Frontiere: ripensare collettivamente il diritto di varcarle

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Foto: Unsplash.com

La migrazione è un fenomeno antico quanto il mondo e quella delle frontiere, nella temperie geopolitica che viviamo, diventa questione cruciale.

di Carolina Picot
Mentor: Angela Nardelli

Mentre i conflitti armati, l’impatto del cambiamento climatico e le crisi umanitarie sono in costante aumento, in un contesto politico in cui la solidarietà viene messa in secondo piano e l’inflazione colpisce i più deboli, i flussi migratori nel mondo si evolvono e attraversare le frontiere diventa un tema. 

“La migrazione è un fenomeno umano antico quanto la nostra specie. Eppure, oggi i politici l’hanno trasformata in una minaccia”, spiega Katharine Woolrych, ricercatrice e militante per i diritti dei migranti, “Numeri alla mano, i flussi non sono aumentati in modo significativo negli ultimi anni. Quello che è cambiato è la costruzione narrativa del migrante che supera le frontiere: un concetto che può essere interpretato attraverso concetti che vengono spesso confusi tra loro come terroristi, richiedenti asilo e persone senza documenti”.

Criminalizzazione e paura, oltre le frontiere

La paura è un’arma potente. I migranti vengono spesso disegnati come criminali e terroristi, accusati di rubare il lavoro e di invadere e danneggiare le economie e la sicurezza dei paesi che li accolgono alle loro frontiere. Come funziona?

“La criminalizzazione [dei migranti] è una componente strategica della sovranità statale moderna” – spiega l’esperta. “Se consideriamo la genesi degli Stati-nazione, questi si fondavano sulla promessa di protezione dalle minacce esterne come guerre o invasioni. Ma oggi” prosegue “quel patto è in crisi. I cittadini mettono in discussione il ruolo stesso dello Stato, il grado reale di democrazia, l’efficacia del sistema statale di fronte a società sempre più multiculturali. Per le classi politiche al potere diventa quindi essenziale costruire capri espiatori e minacce artificiali, per giustificare la propria esistenza come protettori” conclude Woolrych.

Ecco dunque spiegata la ratio dietro questa paura che si nutre di stereotipi e immagini distorte. 

Guardando i dati, le persone che raggiungono l’Europa, attraversandone le frontiere, si ritrovano spesso in posizioni vulnerabili, sfruttati da un sistema che chiude gli occhi davanti al lavoro irregolare, come nel caso del caporalato. Quando questo non avviene, le barriere per l’accesso al mercato del lavoro – frontiere vere e proprie – penalizzano a tal punto i migranti da non permettere loro di servirsi del loro bagaglio di competenze.

È quello che emerge da un recente report di Lighthouse, che parla di “spreco di cervelli”. Secondo il report, in Europa, quasi la metà dei migranti in possesso di una laurea sono troppo qualificati per i lavori che svolgono e hanno il doppio delle probabilità di essere disoccupati, con dati ancora più preoccupanti quando si tratta di donne...

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