piedi sulla colonna testata d'angolo. Alte, si e no, 10 metri. Una donna a torso nudo "raccoglitrice" con la falce in mano e lui operaio con il martello in evidenza. I fisici si assomigliano e non v'è traccia di femminile in lei se non due seni tra bicipiti ed addominali in evidenza e nulla di grazioso in lui. L'URSS non ha certo conosciuto il dolce stil nuovo.

La Caritas sta ristrutturando la sua piccola chiesa ortodossa, bistrattata per decenni. I cattolici che, a proprie spese, ristrutturano un luogo di culto di un'altra religione spesso avversa che è grata a Caritas per tutto cio' che fa per i piu' poveri ma che non vuole si sappia che è un'organizzazione non governativa filo Chiesa cattolica. L'ecumenismo è quasi di casa. Anche per i mussulmani. Nell'unica moschea scampata dalla furia atea pregano ancor'oggi sciiti e sunniti. Al restauro della piccola Chiesa ortodossa di fronte alla quale le donne di ogni età si fanno il segno della croce tre volte e si chinano contribuiranno anche dei volontari italiani con proprie ferie.

A Tblisi la disoccupazione è alle stelle e l'occupazione sfiora i 60 $ al mese. Ma se per la Chiesa v'è seppur un timido rifiorire per la fabbrica non vi sono speranze. Anche se ha dato lavoro a decine di migliaia di operai ora da solo spazi. Metri cubi. Rifugio per senza tetto.

E' sera. In lontananza s'accende l'antenna della TV. Si, la stessa TV che ha dimesso il direttore e la redazione lo scorso anno rei di aver fatto uno scherzo affatto gradito alla popolazione con una dichiarazione in prima serata dal tono: "I russi stanno tornando!" La popolazione si riversò in strada impaurita. I giovani, ora, vestiti a festa, iniziano le vasche in centro. I più benestanti possono permettersi l'happy hour mentre i più vino bianco preparato in casa e khachapuri (torta al formaggio). Peka ce l'ha fatta. Ha ritrovato il suo pallone. Ora non ho più scuse. La partita continua.

Fabio Pipinato
(direttore di Unimondo - inviato in Georgia)

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