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Democrazia e occupazione
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Di fronte alla più seria escalation di vittime statunitensi in Iraq, mentre il New York Times proclama "la crisi della linea politica irachena", e con la minaccia di un pantano in stile Vietnam che pende sulle elezioni del 2004, l'amministrazione Bush ha rilasciato due importanti dichiarazioni politiche. Una è stata il discorso del 6 Novembre sulla democrazia in Medio Oriente, l'altra un pretenzioso piano di scadenze per un sedicente passaggio di autorità agli iracheni.
Entrambe le dichiarazioni sono critiche. La prima presenta la nuova logica ufficiale dell'amministrazione Bush relativamente alla guerra in Iraq - concepita perché l'attenzione dell'opinione pubblica venga distolta dalle menzogne sulle armi di distruzione di massa. La seconda indica principalmente l'impegno di Bush in una campagna tesa a convincere gli americani che gli Stati Uniti non saranno più impantanati in Iraq per il giugno del 2004, proprio cinque mesi prima delle elezioni. L'effetto di questo cambiamento [di linea politica] sarà l'abbandono anche delle attuali affermazioni di "democratizzazione" dell'Iraq, per abbracciare invece una sorta di "Irachenizzazione" della guerra statunitense.
Il discorso di Bush del 6 Novembre ha richiesto l'adozione di una "strategia di promozione della libertà", ponendo il suo preteso impegno per la democratizzazione del Medio Oriente sullo stesso piano dell'appello per la democratizzazione dell'Europa Orientale di Reagan durante la Guerra Fredda. Ha riconosciuto che le precedenti politiche statunitensi tese a favorire i regimi repressivi nella regione "non hanno fatto nulla per metterci al sicuro", ma non ha offerto nessuna indicazione per un reale nuovo approccio.
Il discorso di Bush sulla democrazia in Medio Oriente è assolutamente ipocrita. Nonostante il riconoscimento che "per sessanta anni le nazioni occidentali hanno giustificato e favorito la mancanza di libertà in medio oriente", la "strategia di promozione della libertà" di Bush non propone nulla per cambiare la situazione di mancanza di libertà. Mentre ripeteva le solite minacce nei confronti della Siria, dell'Iran e della Palestina, Bush lodava il re del Marocco e gli stati petroliferi del golfo per i loro piccoli, e in alcuni casi puramente formali, passi verso la democrazia. Ha glorificato come stretti alleati l'Arabia Saudita e l'Egitto per una fase iniziale di apertura potenzialmente democratica, ma gli ha assicurato che "le vere democrazie hanno sempre bisogno di tempo per svilupparsi", alleviando quindi eventuali paure di una seria pressione su Riad o su Il Cairo.
In una nota particolarmente cinica, Bush ha citato una valutazione contenuta in un Rapporto sullo Sviluppo Arabo delle Nazioni Unite, dicendo che "L'onda globale di democrazia - cito testualmente - 'ha appena raggiunto gli Stati Arabi". Ma l'ha attribuita solo ad un "recente rapporto di studiosi iracheni", rifiutando persino di riconoscere il contributo delle Nazioni Unite.
Il discorso, e l'annuncio di una nuova "strategia di promozione della libertà", è stato concepito per nascondere all'opinione popolare ciò che si è rivelato essere una guerra permanente - riformulando la guerra preventiva di Bush "contro il terrorismo" come una "guerra per la libertà". E' stata concepita per insinuare che l'attuale guerra in Iraq è stata combattuta anche "per la libertà", per distrarre il popolo americano dalle vergognose ragioni attualmente fornite per la guerra: le armi di distruzione di massa che continuano a mancare in modo imbarazzante, l'inesistente "pericolo imminente", le false rivendicazioni di un legame dell'Iraq con Al Qaida.
Che cosa si propone il nuovo piano di scadenze per l'Iraq?
Fine Febbraio 2004: L'esercito e le forze dell'ordine irachene saranno poste sotto controllo civile iracheno - forse. In realtà i funzionari del Pentagono stanno già cercando di conservare il controllo statunitense dell'esercito iracheno. (L'esercito statunitense rimarrà in Iraq sotto il pieno comando statunitense).
Fine Giugno 2004: Sarà istituito un governo provvisorio "sovrano" - basato su assemblee regionali scelte in larga parte dal Consiglio di Governo e supervisionate dagli Stati Uniti. Gli Stati Uniti scioglieranno l'Autorità Provvisoria della Coalizione - ma non rimuoveranno le truppe statunitensi, non porranno fine al controllo statunitense sui 20 miliardi di dollari di fondi per la ricostruzione, e neppure, se possibile, alla presenza e al ruolo di Bremer e dei suoi uomini (cambierebbe solo la carica).
Fine del 2005: Nuova costituzione elaborata da un comitato scelto dall'assemblea nazionale supervisionata dagli Stati Uniti. Nuovo governo eletto secondo tale costituzione.
Perché cambiano linea politica ora?
La nuova strategia annunciata dall'amministrazione Bush riflette l'umiliante fallimento dell'occupazione USA dell'Iraq, e la loro disperazione circa nuovi approcci. Le vittime statunitensi continuano a crescere, in particolar modo con l'aumento degli elicotteri abbattuti, in cui muoiono dozzine di soldati statunitensi. In Iraq sono stati uccisi più di 400 soldati USA. L'Iraq rimane instabile e pericoloso, con imprecisate migliaia di vittime civili irachene.
