Energia: solo dall’Europa può venire il cambiamento

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Ogni anno la British Petroleum (BP) edita lo "Statistical Review of World Energy" (in .pdf) un rapporto aggiornato e puntuale della situazione energetica globale differenziata attraverso le varie forme e descritta secondo la produzione e consumo dei singoli Stati. Certamente non possiamo parlare di una ricerca neutra e “terza”, essendo la BP una delle storiche “sette sorelle” che gestivano gli approvvigionamenti di idrocarburi ed essendo protagonista di alcuni dei più gravi disastri ambientali degli ultimi decenni.

Tuttavia i dati forniti non si discostano molto dalla realtà sul campo. Una realtà impressionante, purtroppo in contrasto con ogni buon proposito ecologico che prometteva solennemente in grandi consessi internazionali una riduzione delle emissioni inquinanti nell’atmosfera. Nulla di tutto questo perché la corsa allo sviluppo insostenibile non si cura dell’ambiente.

Ecco alcune cifre, pressoché in linea con quelle fornite dall’International Energy Agency. Il consumo di energia a livello globale è complessivamente cresciuto nel corso del 2010 del 5,6%, l’incremento più ampio dal 1973, segno di una ripresa economica dopo la crisi degli anni precedenti. Ma la percentuale di crescita varia in modo sostanziale tra i paesi avanzati (o di antica tradizione di sviluppo economico, insomma i cosiddetti paesi occidentali) e le potenze emergenti soprattutto asiatiche (a cui si aggiunge il Brasile). Il consumo energetico di quest’ultimo gruppo di Stati è cresciuto del 7,5% e dal 2000 addirittura del 63% mentre quello degli Stati Uniti, per esempio, è rimasto quasi identico.

La Cina continua a macinare record e nel 2010 è divenuta il primo consumatore di energia al mondo: Cina, Stati Uniti ed Europa (senza la Russia) hanno ciascuno una quota del 20% dei consumi segno che la partita energetica mondiale si gioca tra questi tre protagonisti. La cartina del mondo vede infatti un flusso di petrolio e gas che dalle regioni mediorientali e dalla Russia giunge nelle tre zone di maggiore consumo: la freccia è unidirezionale nel senso che prevalgono in misura massiccia le importazioni, necessarie per il mantenimento dei ritmi di sviluppo.

La risorsa più utilizzata per produrre energia è il petrolio che conserva ancora 1/3 della quota di mercato benché il suo primato sia costantemente eroso dall’incremento dell’utilizzo di altre fonti di energia (carbone, gas, biocarburanti, rinnovabili): è aumentata persino l’energia prodotta dalle centrali nucleari ma ciò è avvenuto prima del caso di Fukushima. Da un punto di vista ambientale il dato più preoccupante è il forte incremento della produzione e del consumo di carbone, uno dei combustibili più inquinanti. A dispetto di qualsiasi intesa e proposito a riguardo delle emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera, nel 2010 il consumo di carbone è cresciuto del 7,6% (in dieci anni del 25,6%): la Cina, smentendo promesse ufficiali, è arrivata al record di consumare quasi la metà di tutto il carbone utilizzato dagli altri paesi messi insieme che hanno bisogno di questa tradizionale materia prima.

Anche il consumo di gas naturale è cresciuto (7,6%) in tutte le zone del mondo eccetto il Medio-Oriente: l’incremento più significativo, oltre il 20%, ha interessato l’India che negli ultimi anni ha messo in campo “alleanze energetiche” in grado di assicurare il rifornimento attraverso gasdotti provenienti dall’Iran e dalle repubbliche dell’Asia centrale.

Nel 2010 l’incremento delle energie rinnovabili è stato a due cifre ben 15,5% tuttavia esse rappresentano un misero 1,8% del consumo totale. Occorre rendersi conto che una quota parte di queste rinnovabili deriva dai biocarburanti “coltivati” soprattutto negli Stati Uniti e in Brasile: il problema dello sfruttamento dei terreni agricoli per produrre non alimenti per sfamare le popolazione ma cereali dai cui oli trarre combustibile, provochi danni sociali e umani non trascurabili. Stranamente l’energia idroelettrica che copre il 6,5% del fabbisogno mondiale non è considerata rinnovabile com’è quella eolica, solare o termica. La produzione è aumentata del 5,3% con la Cina ad avere realizzato il maggiore incremento soprattutto grazie alla famigerata “Diga delle tre gole”, che sta causando previsti e enormi problemi idrogeologici.

Attraverso formule di equivalenza (che trasformano le quantità di energia prodotte e consumate secondo le varie fonti nell’equivalente di milioni di tonnellate di petrolio) lo studio fornisce un quadro sinottico globale altamente significativo. In termini assoluti nel 2010 sono stati consumati poco più di 12 mila milioni di tonnellate di petrolio. Questa la classifica per nazione: 1. Cina (2.432,2), 2. Stati Uniti (2.285,7), 3. Russia (690,9), 4. India (524,2), 5. Giappone (500,9), 6. Germania (319,5), 7.Canada (316,7), 8. Brasile (253,9). L’Italia con 172 milioni di tonnellate si trova circa al quindicesimo posto. Questa graduatoria, basata sull’indicatore forse più tradizionale della situazione economica di un paese qual è il consumo di energia, evidenzia più di altre sigle e analisi i rapporti di forza sul terreno della competizione globale.

Molto interessante notare la diversificazione regionale dell’utilizzo di energia. I paesi della zona Asia Pacifico guidano con il 38,1 il consumo globale di energia utilizzando per il 52% il carbone come combustibile. Mentre in Medio-Oriente si consumano quasi esclusivamente petrolio e gas, i paesi europei si caratterizzano per un maggiore equilibrio tra le fonti.

Guardando all’Italia nel 2010 il consumo di energia è stato dell’equivalente di 172 milioni di tonnellate di petrolio (+2,3% rispetto al 2009 ma in calo rispetto 10 anni fa), che rappresenta l’1,4% del consumo globale. Il petrolio e il gas, in misura simile, coprono quasi l’80% dei nostri consumi, per il resto soddisfatti dal carbone (7,9%), dalle fonti idroelettriche (6,5%) e dalle rinnovabili (3,3%). La media europea dell’incidenza delle energie rinnovabili è ancora più bassa (2,3%) ma notevolmente più alta degli altri continenti, mentre i paesi più virtuosi sono Portogallo (oltre il 10%), la Spagna (8,2%) e la Germania (5,8%). Eppure questa è l’unica strada per il futuro: l’Italia dopo l’esito del referendum riuscirà a scommettere sul sole e sul vento, guardando in alto, oppure vorrà ancora scavare nella terra per cercare inutilmente petrolio?

Piergiorgio Cattani

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