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Fare armi e bagagli…
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“Armi e bagagli” è diventato “nostro” in un giorno di mezza estate, quando ci siamo ritrovati intorno a un tavolo a condividere un brain storming utile a scegliere il titolo che ci avrebbe accompagnati durante il biennio di lavoro che Fondazione Fontana Onlus, attraverso il suo programma educativo di formazione e sensibilizzazione chiamato World Social Agenda, ha scelto di dedicare a due temi cruciali. Dopo 8 anni di approfondimenti e spunti legati agli Obiettivi di sviluppo del Millennio, la scelta è stata di dedicare tempo e spazio a quelli che potremmo chiamare i prerequisiti al conseguimento di qualsiasi obiettivo, nuovo e sostenibile, che le Nazioni Unite desiderino (ri)proporre: il diritto alla pace e il diritto al futuro. Diritti, appunto, diritti umani fondamentali senza i quali, secondo noi ma come stiamo scoprendo anche secondo molti altri, è inimmaginabile pensare di raggiungere traguardi come, tra gli altri, la sostenibilità ambientale, la fine della fame e della povertà, la garanzia di un sistema educativo inclusivo e di qualità, il raggiungimento della parità di genere.
Da un lato quindi, il diritto alla pace: un diritto che si impone all’orizzonte dello scenario bellico mondiale e che ormai più di 70 Consigli comunali italiani hanno considerato, aderendo alla proposta lanciata dal Coordinamento nazionale degli Enti per la Pace e i Diritti umani. L’iniziativa ha fatto propria l’idea del Centro di Ateneo per i Diritti Umani dell’Università di Padova (e della collegata Cattedra Unesco per i Diritti umani, democrazia e pace): un gesto politico di alto rilievo con cui le città chiedono al Governo italiano e all’Unione Europea di sostenere il processo avviato in sede di Nazioni Unite e di adottare una Dichiarazione sul Diritto umano alla Pace, elaborata da un gruppo di lavoro intergovernativo già da tempo alle prese con pesanti ostilità mondiali (dagli Stati Uniti, alla Russia, all’Europa stessa). Contrarietà che nascono dalla consapevolezza che, una volta riconosciuto questo diritto, sugli Stati incomberebbero un paio di obblighi giuridici non da poco: cancellare lo ius ad bellum attribuito agli Stati sovrani e adempiere al dovere della pace la cui violazione corrisponderebbe a un crimine sanzionabile dal diritto internazionale. Un diritto alla pace che allora, per avverarsi, sta percorrendo un cammino impervio e in salita, attraversando spazi di discussione e di realtà che si avvicinano al suo esatto contrario: le guerre. Ecco quindi una delle ragioni che ci ha convinti ad approfondire, durante l’anno 2015-2016 e con il coinvolgimento di scuole (dalla primaria alla superiore) e territori (in particolare quelli di Trento e Padova, dove lavoriamo), non solo il diritto alla pace ma anche le guerre e i conflitti, le prime perché è impossibile ragionare sulle alternative senza approfondire gli aspetti dei contesti che abitiamo, i secondi come essenziali strategie per la costruzione di una “pace artigianale” (Papa Francesco), che si sporchi le mani e che non rappresenti la negazione della conflittualità ma il suo superamento.
Dall’altro lato, il diritto al futuro: il diritto cioè a costruirsi un domani diverso, possibile, libero dai vincoli che lo attorcigliano oggi intorno a fattori casuali eppure imprescindibili: i confini, la povertà, le ingiustizie, le disuguaglianze, i luoghi. Il diritto a cambiare (città, lavori, Paesi, sogni, prospettive), per investire le speranze di un mondo migliore nel modo che più ci corrisponde. Una riflessione che, nel corso dell’anno 2016-2017, andrà invece a riprendere in mano le ragioni delle migrazioni e delle fughe e a stanare le motivazioni più personali e diverse che spingono milioni di persone a lasciarsi case, affetti e storie alle spalle nel tentativo coraggioso e disperato di costruirne di nuove dentro un futuro, appunto, a cui ogni essere umano ha diritto.
Armi e bagagli, quindi, per un biennio di lavoro in cui chi vorrà potrà condividere con noi approfondimenti e pensieri, informarsi e informare, provare a capire prima di giudicare. Armi e bagagli che abbandonano il terreno del gergo comune (e militare) da cui l’espressione trae origine per farsi particolari, per raccontare storie di singoli e storie collettive, non comuni, anzi, ognuna narrata con parole dalle lingue diverse e dai destini intrecciati. Armi e bagagli che ci parlano attraverso due mani: l’una punta, prende la mira, simula un gioco di guerra che gioco non è; l’altra zittisce, tappa la canna del fucile con la delicatezza di un dito che silenzia lo sparo. Simboli e strumenti di guerra e di viaggio che inequivocabilmente diventano cifra di una riflessione necessaria, dei nostri immaginari e dei nostri vissuti quotidiani, che si propongono di interrogarci, attraverso le numerose iniziative in programma (qui maggiori dettagli), nel tentativo e nella speranza, un giorno, che quelle armi vengano deposte e quei bagagli disfati. Solo allora potremo dire di aver trovato il nostro posto (di pace) nel mondo.
Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.