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Di ritorno da Baghdad
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Nei giorni scorsi una quindicina di rappresentanti di organizzazioni pacifiste, di solidarietà, sindacali, politiche, dell'informazione, gli enti locali [tra cui Un Ponte, per&, l'Ics, L'Associazione per la pace, la Cgil, la Fom ,la Uisp, Insieme-Zajedno, Rifondazione comunista, Coordinamento enti Locali per la pace, No War Tv, ecc.] hanno partecipato ad una missione di pace in Iraq, incontrando rappresentanti di forze politiche, sociali, religiose, irachene e visitando progetti, strutture sanitarie e sociali, quartieri dove è possibile da subito rafforzare e sviluppare l'intervento umanitario in corso.
La missione era stata proposta da Ics e Un Ponte per... nell'ambito delle iniziative promosse dal Tavolo di solidarietà con le popolazioni irachene con lo scopo di allargare l'impegno e il coinvolgimento di soggetti italiani nel lavoro di solidarietà con le popolazioni dell'Iraq.
Siamo stati a Baghdad, Bassora, Nassirya. Abbiamo incontrato esponenti dei partiti [comunista, islamico progressista, ecc.] del sindacato, delle organizzazioni delle donne [Iraqi Women League], delle istituzioni religiose sunnite, sciite e cristiano-caldea [il Vescovo della città], delle Ong locali [Tamusz, vicine al partito comunista iracheno], dei media indipendenti [Al-Muajaha, un nuovo settimanale finanziato dai pacifisti americani], le organizzazioni culturali [il Circolo degli Artisti, presenti pittori, teatranti, scrittori], ecc.
Prima di iniziare il programma di incontri ci siamo riuniti con gli operatori delle Ong [Ics, Un Ponte per..., Terres des Hommes, Intersos] con le quali Ics condivide l'ufficio a Baghdad, incontro nel quale abbiamo potuto fare il punto della situazione umanitaria della città dei progetti in corso, delle difficoltà che si incontrano sul campo, dei rapporti con le autorità e le istituzioni internazionali.
L'Ics continua a co-promuovere [con Un Ponte per... e Terres des Hommes] il progetto Echo di fornitura di ossigeno agli ospedali della città ed è in contatto con Unicef per la realizzazione di un progetto per la formazione di operatori sociali a Baghdad e in altre città del paese. A Bassora l'Ics sostiene con un programma specifico di integrazione alimentare ai bambini malnutriti le attività del dispensario Sindbad, istituito nel 1997 da Un Ponte per& e ha rifornito l'ospedale pediatrico della città di condizionatori d'area per le stanze dei bambini ricoverati, frigoriferi per le medicine e altre attrezzature. Il tutto grazie ai fondi raccolti dalla campagna Nuove Basi in Iraq e al sostegno di gruppi [hanno raccolto molte migliaia di euro] come Insieme-Zajedno di Roma e Assieme di Calenzano. Sono in corso contatti per altre possibili attività, ancora da avviare: da un programma con ACNUR per attività di accompagnamento [microcredito, integrazione sociale] al rientro dei profughi dall'Iran e un progetto con UNDP per la creazione di un centro giovanile in un'area particolarmente degradata della città.
Unite da alcuni punti in comune [oltre alla scontata opposizione alla guerra, il rifiuto di accettare fondi dal governo italiano e dai governi che hanno fatto la guerra] i rappresentanti delle organizzazioni della delegazione hanno potuto verificare quanto fragile e drammatico sia il dopoguerra iracheno: il disastro economico che sprofonda sempre di più la popolazione irachena nella povertà estrema, l'insicurezza della vita quotidiana con il dilagare di violenza e criminalità, lo stato di abbandono e di precarietà di tante strutture sanitarie e sociali, il caos della gestione delle forze "occupanti" dei servizi minimi che dovrebbero garantire [la luce, l'acqua, l'approvvigionamento del carburante che provoca chilometriche file alle pompe di benzina in un paese che è il secondo al mondo quanto a riserve di petrolio].
