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Evian: un buco... nell'acqua
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L'acqua è essenziale alla vita e la mancanza d'acqua può minare i livelli di sicurezza. I G8 sono partiti da questa evidenza lapalissiana per lanciare il loro Piano d'azione sull'acqua, che ha ribadito punto per punto tutte le pericolose indicazioni politiche già denunciate dalle associazioni e dai movimenti per l'acqua nel corso del primo Forum alternativo mondiale dell'acqua di Firenze. Il riferimento teorico è lo stesso documento, coordinato dall'ex direttore del FMI Michael Camdessus e lanciato in vista del Forum mondiale dell'acqua di Kyoto, che raccomanda di usare fondi pubblici e aiuti allo sviluppo per facilitare gli investimenti dei privati nel settore dei servizi idrici.
Consequenziali e obbedienti, i G8 si sono impegnati ad "assistere" prioritariamente "quei Paesi che si ponessero come obiettivo politico di assicurare ai propri cittadini acqua sicura da bere e servizi sanitari di base", e si sono offerti di mettere a disposizione "le proprie migliori pratiche": al primo posto, naturalmente, le partnership publico-private, che hanno già ridotto sul lastrico molte amministrazioni pubbliche, come nel famigerato caso di Cochabamba, colpevoli di aver affidato alle corporations più accreditate lo svecchiamento e la gestione dei propri rubinetti.
Sbandierando qui e lì "interventi su base comunitaria" come anche il "coinvolgimento delle comunità locali e della società civile", per rispondere ad accuse, dossier ed appelli lanciati in tutti i Paesi dalle reti internazionali e dai movimenti, gli sfacciatissimi 8 Grandi si propongono di "indurre gli investimenti del settore privato", promuovendo linee di credito, a breve e medio termine, con il meccanismo del "full recovery cost" attraverso la lucrosa cogestione dei costruendi "servizi idrici locali" e la protezione dei rischi degli investitori esteri.
Naturalmente gli 8 fingono di dimenticare che l'Europa, nel corso delle trattative per la revisione del trattato GATS sui servizi, in vista del prossimo vertice mondiale del Wto a Cancun, ha chiesto a ben 72 Paesi, tra i più poveri del mondo, di aprire al mercato i propri servizi idrici.
L'acqua è servita da merce di scambio per la risoluzione del conflitto Usa-Francia, scatenatosi alla vigilia dello conflitto in Iraq: non è un caso infatti che proprio all'oro blu guardino Vivendi e Suez, due multinazionali francesi tra le più forti del mondo, che insieme controllano il 70% di tutti
i servizi idrici a gestione privata.
E la voce delle Nazioni Unite sembra non valga più nulla, a fronte degli interessi messi sul tavolo dal club dei gentiluomini di Evian: pur ribadendo l'utilità del cofinanziamento pubblico-privato, il direttore dell'Unep, il programma Onu sull'ambiente Klaus Toepfer, ha spiegato ai giornalisti che
"il settore idrico non dovrebbe essere mai privatizzato, e le compagnie private dovrebbero limitarsi a sostenere i programmi dei governi locali". Ma i G8, e ancor più i propri consulenti tecnici, cresciuti alla scuola dell'efficienza corporativa, hanno fatto finta di non sentire.
Fonte: Cipsi