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Fantacalcio? No, business
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Immaginate che la finale dei mondiali in Sud Africa, per esigenze di sponsor, si fosse giocata a Los Angeles. Fantacalcio? Solo in parte. Ancora una volta la vecchia metafora dei soldi, capaci d'invertire i corsi d'acqua dei fiumi in barba alla forza di gravità, s’è dimostrata puntualmente, nella raffigurazione dell'amara realtà, tragicomico quanto utile termometro dei tempi che corrono. Dalla politica alla più privata vita sentimentale, il dio denaro si manifesta in tutta la sua onnipotenza. Così è anche nello sport. Quello megagalattico, di campioni milionari e pay tv, di manager e procuratori, di grandi sponsor e scommesse.
Mondiali di calcio a parte è di alcuni giorni fa la notizia di un nuovo caso di delocalizzazione sportiva. L'Nba, il campionato di pallacanestro più ambito e seguito da cestisti e appassionati, approderà all'O2 Arena di Londra, per disputare la sua prima storica uscita ufficiale in Europa. "Il capo supremo della lega americana David Stern - riportano i quotidiani di lunedì 9 agosto - ha annunciato che il vecchio continente ospiterà due partite di regular season". Toronto Raptors vs New Jersey Nets. Pane al pane e vino al vino, è come se Milan-Juventus o Inter-Roma, disputassero una giornata di campionato al Giants Stadium di New York o a Tokio. Ma che "c'azzeccano" yankee e nipponici? Fantacalcio? No. Dalle parti nostre, qualcosa del genere s’era già visto, in verità. Dal 1993 ad oggi, quattro finali di Supercoppa Italiana, sono state vendute ed esportate. La prima volta fu diciassette anni fa, a Washington. Più di recente, è toccato a Tripoli, New York e Pechino. Mentre per quest'anno, Milano è riuscita a spuntarla di un soffio su Shangai.
Dall'anno scorso inoltre, la Lega Calcio ha stipulato un accordo con i cinesi, per giocare in Oriente tre finali di Supercoppa in cinque anni. Se non saranno i soldi ad invertire pure il moto rotatorio della Terra, poco ci manca. In fin dei conti, parlando di Nba, è lo stesso David Stern a precisarlo: "Consideriamo il Regno Unito - dice - un importante mercato". Come leggere altrimenti, per fare un altro esempio, le recenti tournee statunitensi di Inter e Manchester City?
A proposito d’Inghilterra, gli esperimenti sull' import- export sportivo non rappresentano una novità, bensì, potrebbero essere il segnale del futuro consolidamento di tale prassi. Ad ottobre 2007, il match di football valido per il campionato di Nfl fra Miami Dolphins e New YorK Giants,si disputò nella cornice di Wembley. C'e' dell'altro. Era il febbraio del 2008, quando i dirigenti di venti club della Premier League, hanno trovato a tavolino una convergenza sulla possibilità di disputare una giornata del campionato di calcio inglese, fra i potenziali scenari di New York, Hong Kong, Pechino, Tokio e Dubai con l'intento di uscire dal saturo mercato d'oltre Manica, alla ricerca di altri tutti da sfruttare. Obiettivo nemmeno minimamente velato da retorici sofismi e senso del pudore. Richard Scudamore, amministratore delegato della Premier, lo ha detto chiaro e tondo. E' un'operazione di "solidarietà, l'intera famiglia del calcio inglese ne trarrà profitto". Meglio dunque abbandonare la visione snob di un calcio come fenomeno del volgo, popolare, per considerarlo invece una sfaccettatura dell'attualità.
Prendendo esempio da Eduardo Galeano, in "Splendori e miserie del gioco del calcio", dove, fra mille aneddoti, narrava le gesta di Armando Maradona. Non Maracoca - anche quello - ma in particolar modo un ragazzo di nome Diego che, durante i mondiali di Messico '86, alzò la testa per denunciare l'insopportabilità di dover giocare sotto il sole cocente di mezzogiorno. Purtroppo per lui - e tutti gli altri - stabilire l'orario non competeva ne all'arbitro e ne tantomeno ad una qualsiasi istituzione calcistica. Quando si doveva scendere in campo, lo avevano deciso le televisioni europee, dentro qualche buia stanza in cima a un grattacielo con vetri a specchio, dopo aver acquisito i diritti da un colosso locale. E infatti, questa follia che non piaceva a Maradona, si ripeté otto anni dopo, ad Usa '94. Per accontentare il pubblico europeo e soddisfare la sua bulimia calcistica, specchio dei tempi del consumismo.
Zeno Leoni