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Dopo gioranta UNESCO per la libertà d'informazione, altri eventi e bilanci
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Continuano nel mondo le iniziative collegate alla 13esima "Giornata della Libertà d'informazione" celebrata sabato scorso per iniziativa dell'Unesco, l'organizzazione dell'Onu con sede a Parigi per l'istruzione, la cultura e la scienza, secondo i cui calcoli dal 1992 al 2002 sono stati uccisi in totale 523 giornalisti, 179 dei quali in guerra. Non è quindi per caso che domani, a Firenze, in collaborazione con la Regione Toscana, si svolge la manifestazione "Di Giornalismo si muore", indetta dalla Federazione Nazionale della Stampa (Fnsi), dall'Associazione stampa toscana e da 'Informazione senza frontiere' ( Isf), preceduta oggi dalla presentazione del rapporto annuale sulla libertà di stampa curato da (Isf), dedicato quest'anno soprattutto ai Paesi dell'ex-Unione Sovietica. Preceduta e seguita da numerosi eventi collegati, la Giornata voluta dall'Unesco sta tracciando un quadro complessivo dei diversi pericoli a cui è ormai esposto il mestiere del giornalista: innanzitutto sui 'fronti caldi' come l'Iraq e il Medio Oriente che hanno provocato almeno 17 delle 23 vittime dall'inizio dell'anno , facendo scoppiare anche clamorosi casi come il doppio licenziamento in tronco di Peter Arnett dopo una sua intervista alla televisione irachena; ma anche in altri Paesi noti per le esplicite limitazioni imposte alla libertà di espressione; e perfino, purtroppo - in maniera più cronica, sottile e strisciante - in realtà apparentemente insospettabili dell'Occidente. "Il giornalismo in guerra e non solo" affronterà infatti domani a Firenze i diversi aspetti della crisi che, al di là di situazioni limite come quelle irachena e mediorientale, sembra rendere sempre più problematica anche la normale gestione del sistema d'informazione; speciale attenzione verrà riservata all'Europa e all'Italia in vista del semestre italiano di presidenza dell'Unione Europea. L'organizzazione francese 'Reporter senza frontiere', rifacendosi anche ai casi dei giornalisti Enzo Biagi e Michele Santoro, appena pochi giorni fa aveva richiamato l'attenzione del mondo sull'anomalia italiana in cui almeno tutte le principali reti televisive appaiono più o meno direttamente controllate o controllabili dal presidente del consiglio Silvio Berlusconi. In Europa, secondo il Comitato per la protezione dei giornalisti (Cpj), è comunque la Bielorussia a presentare il caso più evidente di "vulnus" alla libertà di stampa: il presidente Aleksandr LukashenkoIl nelle scorse settimane ha annunciato l'intenzione di creare un "sistema ideologico di Stato", colpendo al cuore l'intero apparato informativo del Paese. Affrontando situazioni ancora più gravi, Cpj ha messo Baghdad e l'Avana in testa al suo elenco dei regimi che colpiscono i giornalisti anche con l'arresto; in realtà, la situazione irachena è in una fase di imprevedibile mutamento e Cuba ha conquistato una posizione di primo piano nella lista in seguito ai recenti processi e arresti (27 giornalisti su oltre 70 condannati a forti pene detentive) che il governo afferma di aver disposto dopo la scoperta di un complotto anticastrista ispirato e finanziato dagli Stati Uniti. Secondo Cpj, purtroppo anche il Sud del Mondo è ben rappresentato tra i nemici della libertà di stampa: Africa, Asia e Medio Oriente offrono tutti abbondanti esempi di violenza nei confronti di giornalisti che criticano i partiti o i potenti al potere. In Vietnam, per esempio, nel 2002 le autorità hanno intensificato la repressione contro esponenti della stampa: chi contraddice pubblicamente il governo viene arrestato o brutalmente processato con l'accusa di danneggiare la 'sicurezza nazionale'. In Cecenia i giornalisti sono sottoposti a violenze fisiche, psicologiche, minacce e brutalità di ogni genere. Su Cisgiordania e Gaza, oltre alle tre vittime più recenti, c'è anche un caso italiano: non si sa ancora nulla dei risultati dell'inchiesta sulla morte di Raffaele Ciriello, il fotoreporter ucciso da un carro armato israeliano a Ramallah il 13 marzo 2002. Passando all'Africa, l'Eritrea costituirebbe l'esempio recente più negativo di un continente dove, nel suo complesso, la stampa indipendente ha pochi spazi per denunciare i numerosi e corrotti regimi; il governo di Asmara ha infatti messo al bando l'intera stampa privata: attualmente 18 giornalisti si trovano ancora nelle carceri segrete. In America Latina la Colombia continua ad essere il luogo più tormentato per i giornalisti, che come molti altri cittadini hanno pagato sulla propria pelle una guerra civile che dura da 40 anni. L'ultimo caso è l'assassinio di Luis Eduardo Alfonso, ucciso per aver criticato la brutalità delle forze paramilitari. "Freedom House", un' organizzazione internazionale senza scopo di lucro che fa un costante monitoraggio della libertà di stampa, ritiene che nel 2002 la situazione sia migliorata, rispetto all'anno prima, soltanto nelle Fij e nello Sri Lanka peggiorando invece in Armenia, Colombia, Giordania, Repubblica Dominicana,Nepal, Panama, Peru, Russia, Thailandia, Ucraina e Venezuela. Sui 193 Paesi monitorati (inclusi i territori palestinesi), Freedom House -che insieme ad altre 56 organizzazioni di tutto il mondo aderisce al network canadese sulla libertà d'espressione Ifex (International Freedom of Expressione Exchange)- ritiene che in 78, pari al 20 per cento della popolazione mondiale, la stampa sia libera; in 47 (pari al 38 per cento) sia parzialmente libera e in 68 ( corrispondenti al restante 42 per cento) sia 'non libera' a causa di controlli statali o di altri ostacoli. "Siamo molto preoccupati - ha detto Jennifer Windsor, direttrice di Freedom House - per la significativa diminuzione della libertà di stampa.Ci preoccupa soprattutto il fatto che alcuni Paesi nominalmente democratici non abbiano media indipendenti forti a causa di pesanti interferenze governative".(di Pietro Mariano Benni ed Emiliano Bos)[