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Dossier/ Le catene della guerra in Italia. Trasporti e logistica (4)
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Foto: Manifestazione a Trieste, foto del Tavolo della Pace Friuli Venezia Giulia.
Componenti e pezzi di armamenti, proiettili, cannoni o interi blindati percorrono la supply chain fino ad arrivare agli utilizzatori finali, nei teatri dei conflitti, per armare stati, reprimere dissidenti e preparare nuove guerre. I trasferimenti di armamenti si effettuano spesso con gli stessi “mezzi” delle merci “civili”, utilizzando la stessa catena logistica, porti, ferrovie, aeroporti. Non solo i fornitori, anche la logistica è quindi dual use. Ma c’è chi si oppone, a partire da lavoratori e lavoratrici.
Qui i primi tre dossier:
Dossier/Le catene della guerra in Italia. I fornitori dell’Emilia Romagna (1)
Dossier/Le catene della guerra in Italia. I fornitori del Nord Est (2)
Dossier/ Le catene della guerra in Italia. I fornitori in Lombardia (3)
I porti
Il Porto di Genova è ormai famoso per l’eroica resistenza dei portuali (Calp), che nel maggio 2019 si rifiutarono di caricare sulla nave saudita Bahri Yanbu, due casse di armamenti destinati alle operazioni belliche dell’Arabia Saudita contro lo Yemen. Fu quello l’inizio di un movimento di portuali sempre più forte ed esteso che comprendeva i porti di Livorno, Salerno, Napoli. La legge 185/90 in realtà già vieterebbe non solo l'export ma anche il transito di armi verso paesi in guerra, eppure i porti d’Italia continuano ad essere percorsi da navi container che trasportano armi.
A fine 2023 un appello lanciato dai sindacati palestinesi, contro le navi della compagnia marittima israeliana Zim, ha suscitato grande solidarietà in tutto il mondo, con proteste in ogni porto dove era diretta. Anche la nave Katrine, che trasportava 150 tonnellate di RDX, un composto utilizzato negli esplosivi e diretto ad Israele, fu rifiutata in molti porti. Purtroppo però il traffico di armamenti continua quotidianamente, spesso all’insaputa degli stessi lavoratori. La nave ro-ro «Severine» (bandiera maltese) a inizio febbraio 2025 ha caricato una decina di mezzi militari pesanti nel porto di Bari. La Severine era già stata segnalata anche ad Ortona, dove aveva fatto tappa per caricare i mezzi militari prodotti dalla Tekne, destinati probabilmente al conflitto in Ucraina. Anche il porto di Monfalcone (Go), sebbene non sia abilitato al movimento d’armi, ospita navi cargo piene di armi. Il 6 dicembre 2024 qui ha fatto tappa la Nave Capucine (gemella della Severine), caricando esplosivi.
Traffici di armi anche nei porti di Capodistria e di Trieste, sebbene il territorio libero di Trieste dovrebbe essere disarmato e neutrale sotto tutela ONU. Nel 2020 da questo porto sono partite anche le cosiddette “navi della vergogna”, le fregate Fremm costruite da Fincantieri e vendute all’Egitto, pochi anni dopo il brutale assassinio di Regeni. Caso sul quale recentemente è tornato l’ex premier Conte, dicendo però che non si pente...