Proprio per questo la crescente presenza di una guerriglia anti-americana che - come abbiamo potuto appurare dai nostri incontri - rischia di assumere sempre un maggiore consenso di fronte ai fallimenti della gestione post bellica della coalizione anglo-americana e dei suoi alleati. La situazione di Baghdad e a Bassora è sempre molto difficile: la sicurezza è il problema principale. Le sparatorie in alcuni punti della città [e la grande diffusione di armi da fuoco tra la popolazione], il coprifuoco [a Baghdad, a partire dalle 23.00], e il ripetersi di episodi di saccheggi [tutti gli alberghi di Bassora sono murati alle finestre e alle entrate, con le guardie armate la notte] ne evidenziano la gravità. La condizione economica è sempre molto pesante: povertà, aumento di mendicanti e bambini di strada [fenomeno nuovo per il paese] come quelli permanentemente presenti davanti al nostro albergo di Baghdad ne sono i segnali più inquietanti.
La situazione sanitaria continua ad essere allarmante: la visita che abbiamo fatto all'ospedale pediatrico di Bassora [che ospita diverse centinaia di bambini] ha evidenziato l'estrema gravità del fenomeno delle malattie [gastrointestinali, leucemie, ecc.] che colpiscono i bambini, conseguenza delle condizione igienico-sanitarie portate dall'embargo e dalle guerre precedenti. L'Ics continuerà ad aiutare questo ospedale, rifornendolo di condizionatori, frigoriferi, medicine. La Uisp ha deciso di allestire una o due "ludoteche" per i bambini malati. Il sistema sanitario iracheno è sempre vicino al collasso: privo di medicine, ossigeno, attrezzature, con il personale senza stipendi. Così come la situazione delle condizioni della potabilizzazione dell'acqua, problema crescente in diverse aree del paese, all'origine di tante malattie.
Tra le tante priorità che abbiamo potuto registrare nelle nostre visite ne vorremmo segnalare tre.
La prima: la necessità di arrivare rapidamente ad una transizione politica che riconsegni l'Iraq agli iracheni, attraverso il trasferimento di veri poteri di intervento al nuovo [anche con molti limiti] "consiglio legislativo" [trasformandolo in un vero governo provvisorio], l'indizione di elezioni politiche entro pochi mesi e il ritiro delle forze occupanti e la consegna all'Onu di un mandato che permetta all'organizzazione del Palazzo di Vetro di essere l'unico garante di questo processo, inclusa la sicurezza e il "mantenimento della pace" nel paese. Tutte le forze politiche che abbiamo incontrato ci hanno manifestato questa preoccupazione: in assenza di un'investitura democratica [piena] ad un governo provvisorio degli iracheni le reazioni violente e gli attentati agli americani non potranno che aumentare. Questi non sono semplicemente il frutto delle azioni di "sbandati" o di "saddamisti", ma l'espressione crescente di un'opposizione all'occupazione anglo-americana del paese. L'atteggiamento anti-americano sta crescendo e un gruppo di organizzazioni americane che abbiamo incontrato ci hanno informato di voler costituire un "osservatorio sull'occupazione" per documentare misfatti e danni degli occupanti.
Davanti all'Hotel Palestine [dove durante la guerra erano ospitati i giornalisti] c'è la piazza simbolo della caduta del regime, ripresa dai canali internazionali quando fu divelta e buttata giù la statua di Saddam Hussein. Adesso al posto di quella del dittatore ce n'è un'altra più neutra sulla quale qualcuno ha scritto con uno spray in grandi caratteri proprio di fronte ai carri armati americani che la controllano: "All done. Go home" [tutto fatto, andatevene a casa]. Tutti ci hanno detto che un'occupazione di lungo periodo [oltre l'anno] degli anglo-americani è insostenibile per il paese e scatenerebbe una reazione sempre di più di massa. Tra l'altro le azioni militari degli oppositori si vanno via via facendo sempre di più mirate, organizzate e coordinate.
La seconda: l'impegno a sostenere rapidamente l'avvio di organizzazioni democratiche della società civile in grado di costruire un tessuto democratico e laico del paese. Gli americani sono al lavoro per clonare con i dollari ONG e organizzazioni sociali al servizio di un'idea di "società civile" molto profit e business oriented. Noi dovremmo cercare di fare esattamente l'opposto: aiutare a costruire dal basso una "democrazia che si organizza" con corpi sociali autonomi [associazioni, sindacati, media liberi, gruppi di donne, ecc.] che possono influire sulla transizione ed essere un'alternativa laica e civile [o per lo meno un contrappeso] ai nuovi raggruppamenti fondamentalisti, clanici o affaristi che si sono già formati.
