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Donne e business in Africa, molto si muove
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Le donne d’Africa sono oltre mezzo miliardo di cui il 40% ha meno di quindici anni. Non abbiamo certo bisogno che sia McKinsey Global Institute a dirci che le donne sono importanti in Africa, come nel resto del mondo. La consapevolezza di ciò è forte, perlomeno tra le donne, nonostante il sistema sociale che ci circonda. La multinazionale americana per la consulenza strategica, forse la più influente a livello mondiale, ha pubblicato all’inizio di agosto 2016, l’ultimo rapporto sulla condizione delle donne e la loro influenza nei processi decisionali e nei luoghi del potere.
Per la prima volta l’Africa è stata il continente sotto i riflettori delle analisi e l’inedita conclusione presentata dal rapporto è stata che la strada da percorrere per raggiungere l’equità nella distribuzione del potere tra uomini e donne è ancora lunga nonostante gli sforzi e i cambiamenti avvenuti. L’inedito ha dell’ironia. “L’uguaglianza tra i generi resta ancora lontana da raggiungere” – hanno dichiarato Lohini Moodley e Tania Holt, due delle ricercatrici che hanno lavorato al progetto. Alla stessa conclusione era giunto l’obiettivo di sviluppo del millennio, il terzo di otto, focalizzato sull’ urgenza di rinforzare il concetto e la pratica dell’uguaglianza tra uomini e donne. Visti i parziali successi o insuccessi, l’ONU ha ribadito la necessità di proseguire per i prossimi quindici anni con gli obiettivi di sviluppo sostenibile, dedicando il quinto dei diciassette, proprio all’uguaglianza di genere.
Perlomeno abbiamo la certezza delle nostre convinzioni, vista l’autorevolezza della fonte e considerato l’impegno economico che deve aver comportato l’elaborazione di un simile rapporto. Per una volta si scrive di un’Africa che sta davanti, che ha superato qualcuno. Purtroppo, però, sempre nell’ottica della corsa allo sviluppo che vede i Paesi del mondo dentro una malsana logica di competizione iniqua, nella quale sono i risultati che standardizzano l’appartenenza ad una o all’altra fascia di reddito e non il processo attraverso il quale questi vengono o non vengono raggiunti.
Comunque, nel quadro delle statistiche globali che riguardano l’uguaglianza di genere, secondo McKinsey l’Africa sta davanti rispetto alle sue abituali compagne di sventura, Asia e America centro-meridionale. Ci assicurano che in Africa le donne sono sempre più presenti nei consigli di amministrazione delle grandi aziende, ed anche negli esecutivi pubblici e nei parlamenti nazionali la loro presenza è sulla via del miglioramento, cioè dell’aumento quantitativo.
Nel settore privato sono 210 le aziende africane quotate in quattordici borse ad aver fornito i dati, mentre nel pubblico sono stati utilizzati i dati di 21 Paesi africani: Algeria, Egitto, Tunisia, Africa del Sud, Mozambico, Angola, Zambia, Botswana, Malawi, Etiopia, Tanzania, Kenya, Uganda, Rwanda, Nigeria, Ghana, Costa d’Avorio, Niger, Mali e Senegal.
Nelle elite africane, quindi, le donne occupano in generale il 36% dei posti di responsabilità. Nello specifico esse rappresentano il 29% dei dirigenti e quadri superiori, il 24% dei parlamentari superando di qualche punto percentuale la media mondiale che è del 21%, il 22% dei membri ministeriali, il 5% dei direttori generali e il 15% dei consiglieri di amministrazione.
Le ultime due percentuali vengono comparate all’Europa e agli Stati Uniti. L’Africa batte d’Europa dove solo il 3% delle donne è direttore generale di un’azienda ed è invece “pari” con gli Stati Uniti. Si tratta di dati medi perché le differenze tra Paesi sono profonde: 60% del parlamento ruandese è costituito da donne, mentre in Costa d’Avorio rappresentano solo il 10%.
Al di là dei numeri, il rapporto evidenzia in modo intelligente, che esserci non si traduce sempre e necessariamente in potere di decidere. Un dato sicuramente interessante e fecondo del rapporto in oggetto è il risultato ottenuto dalla correlazione tra la presenza femminile nei consigli di amministrazione e la variazione dei margini di guadagno prima che questi vengano decurtati degli oneri finanziari e delle tasse. Laddove i consigli di amministrazione sono formati da oltre il 31% da donne si ottengono dei benefici superiori del 20% rispetto a quelli dove la presenza maschile è assoluta e i segni dei guadagni negativi, addirittura meno 17%. Qualche dubbio sul ruolo delle donne?
Sicuramente, come riporta il rapporto, l’introduzione di una maggiore leadership femminile può contribuire a nuove prospettive, a nuovi modi di gestire i problemi e la valorizzazione della differenza è sicuramente una chiave per un’organizzazione di successo. Ma i risultati migliori si raggiungeranno solo nel momento in cui ci sarà il superamento di modelli autoritari patriarcali che dominano la gestione del potere, non solo in Africa, e quindi la rottura di un meccanismo di sottomissione e prevaricazione che genera violenza, soprusi, oppressioni, indipendentemente dal reddito del Paese e dal numero di parlamentari donne. E fin che continueremo ad avere la giornata mondiale contro la violenza sulle donne – l’ONU l’ha voluta il 25 novembre – la strada sarà sempre “ancora lunga da fare”, nonostante le “quote rosa” siano in aumento, soprattutto in Africa (lo scrive McKinsey).
Sara Bin

(1976) vive in provincia di Treviso e lavora a Padova. É dottore di ricerca in geografia umana; ricercatrice e formatrice presso Fondazione Fontana onlus dove si occupa di progetti di educazione alla cittadinanza globale e di cooperazione internazionale; è docente a contratto di geografia politica ed economica; ha insegnato geografia culturale, geografia sociale e didattica della geografia. Collabora con l’Università degli Studi di Padova nell'ambito di progetti di educazione al paesaggio e di formazione degli insegnanti. Ha coordinato lo sviluppo e l'implementazione dell'Atlante on-line in collaborazione con il Ministero dell'Istruzione, del'Università e della Ricerca. Dal 2014 fa parte del gruppo di redattori e redattrici di Unimondo. Ha svolto attività didattica e formativa in varie sedi universitarie, scolastiche ed educative ed attività di consulenza nell’ambito della cooperazione allo sviluppo. Tra i suoi principali ambiti di ricerca e di interesse vi sono le migrazioni, la cittadinanza globale, i progetti di sviluppo nell’Africa sub-sahariana, lo sviluppo locale e la sovranità alimentare. Ha svolto numerose missioni di ricerca e studio in Africa, in particolare in Burkina Faso, Senegal, Mali, Niger e Kenya. E' membro dell'Associazione Italiana Insegnanti di Geografia e presidente della sezione veneta.