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Di asini, Cina e tragedie dell’etica
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Foto: Pexels.com
Recentemente della Cina abbiamo sentito parlare più del solito per quel Coronavirus che fa paura e che ci trova sprovvisti di difese. Molto meno invece abbiamo sentito parlare di Cina e asini. E non in senso figurato, razzista o fiabesco. Mi riferisco proprio all’asino, Equus africanus asinus Linnaeus, somaro, ciuco, mammifero, essere vivente. Avete mai avuto a che fare da vicino con questi animali dalle orecchie lunghe, dal sorriso esilarante, e dal raglio che fa vibrare i dintorni? Ve lo auguro. A me è capitato un po’ di tempo fa ed è stata un’esperienza di cui porto solo ricordi positivi: da loro ho imparato la fermezza, il rispetto degli spazi, la dolcezza, la gelosia, l’ostinazione, la pazienza, una capacità di reazione al dolore e di resilienza sorprendente. Sono animali ospitati nelle fattorie, specialmente in quelle didattiche, spesso coinvolti in percorsi di pet therapy per la rassicurante mitezza che li rende gentili e intelligenti compagni di lavoro sull’emotività e sull’affettività in ambienti che praticano l’onoterapia. Eppure in alcuni contesti gli asini non se la passano così bene, sono disprezzati, cacciati, catturati, rubati, torturati e uccisi. Perché? Provo a raccontarvelo, anche se fa particolarmente male.
Partiamo dai dati, che aiutano sempre a capire meglio le dimensioni di un fenomeno: in un anno, oltre 1,5 milioni di animali sono stati macellati nella sola Cina, quasi 5 milioni in tutto il mondo. Sono dati della Ong britannica The Donkey Sanctuary, nata per salvare da maltrattamenti e abusi gli asini del Regno Unito, ma diventata in un tempo piccolo un’organizzazione internazionale presente in 35 Paesi del mondo per recuperare animali in pericolo e ricostituire intorno a loro comunità e interrelazioni.
Cosa c’entra la Cina? La Cina, un Paese dove il tenore della classe media cavalca rapidamente l’onda della crescita, aumentando l’accesso a quei beni che prima erano fuori portata, in particolare latte e carne di maiale: lasciando da parte nostalgie inopportune per la povertà altrui, che pure sembrano abitare quei Paesi arricchitisi in anticipo sugli altri, il problema rimane non trascurabile, soprattutto alla luce di ciò che l’aumento nella domanda di prodotti di derivazione animale comporta a livello mondiale da un punto di vista di sostenibilità, cambiamenti climatici e, se proprio vogliamo abbozzare una questione spinosa, anche da un punto di vista etico. Ma se l’accesso alla ricchezza sta costituendo un problema soprattutto per maiali e bovini, gli asini se la passano peggio. Non si tratta infatti solo del loro latte pregiato e della loro carne, ma anche della loro pelle, utilizzata in ambito sanitario per i (presunti) poteri curativi dell’ejiao, una gelatina estratta appunto dalle pelle bollita degli asini che, secondo la medicina tradizionale cinese, potrebbe contrastare le malattie cadiache e gli aborti. Un elisir discutibile, che però trova evidentemente il suo spazio nel mercato delle assurdità se dalle 3200 tonnellate del 2013 la sua produzione annuale è aumentata a 5600 nel 2016. Un aumento del 20% annuo, che corrisponde a una popolazione di asini diminuita in Cina del 76% in poco meno di trent’anni. Una razzia che supera i confini del Paese e raggiunge, in modi più o meno legali, i territori di Brasile, Botswana, Kirghizistan, con gravi conseguenze non solo com’è ovvio per gli animali, ma con danni inimmaginabili alle economie e alle comunità locali che sugli asini hanno costruito la propria sussistenza e quella dei loro nuclei familiari.
Se in Paesi come il Kenya l’esportazione rimane ancora legale, in altri come Ghana ed Eritrea è un commercio proibito dalla legge, ma la situazione sembra paradossalmente peggiore, anche se si tratta di valutazioni che, com’è presumibile, purtroppo non possono avvalersi di dati ufficiali: le denunce di furto qui si moltiplicano e portano a galla due serie di problemi che restano sul conto della popolazione locale. Da un lato, questioni di ordine sanitario e igienico derivanti da una macellazione incontrollata che aumenta il rischio di diffusione di malattie contagiose anche per l’uomo, come l’antrace e l’influenza equina. Dall’altro, questioni di tipo sociale ed economico: gli asini sono un supporto fondamentale per le famiglie più povere nel trasporto di acqua, legna e beni primari in zone rurali dove l’emancipazione delle donne è ancora un miraggio e dove le quali, senza l’aiuto di questi preziosi alleati, rimangono in condizioni di indigenza, fatica e sfruttamento.
Lascio volutamente da parte riflessioni incenerenti sulle volgari ragioni che impediscono all’uomo, creatura che si autodefinisce evoluta, il rispetto necessario di esseri viventi dotati di sensibilità e intelligenza come gli asini (ma perché no anche gli elefanti, i maiali, le balene e molti altri?), sarebbe una lotta contro i mulini a vento dell’egoismo e delle logiche di cosiddetto “sviluppo” che ci imprigionano. Stavolta mi limito a una domanda: siamo tanto fieri e orgogliosi di essere la società del progresso, della tecnologia, del razionale che si impone alle logiche del mondo, delle intelligenze artificiali e delle geoingegnerie, ma ancora facciamo razzie di asini pensando che le emorragie e l’energia vitale, l’invecchiamento e la libido vengano riequilibrati dall’assunzione di una gelatina derivata dalla pelle di un animale squartato? Forse dovremmo fermarci un attimo a pensare che, negli equilibri del Pianeta noi siamo solo una delle tante variabili (probabilmente quella impazzita, ops, l’ho detto) e se proprio vogliamo tenere allacciati i delicati fili che ci uniscono dovremmo cominciare dall’abbandonare certe tremende fantasie, a partire da quella che dalla sofferenza degli altri si possa trarre qualcosa di sano, curativo, magico. L’unica magia non praticata, a quanto pare, resta ancora il rispetto.
Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.