Economia e ambiente: nuovi spazi di cittadinanza

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Come sta l'economia

Nell’attuale fase storica, in cui la variante liberal/liberista dell’ideologia della crescita, dopo aver sconfitto le varianti socialdemocratiche e socialiste, ha raggiunto il suo apice arrivando ad esercitare un’egemonia assoluta su tutti i popoli della terra e su tutte le correnti politiche, la crescita della produzione di merci è rimasta inceppata dalla sua stessa affermazione, che ha determinato:

- un eccesso di offerta sulla domanda, da cui è stata causata una crisi di sovrapproduzione e un aumento della disoccupazione;

- un eccesso di consumo di risorse, sia non rinnovabili (in particolare, ma non solo, le fonti energetiche fossili), sia rinnovabili (ma in quantità e con tempi di riproduzione che non riescono a sostenere i tempi sempre più rapidi e le quantità sempre maggiori con cui vengono consumate per sostenere la crescita), da cui derivano scarsità e aumenti dei prezzi;

- un eccesso di immissioni di scarti delle attività antropiche nelle acque, nell’aria e nei suoli, sotto forma di rifiuti solidi urbani, industriali e agricoli, di sostanze inquinanti, di anidride carbonica in atmosfera, da cui sono derivati problemi ambientali sempre più gravi e diffusi ed è stata innescata una mutazione climatica.

 

Come sta l'ambiente

- Da 650.000 anni all'inizio del secolo scorso le concentrazioni di anidride carbonica in atmosfera non hanno mai superato le 290 parti per milione; nel secolo scorso sono aumentate del 33 per cento, arrivando a 380 parti per milione;

- le cause di questo incremento sono tutte di origine antropica: consumo crescente di fonti fossili per sostenere la crescita produttiva, e deforestazioni crescenti per urbanizzazioni e agricoltura;

- contestualmente nel secolo scorso si è avuto un incremento della temperatura terrestre che ha innescato una mutazione climatica caratterizzata da accentuazioni dei fenomeni climatici estremi: aumento delle temperature medie stagionali, uragani, tropicalizzazione dei climi temperati, siccità (esempi dalla mia esperienza a Torino);

- l'aumento medio della temperatura terrestre nel periodo 1905-2005 è stato di appena 0,74 °C (1 °C in area mediterranea);

- Kyoto, dicembre 1997: ridurre le emissioni di CO2 (-5,2% a livello mondiale; -8% Europa; -6,7% Italia; -25% Germania, entro il 2010 rispetto ai valori del 1990)

- Italia: + 14%: governi di tutti i colori (accomunati da politiche economiche finalizzate alla crescita (+ produzione, + consumi, + consumi energetici);

- IPCC e Unione Europea, inizio 2008: ridurre le emissioni di CO2 del 20% entro il 2020 (la vulgata del 20-20-20) e del 50% entro il 2050 (ultimo G8: solo 2050);

- Se si raggiungerà l'obbiettivo del -20% entro il 2020 (tecnicamente possibile, le emissioni di CO2 si possono anche ridurre del 100%, esempio fabbrica tedesca, esempio case passive), la temperatura media della terra in questo secolo aumenterà solo di 2 °C, quasi il triplo del secolo scorso; altrimenti, se aumenterà + di 4 °C verranno a mancare le condizioni che hanno consentito lo sviluppo della specie umana. Prima che di nuovi diritti di cittadinanza occorre parlare di diritto di sopravvivenza.

La causa che ha provocato la crisi economica e la crisi ambientale che stiamo vivendo, è la stessa: la finalizzazione dell'economia alla crescita del Pil.

La soluzione che viene proposta da tutte le forze politiche e da tutti gli orientamenti culturali è il rafforzamento della causa delle due crisi: il rilancio della crescita del Pil.

Ma che cos'è questa crescita del Pil? Cosa misura? Può essere un reale indicatore di benessere? Perché viene considerato un indicatore di benessere?

Il Pil non misura, come diffusamente si crede, la quantità dei beni che vengono prodotti e dei servizi che vengono forniti nel corso di un anno da un sistema economico e produttivo, ma il valore monetario delle merci scambiate.

