Ecuador: l'esercito si ritira, torna la calma a Quito

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Con le dimissioni del presidente Lucio Gutiérrez, rifugiatosi presso l'ambasciata del Brasile, la nomina a capo dello Stato del vicepresidente Alfredo Palacio e il ritiro dalle strade dell'esercito e della polizia che ha tolto l'appoggio a Gutiérrez, sembra essere tornata la calma a Quito, capitale dell'Ecuador. "La situazione è cambiata - riportava ieri notte una fonte dell'agenzia Misna - dopo che i militari hanno annunciato di aver ritirato il loro sostegno al presidente Gutierrez e hanno smobilitato gli uomini dispiegati intorno ai palazzi del potere facendoli rientrare nelle caserme". Quasi contemporaneamente la maggioranza dei deputati del Parlamento, riuniti al Palazzo dei Congressi nel nord della capitale, ha votato la destituzione di Gutierrez con una sessantina di voti sui 101 totali. L'ex presidente Lucio Gutiérrez si è rifugiato presso l'ambasciata del Brasile dove il governo brasiliano gli ha accordato asilo diplomatico.

Sarebbero tre le vittime e decine i feriti delle manifestazioni, in gran parte pacifiche, che hanno occupato la capitale nei giorni scorsi. Anche il ritorno a Panama dell'ex-presidente Abdalá Bucaram, dove era rimasto per otto anni fino allo scorso 2 aprile quando la Corte Suprema aveva annullato i procedimenti per corruzione permettendogli di rientrare in Ecuador, e l'annuncio del neo-presidente Palacio della fine della "dittatura, dell'immoralità, della violenza e del terrore"' e di un prossimo referendum per riformare la costituzione avrebbero contribuito a riportate la calma nel Paese andino che comunque rimane sotto osservazione da parte dell'Onu.

Le proteste di piazza erano cominciate la scorsa settimana quando il governo di Lucio Gutierrez e l'ex-presidente della Corte suprema, Guillermo Castro con una sentenza inappellabile aveva annullato i procedimenti per corruzione in corso contro l'ex-capo dello Stato Abdalá Bucaram permettendogli di rientrare nel paese andino. Un identico provvedimento era stato approvato da Castro a favore dell'ex-presidente Gustavo Noboa e dell'ex vicepresidente Alberto Dahik, anch'essi accusati di corruzione. A seguto dell manifestazioni il presidente Gutierrez aveva imposto lo stato d'emergenza nella capitale e nella provincia del Pichincha e aveva destituito la Corte Suprema di Giustizia (CSJ). Lo stato di emergenza imponeva rilevanti limitazioni ai diritti civili riconosciuti dalla Costituzione, tra cui limitazioni al diritto di associazione e di opinione e attribuiva maggiori poteri alle Forze dell'ordine. Dopo alcune ore di silenzio, le Forze Armate avevano espresso il loro appoggio alla decisione di Gutierrez, considerata dal capo del Comando Congiunto dell'esercito come "il mezzo e non il fine per riportare ordine nel disordine, la pace nell'anarchia". Il ministro della Difesa, Wilson Revelo, aveva aggiunto che gli interventi delle forze dell'ordine per far rispettare lo stato di emergenza sarebbero stati decisi direttamente dai vertici militari e che "se si dovessero situazioni che mettono in pericolo l'ordine pubblico generando il caos, le forze armate, a loro discrezione, potranno intervenire, reprimere e detenere persone". Un "auto-golpe" in piena regola che ha accresciuto la protesta dei cacerolazos.

Va ricordato che Gutiérrez era stato eletto nel novembre 2002 da una piattaforma popolare, indigena e di sinistra, sulla base di un programma progressista che successivamente ha accantonato per allinearsi alla borghesia ecuadoriana dei banchieri della costa e al Plan Colombia made in USA, al quale - secondo i manifestanti - ha svenduto la sovranità nazionale regalando al Commando Sud del Pentagono la base di Manta (quasi al confine con la Colombia) ed altri pezzi del territorio ecuadoriano per costruire nuove infrastrutture militari. [GB]

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