In questo contesto la missione è anche servita per verificare la disponibilità di alcuni interlocutori a partecipare al forum sul dopoguerra in Iraq che si terrà a Salerno agli inizi di ottobre, nell'ambito delle iniziative legate alla marcia Perugia-Assisi. Nel nuovo contesto politico-sociale iracheno a prendere piede sono le organizzazioni islamiche o legate alle istituzioni religiose. Nell'incontro che abbiamo avuto con un Imam di un quartiere di Baghdad [gli uomini in una stanza, le donne in un'altra] e con il Partito Islamico [progressista] ci siamo resi conto dei rischi per una visione laica, democratica e di mantenimento dei diritti delle donne del futuro stato iracheno. E nello stesso tempo, l'influenza americana sulla vita politica rischia di condizionare e marcare le caratteristiche di alcune nuove forze politiche, anche se la maggioranza di queste [tra loro molto litigiose e gelose] è ancora fortemente anti-americana.
Insieme al rischio fondamentalista, vi è quello politico-affaristico [dei nuovi partiti: tra tutti il Congresso nazionale iracheno di Chalabi] legato alla gestione del business della ricostruzione e dell'aiuto umanitario [e qui entrano in gioco le nuove Ong irachene filo-americane che si vanno formando per gestire i soldi degli aiuti].
La terza: dare risposta agli immediati bisogni sociali della salute, della sopravvivenza economica, dell'istruzione ricercando una propria via alla transizione economica che non sia la predisposizione [come ci si appresta a fare] di quelle ricette neoliberiste [privatizzazioni, mercato selvaggio, deregulation del settore pubblico] che già tanti danni ha fatto nei paesi in via di sviluppo e nell'est europeo. I bisogni, come già ricordato, sono drammatici. Tutti sono consapevoli [ce l'hanno detto anche i comunisti iracheni che prima del regime di Saddam erano una delle forze principali del paese: il dittatore iracheno ne sterminò diverse centinaia di migliaia negli anni settanta] che è necessaria una transizione ad un'economia mista di mercato: ma le privatizzazioni di cui si parla qui sono altro, sostanzialmente la spartizione del bottino [vedi alla voce: petrolio] da parte degli occupanti.
Gli Stati Uniti [come forza occupante avrebbe, secondo la convenzione di Ginevra, dei doveri in tal senso] stanno facendo quasi niente: non riescono a garantire l'erogazione di luce e acqua, i servizi fondamentali, la produzione e la distribuzione della benzina alle pompe che sono quasi sempre a secco e assediate da automobilisti inferociti. Non hanno soldi [l'occupazione costa 4 miliardi di euro al mese] e se tutto va per il meglio [rimessi a posto alcuni impianti e controllati meglio gli oleodotti] riusciranno a ricavare dal petrolio iracheno entrate per 2 miliardi di euro mensili [in media]. In più i soldi per la ricostruzione che non si trovano [40 miliardi di euro in un anno], che comunque non parte finché non ci saranno condizioni sufficienti di sicurezza.
Gli appalti americani ancora non sono iniziati. La Bechtel [alla quale è associata in qualche modo la Halliburton, diretta in passato dall'attuale vice presidente americano Dick Cheney] dovrebbe rimettere a posto le scuole, ma ancora è tutto sulla carta. In questo quadro la situazione sociale e umanitaria della popolazione irachena sembra peggiorata e tutto sembra alimentare -come è avvenuto in situazioni analoghe- un'economia "grigia" fatta di traffici illeciti e criminalità. A pagare il prezzo è la gran parte della società irachena ed in particolare le categorie più esposte: bambini, anziani, disabili, donne. Nel frattempo anche i fenomeni di Aids e tossicodipendenza [come i bambini di strada che abbiamo visto sniffare colla] stanno crescendo. Gli americani pensano alla propria sicurezza, non a quella delle popolazioni e quasi niente fanno per ristabilire il minimo di infrastrutture civili che permetterebbero di vivere un po' meglio in questa fase. Prioritario è dunque inviare aiuti e rispondere a questi bisogni primari; a maggior ragione se si riesce unire a questo impegno l'iniziativa a sostegno di gruppi democratici iracheni della società civile in nascita.
Proprio nel corso della visita a Bassora è emersa tra l'altro la volontà delle delegazione che ha partecipato agli incontri la possibilità di studiare un intervento integrato sull'ospedale pediatarico di Bassora in cui le diverse organizzazioni partecipanti potrebbero dare un proprio contributo: con l'acquisto dei condizionatori [costo 350 euro ciascuno] e di altre attrezzature, la predisposizione delle "ludoteca", l'invio di medicine e attrezzature: Insieme- Zajedno, Associazione per la pace, Uisp, Comune di Salerno [presenti alla visita], hanno segnalato la loro disponibilità di realizzare in questo senso un intervento integrato.