Differenza tra il concetto di merce (oggetto o servizio scambiato con denaro) e il concetto di bene (oggetto o servizio che soddisfa un bisogno o un desiderio). Ci sono merci che non sono beni e beni che non sono merci.

Il valore monetario del cibo che si butta in Italia lungo tutta la filiera dalla produzione alla distribuzione al consumo è pari al 2% del Pil. Se non si buttasse più cibo (una merce che non è un bene) si avrebbe una riduzione del Pil, una diminuzione delle spese delle famiglie e un miglioramento della qualità ambientale: meno rifiuti organici da smaltire.

La riduzione delle dispersioni termiche degli edifici (dai 2/3 ai 9/10 dei consumi medi italiani: una merce che non è un bene) comporta una riduzione del Pil, una diminuzione delle spese delle famiglie e un miglioramento della qualità ambientale: riduzione proporzionale dell'effetto serra.

Alcuni miglioramenti si possono ottenere soltanto con delle riduzioni: meno = meglio.

La crescita del Pil può essere considerata un indicatore di benessere soltanto in un sistema di valori che confonde il più col meglio. Questo sistema di valori ha pervaso tutti i popoli del mondo e tutti gli ambiti culturali. La confusione del più col meglio sta distruggendo il mondo.

Enciclica Caritas in veritate, punto 14 […] La tecnica, presa in se stessa, è ambivalente. Se da un lato, oggi, vi è chi propende ad affidarle interamente detto processo di sviluppo, dall'altro si assiste all'insorgenza di ideologie che negano in toto l'utilità stessa dello sviluppo, ritenuto radicalmente anti-umano e portatore solo di degradazione. Così, si finisce per condannare non solo il modo distorto e ingiusto con cui gli uomini talvolta orientano il progresso, ma le stesse scoperte scientifiche, che, se ben usate, costituiscono invece un'opportunità di crescita per tutti. L'idea di un mondo senza sviluppo esprime sfiducia nell'uomo e in Dio. È, quindi, un grave errore disprezzare le capacità umane di controllare le distorsioni dello sviluppo o addirittura ignorare che l'uomo è costitutivamente proteso verso l'« essere di più ». Assolutizzare ideologicamente il progresso tecnico oppure vagheggiare l'utopia di un'umanità tornata all'originario stato di natura sono due modi opposti per separare il progresso dalla sua valutazione morale e, quindi, dalla nostra responsabilità.

L'uomo non è costitutivamente proteso verso l'essere di più, ma verso l'essere meglio e l'essere meglio, come abbiamo visto, a volte coincide col meno. Solo se si ripristina culturalmente la differenza tra qualità e quantità è possibile affrontare positivamente sia gli aspetti economico-occupazionali, sia gli aspetti energetico-ambientali della crisi che stiamo attraversando. Necessità di cambiare il paradigma culturale che uniforma l'occidente da almeno due secoli.

I due aspetti della crisi possono essere risolti soltanto insieme. Non c'è via d'uscita dalla crisi economica se non attraverso la risoluzione della crisi ambientale. E solo la soluzione della crisi ambientale consente di risolvere la crisi economica. Questa reciprocità positiva si può realizzare soltanto se si esce dalla logica della crescita del Pil. Soltanto se si costruisce un altro paradigma culturale.

Nella (il-)logica della crescita del Pil, se l'offerta eccede la domanda, ovvero se si produce più del necessario, non è nemmeno concepibile ridurre l'offerta, occorre potenziare la domanda (rilanciare i consumi...). Politica delle rottamazioni nel settore automobilistico e riduzione dei vincoli per ampliare le cubature nel settore dell'edilizia. Politica comune a destra e sinistra. Per ampliare la domanda la sinistra aggiunge una redistribuzione del reddito ai meno abbienti (Bersani alla festa del PD a Genova).

