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Dillo all'Italia perché l'Europa intenda
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Il 1° luglio comincia il semestre "italiano" dell'Unione europea. Palazzo Chigi si presenta a questo appuntamento minato nella credibilità istituzionale (il processo Sme) e con una politica estera contraddittoria, girata più verso gli interessi americani che quelli europei.
Non è mistero che i partner dell'Ue hanno molte perplessità sulla leadership di Berlusconi. Il pericolo è che questo mandato si consacri più all'immagine italiota che a perseguire concreti obiettivi politici. Restano anche - a prescindere da ciò - forti dubbi sul meccanismo di velocissima rotazione della presidenza del Consiglio europeo.
Come rivista attenta al Sud del mondo, Nigrizia si sente obbligata a richiamare il governo italiano su alcuni impegni che avranno dirette conseguenze sulla vita di milioni di persone senza voce in capitolo.
* Il "ciclo di Doha" dei negoziati nell'ambito dell'Organizzazione mondiale del commercio (Omc/Wto). Dal 10 al 14 settembre si terrà in Messico, a Cancùn, la conferenza ministeriale dell'Omc, successiva a quella di Doha (Qatar) del 2001. Il "programma di Doha" prevede negoziati mondiali sulla liberalizzazione dei prodotti agricoli, dei servizi, dell'ambiente, della proprietà intellettuale, dell'accesso ai mercati per i prodotti industriali. La presidenza italiana avrà un ruolo di supervisore dei negoziati, condotti dalla Commissione Prodi a nome degli stati Ue. Su 145 paesi membri dell'Omc, 49 sono ufficialmente Paesi meno avanzati (Pma).
A questi almeno venga riconosciuto il diritto di essere esonerati dalla posa in opera delle politiche neoliberiste (che includono l'abbattimento delle tariffe doganali e preferenziali) che ne potrebbero distruggere il tessuto sociale. Il diritto al cibo viene prima del dovere di liberalizzare l'agricoltura...
Parimenti va sostenuta una campagna per migliorare l'accesso al mercato europeo delle merci provenienti dai paesi in via di sviluppo. "Tutto, tranne le armi" è il titolo di una buona iniziativa con la quale l'Unione ha iniziato ad allargare le maglie del proprio mercato ai prodotti, escluse le armi, dei Pma (Nigrizia, 4/01, 16). Roma porti questa esperienza a Cancùn e cerchi di convincere Stati Uniti, Giappone e Canada a fare altrettanto.
La presidenza italiana ha un ruolo di supervisione a nome del Consiglio anche sui negoziati tra Ue e paesi dell'Africa, Caraibi e Pacifico (Acp) per la "regionalizzazione" dei mercati Ue-Acp. Serpeggia a livello Acp la preoccupazione che sia in cantiere lo smantellamento dell'esperienza fatta, nonché la sottomissione commerciale Acp (vedasi prezzo di banane, caffè, cacao) all'Ue.
* Migliorare quantità ed efficacia dell'aiuto. Accanto alla tradizionale rivendicazione dell'aumento allo 0,7% del Pil per la cooperazione allo sviluppo, c'è un altro aspetto, meno noto. L'ultima relazione ufficiale di Europe Aid mostra quanto elevato sia il livello di finanziamenti dell'Ue non ancora erogati. A fine 2001 ammontava a 1.319 milioni di euro, corrispondenti a ben 1.482 "impegni dormienti nel sistema contabile".
Non solo, va anche sottolineato lo "squilibrio politico" cui sembra ormai votato l'aiuto europeo. A fine 2001, ai sette principali beneficiari dell'Europa orientale erano andati 1.990 milioni di euro, contro i 1.719 milioni per l'intera Africa subsahariana.
* Il commercio delle armi. Perfino la "Quarta relazione annuale ufficiale (2002) del Consiglio sull'applicazione del Codice di condotta per le esportazioni di armi" convenzionali europee verso il resto del mondo ammette che l'incapacità e la non volontà politica dell'Europa di controllare davvero questo settore è causa di instabilità nei paesi poveri, soprattutto africani. La presidenza italiana proponga la riforma di tale Codice, soprattutto tramite la creazione di una "Agenzia europea per il controllo dell'export di armi". L'attuale Codice è quasi ridicolo, il paese europeo che esporta si limita a dichiarare la destinazione, senza verifiche dopo l'esportazione né la possibilità di applicare sanzioni.
* Un rapporteur europeo dei diritti umani in Sudan. È la richiesta di tante organizzazioni che si interessano al Sudan, dopo che lo scorso aprile la Commissione Onu sui diritti umani ha dichiarato scaduto il mandato del suo rapporteur.
Editoriale Nigrizia luglio-agosto 2003






