Essere disabili in Italia: quante difficoltà!

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Questo mese la comunità internazionale ha festeggiato il centocinquantesimo Stato, la Guyana, che ha ratificato la Convenzione Onu sui Diritti delle Persone con Disabilità, facendo segnare così una delle percentuali più alte mai riscontrate finora, nell’ambito dei trattati internazionali sui diritti umani. Un’ottima notizia, che conferma quanto la tematica sia trasversale e sentita da tutte le culture del mondo. Purtroppo, però, spesso le buone intenzioni sulle carte si rivelano molto difficili da seguire nella pratica, come nel nostro paese, che la convenzione l’ha ratificata nel 2009.

Tra leggi, buchi normativi e cattiva gestione delle risorse e dei servizi, le problematiche irrisolte che questo tema delicato solleva la dicono lunga sul grande lavoro che il governo, al di là delle dichiarazioni, deve portare avanti. Perchè senza una risposta seria e costruttiva da parte della politica – a livello di strategia, finanziamento e informazione – il duro lavoro dei familiari e dei privati, insieme alle iniziative positive che pure ci sono, non potranno mai essere sufficiente a rendere l’Italia un paese più civile da questo punto di vista.

La scuola soprattutto rivela le carenze del nostro paese in materia di disabilità, ed ecco che anche questo settembre le cronache specializzate si riempiono di appelli e denunce, come quelle che riguardano l’assenza di un adeguato numero di insegnanti di sostegno, che ha trasformato il ritorno a scuola per molti bimbi e alunni disabili nell’ennesima beffa. Come Matteo di Bergamo, affetto da disturbo dello spettro autistico associato a psicosi, che in un periodo cruciale come il passaggio alla prima media si è visto un drastico taglio delle ore: 6 di sostegno e 8 di assistenza, a fronte delle 20 ore totali che aveva lo scorso anno. A poco sono valse le trattative disperate tra sua madre Patrizia e la scuola, fino alla sua proposta shock di restare lei stessa in classe con Matteo. “Il preside acconsente, addirittura mi dice che ci aveva pensato anche lui, come se tutto ciò fosse normale” racconta la donna a Redattore Sociale. La stessa agenzia di informazione ha raccolto numerose testimonianze di questo genere, racconti che mostrano la solitudine dei soggetti e delle famiglie di fronte all’assenza di risorse e a leggi che non li tutelano e non li aiutano.

Come quella di Maria, mamma romana che racconta come suo figlio di 21 anni affetto da tetraparesi spastica, per tre giorni è tornato a casa sporco di pipì: i bidelli non erano riusciti a fargli utilizzare bene la tazza, per lui inadeguata. Perchè nella scuola italiana, spesso oltre al sostegno nell’educazione manca anche l’assistentato materiale, che per molti significa la possibilità di andare in bagno, mangiare la merenda nell’intervallo, entrare e uscire dalla classe. Che dire, poi, dei 600 studenti delle scuole superiori del Napoletano, per i quali l’anno scolastico non è nemmeno iniziato? la Provincia di Napoli, con una delibera datata 7 agosto, ha interrotto l’erogazione dei fondi per le attività e l’inserimento dei disabili, lasciandoli a casa proprio nei primi, importantissimi giorni dell’anno scolastico.

Per non parlare della situazione materiale degli edifici che, alla faccia delle scuole belle, nuove e sicure decantate dal nuovo governo, spesso sono inadatti a ospitare bambini e ragazzi con diverse esigenze di mobilità. Secondo  l’ultimo rapporto di Cittadinanzattiva presentato la settimana scorsa, che si basa su un campione di 213 scuole da nord a sud del Paese, il 29% delle aule scolastiche presentano barriere architettoniche, l’11% delle mense sono inaccessibili e il 20% delle palestre non può essere utilizzato dai disabili.

Secondo Roberto Speziale, presidente dell’Anffas (Associazione nazionale famiglie di persone con disabilità) la questione non si riduce ai soli numeri: “Dobbiamo pensare alla qualità dell’inclusione” spiega sul Fatto. E rimanda alle “11 cose da non dimenticare” sul tema, promosse dall’iniziativa “Tutti a scuola“, tra cui il fatto che un alunno con disabilità spesso trascorre in classe un tempo molto inferiore all’orario scolastico dei suoi compagni, “mediamente 14 ore su 30”. Situazione che ha portato negli ultimi tre anni oltre 15 mila famiglie italiane a fare ricorso contro il ministero della Pubblica istruzione, pagando migliaia di euro affichè il diritto costituzionale allo studio fosse garantito anche per i loro figli.

Perchè per loro, a volte anche ottenere diritti basilari come questo spesso si trasforma in una battaglia sfibrante, con la società e con le istituzioni. Un’incertezza continua, che porta con sé lo spettro di quel futuro a tinte fosche tanto temuto dai genitori, di quel “dopo di noi“ in cui appunto loro non ci saranno più, e allora chi ci penserà a difendere coloro che non hanno voce e che non possono farlo da sé? Ed ecco che il progetto di legge promosso dalla deputata Pd, Ileana Argentin, dovrebbe occuparsi di dare una garanzia a questi familiari preoccupati, con la creazione di un nuovo fondo da 300 milioni destinato ai disabili attraverso il “finanziamento di varie tipologie di programmi di intervento (…) per iniziativa di associazioni, famiglie e soggetti del terzo settore” selezionati dal ministero del Lavoro. Certo, ancora una volta, la preoccupazione è la gestione di questi fondi, che si teme finiranno per ingrassare i soliti “grossi interessi politici ed economici”, mentre molti familiari auspicano un intervento che vada a favore di un accompagnamento verso una sempre maggiore autonomia, per chi può, o dell’assistenza domiciliare rispetto a quella in istituto, meno traumatica per la persona disabile e meno costoso per le casse dello Stato.

Ovviamente ci sono casi e casi, e se la Argentin ha promesso un miglioramento della legge in esame, verso interventi maggiormente condivisi, le famiglie stanno all’erta. “Sono 2 milioni 600 mila le persone che nel nostro Paese sono colpite da disabilità grave e per questo non sono autosufficienti – scrive la deputata Pd – Ciò vuol dire che le famiglie italiane interessate sono circa il 15 per cento del totale, quindi il 4,8 della popolazione italiana”.

Anna Toro

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