Tutto questo in autonomia dagli occupanti e dal nostro governo. A Nassiria, dove due giornalisti di No War Tv della nostra delegazione hanno incontrato i militari italiani [sono un migliaio con camion e blindati con le scritte "italiani" in arabo, sperando così - utilizzando la fama di "italiani, brava gente" - di ricevere meno ostilità di quella subita dagli americani] hanno chiesto ripetutamente, anche al momento del congedo: "ma perché le Ong italiane non vengono qui a Nassiria a collaborare con noi"? In effetti, i militari italiani sono meno "rambo" e più dialoganti degli americani e in altre missioni di "peace keeping" [come in Bosnia e in Kosovo] sono stati dei veri "peace keepers", ma in questo caso continuano a auto-ingannarsi [volutamente?] sul loro ruolo in Iraq.
Nel vademecum della missione [quello che ogni soldato deve leggere ed imparare, eventualmente ripetere ai giornalisti] che abbiamo potuto vedere si fa riferimento alle motivazioni della loro presenza. Si citano "il contesto storico internazionale" [sic], il "mandato dell'Onu" [quale?], "la ricostruzione del paese" [ancora], ma non dicono mai che c'è stata la guerra ad un paese in violazione del diritto internazionale, e adesso questo paese è sotto controllo da parte delle "forze occupanti". Credono [fingono di farlo] di proteggere gli "aiuti umanitari" [ma quali? chi li ha visti qui?] a Nassiria, ma controllano il territorio per conto dei paesi belligeranti e occupanti. E - purtroppo, ce l'hanno qui confermato - non basterà la scritta "italiani" in arabo sugli sportelli dei camion a salvaguardarli da possibili ritorsioni o attacchi. L'Imam di Baghdad ce lo ha fatto capire eloquentemente e in modo lugubre, mimando con l'indice il grilletto di un fucile rivolto a tutti gli occupanti. Tutti.
Se il dopoguerra iracheno è cruciale per gli americani e i suoi alleati, lo è anche per noi. Nonostante la variegata presenza sul campo di alcune organizzazioni umanitarie e della solidarietà italiane - e nonostante questa importante missione - l'attenzione per il dopoguerra iracheno rischia di essere nel movimento per la pace troppo debole e comunque drammaticamente sproporzionata se messa in confronto agli straordinari livelli di mobilitazione dimostrati nell'opposizione alla guerra. Il movimento contro la guerra rischia di essere afasico e assente in questo momento determinante nel dopoguerra e di fare un passo indietro rispetto all'esperienza jugoslava, quando iniziativa pacifista e umanitaria [quella non residuale e subalterna] procedevano di pari passo.
Il "Tavolo di solidarietà con le popolazioni irachene" ha lanciato nelle settimane scorse alcune iniziative: lo sviluppo della campagna di raccolta fondi per sostenere progetti sul campo, la realizzazione di attività in Iraq che si pongono l'obiettivo di sostenere la crescita di una società civile democratica, il lancio di una petizione popolare che chiede il ritiro dei soldati italiani [e di tutti gli altri, ovviamente] e un mandato all'Onu per la transizione. Probabilmente serviranno in futuro altre missioni, altri interventi, altre iniziative. Serve - come è stato all'opera in altre aree dell'Europa e del mondo - un pacifismo concreto che oltre a manifestare in piazza è presente sul campo con tante iniziative: progetti, scambi, azioni dirette, diplomazia dal basso, ecc.
Tutto questo in Iraq, come in tutta l'area del Medio oriente che ci chiama sempre di più ad un intervento "regionale" ed integrato dentro un processo di pace che coinvolga anche le altre aree di crisi: Palestina/Israele, Iran, Turchia e Curdi, Siria. Tradurre la straordinaria mobilitazione politica contro la guerra in una presenza diffusa, concreta, di solidarietà e di volontariato pacifista diventa adesso la chiave indispensabile per cercare di spendere quel patrimonio di iniziative nello sviluppo di un'azione che sedimenti in Iraq, nel Medio Oriente e da noi le nuove basi dell'impegno per la pace e i diritti umani.
di Giulio Marcon