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Donne, lavoro e scienza, a che punto siamo?
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Foto: Unsplash.com
“A dieci anni dalla legge Golfo-Mosca sulle quote rosa, le donne nei Consigli di amministrazione delle società quotate in borsa sono passate dal 7,4 per cento al 36,4 per cento, ma non si è prodotto un impatto sul management né cambiamenti profondi nel sistema economico e sociale – riporta la fondazione Mondo Digitale, un’organizzazione no-profit impegnata nel promuovere l’inclusione digitale, cogliendo la sfida di condividere i benefici di conoscenze, nuove tecnologie e innovazione a vantaggio di tutte le persone, anche le più emarginate.
Tra le categorie ai margini di tali benefici ci sono le donne, ancora in gran parte escluse da questo settore del mercato del lavoro.
“La conciliazione dei tempi di vita è ancora una forte criticità – sottolinea la fondazione - mentre la qualità del lavoro femminile peggiora con la crisi sanitaria”. Secondo la società di consulenza McKinsey, infatti, i posti di lavoro ricoperti dalle donne sono 1,8 volte più vulnerabili all’emergenza sanitaria in corso rispetto a quelli degli uomini, un gender gap che potrebbe ridurre la crescita del PIL globale di oltre mille miliardi di dollari nel 2030. “Occorre potenziare la presenza delle donne nei settori scientifici e tecnologici, superando stereotipi e pregiudizi che condizionano anche le nuove generazioni” conclude la fondazione Mondo Digitale.
Il tema della scarsa presenza femminile nelle “posizioni che contano” continua a essere di attualità in Italia. Pensiamo quando a maggio, un appello firmato da 16 senatrici poneva all’attenzione di tutti un dato preoccupante: nella task force guidata da Colao chiamata a gestire la Fase 2 dell’emergenza Covid-19, su diciassette esperti solo quattro sono donne. Un recente rapporto Eurostat ci ricorda, inoltre, che nel settore delle scienze e dell’ingegneria le donne sono soltanto il 34%, a fronte di una media europea del 41%, mentre solo il 36% di donne sono in politica. Del resto, come ricorda anche Orizzonte Scuola se vi sono dei settori in cui le donne sono sottorappresentate, ve ne sono altri in cui sono maggiormente presenti: è il caso delle professioni dell’istruzione e della cura, tradizionalmente affidate a mani femminili.
Come mai queste differenze di genere? Come analizza Avenir-Suisse, la chiave di risposta per la cosiddetta «segregazione occupazionale» è di tipo sociologico: per le donne in Italia pesano la mancanza di esempi da emulare e l’importanza della tradizione. Chi prospetta una carriera discontinua, ad esempio perché mette in conto future responsabilità famigliari, preferirà una professione in cui le interruzioni non causino un’ingente perdita di guadagno e dove le competenze invecchiano meno velocemente, quindi una carriera meno condizionata dal progresso tecnologico. Inoltre, ricercherà attività che consentono di lavorare a tempo parziale o che offrono orari prevedibili. Siccome sono ancora soprattutto le donne a sopportare la maggior parte degli oneri legati all’educazione dei figli, esse sono sin dall’inizio più propense a scegliere professioni «tipicamente femminili», corrispondenti ai suddetti criteri.
Tra gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile promossi dall’ONU nell’ambito dell’Agenda 2030, e che vedono un impegno di tutti i Governi nazionali, l’Obiettivo 5 è quello relativo alla necessità di lavorare sulla parità di genere. ASVIS, incaricata di monitorare l’avanzamento dell’Italia, sull’Obiettivo 5, analizza che tra il 2010 e il 2018 il paese presenta un importante avanzamento grazie all’aumentata presenza delle donne in Parlamento e nei Consigli di amministrazione delle società quotate in Borsa; ma “gli indicatori in controtendenza sono invece quelli relativi alle iscrizioni a corsi universitari scientifici e tecnici, che evidenziano come le donne scelgano sempre di meno i corsi universitari scientifici rispetto agli uomini, e il tasso di part-time involontario, significativamente cresciuto per le donne”.
Nell’ottica di incentivare la partecipazione delle giovani donne al mercato del lavoro e sostenere la parità di genere nei settori della scienza e della tecnologia, tra i tanti progetti attivi c’è “Coding Girls”, promosso dalla Fondazione Mondo Digitale e dalla Missione diplomatica Usa in Italia che coinvolgerà 100 classi delle scuole medie e superiori e 32 partner accademici, per raggiungere 15 mila studentesse di 24 città, dal nord al sud Italia. Il programma prevede un’esperienza immersiva tra fabbricazione digitale e robotica, allenamenti e competizioni di coding ma anche sessioni di orientamento e incontri motivazionali ed una maratona finale per creare applicazioni e prodotti educativi.
“Siamo sempre più convinti che la strategia per accelerare il raggiungimento della parità di genere sia la scuola, come presidio contro ogni forma di disuguaglianza – afferma Mirta Michilli, direttrice della Fondazione Mondo Digitale. – Aiutiamo le nuove generazioni a liberarsi da luoghi comuni e stereotipi, per progettare in libertà il loro futuro. Con percorsi di formazione esperienziale e trasformativa e il confronto costante con modelli positivi, le ragazze acquisiscono consapevolezza delle loro potenzialità.”
Intorno a progetti come questo, e con il supporto delle misure politiche a sostegno della partecipazione delle donne al mercato del lavoro, si rafforza la possibilità di promuovere una leadership femminile per far crescere il paese.
Lia Curcio

Sono da sempre interessata alle questioni globali, amo viaggiare e conoscere culture diverse, mi appassionano le persone e le loro storie di vita in Italia e nel mondo. Parallelamente, mi occupo di progettazione in ambito educativo, interculturale e di sviluppo umano. Credo che i media abbiano una grande responsabilità culturale nel fare informazione e per questo ho scelto Unimondo: mi piacerebbe instillare curiosità, intuizioni e domande oltre il racconto, spesso stereotipato, del mondo di oggi.