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Euroscettici vs filoeuropei: andare oltre gli stereotipi
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Mai come negli mesi i media hanno fatto uso e talvolta abuso del termine euroscetticismo. Se un tempo quest’espressione si usava soprattutto per additare l’atteggiamento della Gran Bretagna (sempre intenta a prendere solo le ciliegine in cima alla grande torta dell’Unione Europea e a snobbare tutto il resto), oggi pare che all’interno di tutti gli stati membri le opinioni avverse dei cittadini nei confronti dell’Unione Europea abbiano raggiunto livelli senza precedenti. In poche parole, l’euroscetticismo sembra essere più la regola che l’eccezione e, conseguentemente, numerosi movimenti e partiti hanno iniziato ad adoperarsi per predisporre una rappresentanza politica a queste voci.
Tuttavia, per comprendere meglio questa tendenza, è utile dare un occhio agli ultimi dati raccolti dall’Eurobarometro nelle indagini effettuate nei ventisette paesi membri a novembre e dicembre 2011. Alla domanda generale in cui si domandava se l’Unione Europea evocava loro un’immagine “totalmente positiva”, “neutrale” o “totalmente negativa”, il 41% ha espresso un’opinione neutrale, il 31% positiva e il 26% negativa. Quest’ultimo dato è piuttosto allarmante soprattutto se considerato in termini relativi: è il più alto mai registrato dal 2006 (la media si è sempre assestata intorno al 15%) ed è cresciuto del 6% dall’autunno 2010. Parallelamente, la percentuale di cittadini con un giudizio nettamente positivo sull’Unione Europea è scesa drasticamente di 20 punti percentuali dalla primavera 2006 ad oggi.
È in caduta libera anche la fiducia nei confronti delle principali istituzioni europee (parlamento, commissione, consiglio, banca centrale): ognuna di queste ha perso circa il 10% dei consensi dal 2006 ad oggi. Osservando la situazione paese per paese, si rimane colpiti dal fatto che l’Unione Europea ha perso fascino proprio nei paesi in cui un tempo era più popolare: il 68% dei greci, il 60% degli irlandesi, il 62% degli spagnoli, il 56% dei portoghesi e il 49% degli italiani ha dichiarato di non fidarsi dell’Unione Europea. Infine, come prevedibile, solo il 53% degli europei si pone in favore dell’unione monetaria.
La diretta conseguenza di questo importante crollo di consensi nei confronti delle istituzioni e dell’euro è l’impetuosa avanzata dei movimenti e dei partiti cosiddetti “antisistema” che in molti paesi europei sta mettendo in crisi i partiti tradizionali e le istituzioni. Lasciando da parte le considerazioni sul caso particolare della Grecia, gli esempi sono tanti e significativi. In Francia, dopo il successo alle presidenziali (17,9%), il Front National (partito di estrema destra ed antieuropeista) ha bissato il successo ed è tornato, per la prima volta dal 1998, in Parlamento. Nell’Italia governata dai tecnici europeisti, il Movimento Cinque Stelle che urla contro Roma e Bruxelles è, secondo i sondaggi, il secondo partito. Infine, anche i paesi ricchi sembrano essere disillusi: in Finlandia, il partito euroscettico dei “Veri Finlandesi” ha ottenuto il terzo posto durante le elezioni dello scorso aprile e i populisti olandesi (PVV) che sostengono il ritorno al fiorino ottengono sempre più consensi.
In questi ultimi mesi la crisi si è acuita mettendo a repentaglio la tenuta stessa del progetto europeo. Il collasso dell’euro significherebbe il crollo degli investimenti in denaro, speranze e trattati degli ultimi decenni e forse la definitiva scomparsa del Vecchio continente dallo scenario globale. Paradossalmente però questo fastidio verso la UE, questa rabbia che raggiunge le dimensioni di preoccupanti rivolte sociali nei paesi più a rischio, dimostra quanto l’Europa sia percepita come l’unico orizzonte da cui dipende, nel bene o nel male, il nostro futuro. Non si odia una realtà o una persona a cui si è indifferenti. Oggi la UE sembra più che altro un amore tradito: e chi è respinto può avere reazioni imprevedibili.
Lo scenario appena delineato è da mesi sotto la lente degli analisti che, nella maggior parte dei casi, indicano la crisi economica come causa scatenante dell’ondata di euroscetticismo e dei conseguenti mutamenti degli assetti politici. Inoltre, sembra che gli europei possano essere suddivisi nelle sole categorie di euroscettici ed eurofili ortodossi. L’ipotesi che possano esistere, per esempio, europeisti critici che non accettano l’ideale europeo come una fede religiosa non è quasi mai contemplata. Il vero nocciolo della crisi dell’Europa unita risiede proprio in questa semplificazione della realtà e nel non aver dato agli europei la possibilità di maturare idee proprie, ma solo quella di sentirsi pro o contro l’Unione Europea così come è stata loro presentata.
Da sempre, il progetto europeo è stato architettato nelle stanze di Bruxelles senza un reale coinvolgimento dei cittadini, senza intavolare un dibattito pubblico degno di questo nome. Gli europei sono stati poco e male informati circa l’Unione di cui fanno parte e persino il meccanismo di partecipazione per eccellenza (elezioni a suffragio universale dei parlamentari europei) è stato svuotato di tutti i valori originali ed ha assunto il solo significato di “test” di gradimento politico a causa dell’impiego malsano da parte dei partiti che, puntualmente, hanno incentrato le campagne elettorali su tematiche nazionali. Per decenni, le leadership europee si sono sforzate di sfornare politiche pubbliche sempre più complesse e profonde, rimandando costantemente lo sviluppo di un discorso politico comune. I partiti tradizionali che ora gridano contro i movimenti antisistema ed antieuropei sono, in buona parte, gli artefici della situazione attuale.
La soluzione alla crisi di fiducia nei confronti dell’Unione europea deve necessariamente passare attraverso l’accettazione della complessità della realtà e la trasformazione del dibattito pubblico che vada oltre la dicotomia pro/contro Europa. Solo così potremo giungere ad un discorso costruttivo in cui chi è scettico nei confronti di una certa idea di Unione Europea, è pronto a fornire altre cento alternative. Se è vero che ogni crisi aiuta a ripensare le istituzioni e tutto quanto la storia ha prodotto, allora la crisi di consenso, incarnata dai movimenti e partiti euroscettici dovrebbe essere utilizzata come opportunità per informare più adeguatamente i cittadini, così da dare loro la possibilità di proporre valide alternative. Non è questa, tutto sommato, la base della democrazia? Infatti, il deficit democratico e la lontananza dell’Unione dai suoi cittadini è in parte alla base dell’euroscetticismo poiché sussiste scarsa identificazione tra governanti e governati.