www.unimondo.org/Notizie/G8-14-anni-dopo-il-reato-di-tortura-resta-un-miraggio-151947
G8 14 anni dopo il reato di tortura resta un miraggio
Notizie
Stampa
Nell’Italia condannata dalla Suprema corte di giustizia europea per l’assenza del reato di tortura, la legge resta ancora un miraggio. Il dibattito parlamentare si allunga e slittano i tempi per l’approvazione entro la fine della legislatura. A ricordarcelo è la cronaca della dolorosa memoria di Genova 2001 -oggi ricorrono i 14 anni-, battuta dai manganelli e umiliata dai tentativi di negare anche l’evidenza. Reato di tortura sì, ma catalogato insieme a quelli comuni e generici, a meno ché a commettere violenza sia un pubblico ufficiale. Solo così possiamo, forse, parlare di reato specifico. Un compromesso di comodo – dicono in tanti – ma forse utile per andare avanti. Ma ora anche quel blando tentativo si è arenato.
“Si è materializzato lo scenario peggiore. Si è scelto di modificare il testo approvato alla Camera, rendendo necessario un altro passaggio parlamentare”, dice il presidente di Amnesty Italia Antonio Marchesi. Lo scopo “non è di migliorare ma di peggiorare notevolmente il testo in discussione”. Così com’è, infatti, risulta incompatibile con la Convenzione contro la tortura delle Nazioni Unite. Eppure l’Italia – che l’ha ratificata nel 1989 – ha l’obbligo di rispettarla. I responsabili della “macelleria messicana” alla Diaz – come l’ha definita un funzionario di polizia – o le sevizie dentro la caserma di Bolzaneto sono un fatto storico e ora anche una verità giudiziaria.
Introdurre nel nostro ordinamento il reato di tortura – dicono da più parti – è un atto dovuto. Soprattutto dopo le forti censure da parte della Corte di giustizia di Strasburgo. Ma le resistenze in Parlamento sono forti. Poche le speranze di approvare una legge in tempi rapidi; troppe le pressioni perché si rimandi ancora. “Il caso Diaz è un capitolo chiuso. La polizia è sana”, tuona il ministro dell’interno Angelino Alfano, che non vuole una legge “concepita come un reato contro le forze di polizia”. E sul numero identificativo per riconoscere gli agenti impegnati nei servizi di ordine pubblico non se ne parla nemmeno.
“Anche la riproposizione del famigerato emendamento che prevede la ”reiterazione” quale condizione di esistenza della tortura è solo una delle modifiche peggiorative introdotte”, ricordano da Amnesty. Una grave anomalia italiana giocata sul filo del dibattito parlamentare. Ulteriori modifiche al testo rallentano l’iter parlamentare e allontanano il “raggiungimento dell’obiettivo finale”. La Genova del 2015 ricorda che dopo 14 anni da quel terribile luglio del 2001 molti responsabili delle gravi violazioni dei diritti umani sono sfuggiti alla giustizia restando impuniti.
Massimo Lauria da Remocontro.it