Il settore automobilistico non ha più le potenzialità espansive degli anni passati. Negli anni sessanta 1.800 automobili circolanti in Italia. Nel 2008 35 milioni. L'autotrasporto assorbe 1/3 dei consumi energetici globali (quindi contribuisce per 1/3 all'effetto serra). Negli anni sessanta fortissima necessità di case e edilizia industriale. Oggi case, uffici e capannoni vuoti. Il solo riscaldamento invernale degli edifici assorbe 1/3 dei consumi energetici globali (quindi contribuisce per 1/3 all'effetto serra). Nella logica della crescita (= aumentare la domanda, rilanciare i consumi) non si esce né dalla crisi economica-occupazionale, né dalla crisi energetica-ambientale.

Se invece si puntasse alla ristrutturazione energetica degli edifici esistenti per ridurne i consumi almeno dei 2/3, si svilupperebbe un'occupazione numerosa e qualificata che consentirebbe di ridurre anche la crisi energetica. Ma se i nostri edifici consumassero 1/3 di quanto consumano attualmente si avrebbe una riduzione del Pil: un meno che è meglio e un meglio non ottenibile se non con un meno. Inoltre questa occupazione pagherebbe i suoi costi con la riduzione dell'acquisto di fonti fossili.

Considerazioni analoghe si possono fare in relazione a una parziale riconversione dell'industria automobilistica alla produzione di micro-cogeneratori (macchine che utilizzano per il riscaldamento degli ambienti il calore di scarto della produzione di energia elettrica).

Più in generale occorre passare da innovazioni tecnologiche finalizzate ad aumentare la produttività a innovazioni tecnologiche finalizzate a ridurre progressivamente:
- il consumo di energia;
- il consumo di materie prime;
- la produzione di rifiuti.

Tradotto in termini economici ciò significa sviluppare tecnologie finalizzate a una decrescita mirata del Pil, riducendo la produzione e il consumo di merci che non sono beni, riducendo al minimo l'impatto ambientale, riducendo al minimo l'impronta ecologica. Attenuare la crisi ambientale è l'unico modo di creare occupazione nei paesi industrializzati.

Al di là della valenza scientifica, economica, occupazionale, questa scelta:
- ridà senso al lavoro: non un fare finalizzato a fare sempre di più, ma un fare bene per migliorare il mondo (per completare l'opera della creazione divina);
- ricolloca gli esseri umani in un giusto rapporto col fare, liberandoli dal ruolo di strumenti della crescita economica e riportando l'economia al suo ruolo di strumento per favorire una maggiore realizzazione umana (nuovo Rinascimento).

Ma la riduzione della produzione di merci che non sono beni non è sufficiente se ad essa non si affianca un aumento della produzione e dell'uso di beni che non sono merci, cioè un vasto processo di demercificazione negli stili di vita.

Rivalutare la sobrietà, che in una società fondata sulla crescita del Pil è stata derubricata a taccagneria. Riduzione della propria impronta ecologica, ma se si consuma di meno perché si spreca di meno, si può vivere con un reddito monetario inferiore, si può lavorare di meno e dedicare più tempo alle esigenze spirituali e relazionali. La sobrietà è una forma di rispetto del mondo e di se stessi.

Riscoprire l'autoproduzione di beni. Non solo si recupera un saper fare perduto e una maggiore autonomia, ma si riduce il consumo di merci che non sono beni: filiere cortissime, riduzione dei rifiuti, cibi più sani, riduzione dei costi.

Riutilizzare forme di scambio non mediate dal denaro, fondate sul dono e la reciprocità: obbligo di donare, obbligo di ricevere, obbligo di restituire più di quello che si è avuto. Ricostruire legami sociali distrutti dalla mercificazione. Significato etimologico della parola comunità: cum munus.

Infine alcune domande: Polis globale o economie autocentrate? Diritti di cittadinanza o di contadinanza? Estensione della mercificazione a tutto il mondo e a ogni aspetto della vita, o economie di sussistenza, o autarchia? Occidentalizzazione del mondo o rispetto delle diversità culturali?

Maurizio Pallante
(Scheda-guida dei lavori del Seminario al Convegno: Cittadini incompiuti. Quale polis globale per il XXI secolo. ACLI: 42° incontro nazionale di studi. Perugia, 3-5 settembre)

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