Due nuovi sondaggi iracheni, uno dell'ufficio di intelligence del Dipartimento di Stato, l'altro di Gallup, confermano che gli iracheni non appoggiano l'occupazione statunitense. Secondo la Gallup, solo il 5% degli iracheni crede che gli Stati Uniti hanno invaso l'Iraq per "aiutare il popolo iracheno", e il 4% crede che fosse per distruggere le armi di distruzione di massa. Solo l'1% crede che fosse per stabilire la democrazia, mentre il 43% ha detto che l'invasione statunitense e britannica era per "rubare il petrolio dell'Iraq". Il sondaggio del Dipartimento di Stato, incluso nel rapporto top-secret della CIA del 10 Novembre, ha mostrato che la maggioranza degli iracheni vede le truppe statunitensi come occupanti, non come liberatrici. I tre quarti credono che le decisioni del Consiglio di Governo Iracheno nominato dagli Stati Uniti, sono "in gran parte stabilite dalla coalizione [statunitense]", e non credono che il Consiglio in carica sia in grado di governare o pianificare delle elezioni.
La resistenza irachena all'originario piano di scadenze statunitense stava crescendo. Quest'ultimo richiedeva la nomina di un Consiglio di Governo, quindi la nomina di un comitato costituzionale, quindi la stesura di una bozza di costituzione, quindi delle elezioni. Le richieste di elezioni anticipate sono aumentate, in particolar modo da parte della maggioranza sciita, e specialmente da parte dell'influente leader sciita, l'Ayatollah Ali al-Sistani. Il Consiglio di Governo nominato dagli Stati Uniti, ancora non legittimato, essenzialmente è in stallo, e in realtà alcuni membri del consiglio avevano cominciato a contestare il piano di scadenze statunitense.
Il progetto di privatizzazioni imposto dagli Stati Uniti è sempre più riconosciuto come illegale, proprio perché è stato imposto, e non è stata una misura adottata da un legittimo governo iracheno. Secondo le legge internazionale, una potenza occupante è estremamente limitata nei modi con cui può beneficiare dell'economia dei territori occupati. (L'analogia può essere con una governante - a cui è permesso di mangiare quello che c'è in frigorifero, ma non di mettere la casa sul mercato e venderla come condominio). Le società internazionali di assicurazioni si stanno rifiutando di fornire l'assicurazione per l'acquisto di infrastrutture irachene messe sul mercato da Bremer e dalle forze di occupazione statunitensi. Le agenzie statunitensi, tra cui la banca Ex-Im, sembrano pronte a fare il lavoro, ma rimane il pericolo che un futuro governo iracheno veramente indipendente possa rifiutare i contratti precedenti, giudicandoli di valore nullo perché non firmati da un governo legittimo. (Questo significherebbe, naturalmente, che i contribuenti statunitensi dovrebbero pagare il conto per tirare fuori dai guai quelle aziende che hanno perso le loro risorse in un progetto di rinazionalizzazione). Qualcuno nel Consiglio di Governo e tra le forze di occupazione sembra credere che creare qualcosa con il nome di "governo", anche se "ad interim", potrebbe evitare il marchio di non legittimità che attualmente minaccia tutte le politiche economiche imposte dagli Stati Uniti.
Gli alleati internazionali ancora si rifiutano di mandare truppe o fondi significativi per sostenere l'occupazione statunitense. Anche paesi che avevano acconsentito a mandare schieramenti di truppe simbolici (Giappone, Corea del Sud) stanno venendo meno a quell'impegno. L'Italia, e forse altri paesi che hanno truppe in Iraq, subiranno presto una significativa pressione interna in favore di un ritiro.
Le scadenze delle elezioni statunitensi rimangono un fattore critico. I consiglieri di Bush sono sicuramente sempre più preoccupati per l'impatto delle perdite statunitensi, per la stampa che esprime pareri negativi sulle politiche in Iraq in generale, e ora per l'immagine di un pantano sulle prime pagine.
Cosa non cambierà?
Secondo il Segretario della Difesa Rumsfeld, le truppe statunitensi rimarranno in Iraq. Questa sarà ancora un'occupazione statunitense, ma tale realtà sarà negata e riconosciuta invece come "presenza di truppe statunitensi su richiesta del governo sovrano iracheno".
L'opposizione militare e quindi le perdite statunitensi continueranno senza tregua visto che la presenza di truppe di occupazione statunitensi in tutto l'Iraq cambierà di poco.
I miliardi dei fondi per la ricostruzione rimarranno sotto il completo controllo statunitense. Il controllo dei contratti di ricostruzione e di privatizzazione rimarrà presumibilmente nelle mani degli Stati Uniti.
Le Nazioni Unite rimarranno ampiamente marginalizzate; qualunque partecipazione permessa sarà sotto l'autorità del controllo statunitense.
Quindi, quali sono i nuovi problemi?
Le dichiarazioni statunitensi a proposito di un "governo sovrano" in Iraq non forniscono legittimità. Ci sarà ancora un'occupazione statunitense, ma non sarà riconosciuta. Il cosiddetto "governo sovrano" sarà ancora illegittimo - essendo stato scelto mediante un'operazione viziata fin dall'inizio dal controllo statunitense e dai membri del consiglio nominato dagli Stati Uniti. Quando quel governo illegittimo inizierà a stendere una bozza di costituzione, quell'operazione sarà ancora parimenti viziata.
Gli Stati Uniti potrebbero avere intenzione di coinvolgere la NATO in Iraq, secondo il rappresentante per la politica estera dell'Unione Europea Javier Solana. Questo farebbe pressione sugli alleati europei di Washington per l'invio di truppe, e la NATO fornirebbe una parvenza di credibilità internazionale pur rimanendo sotto il dominio di Washington. Una tale mossa richiederebbe consenso unanime all'interno della NATO, anche di Francia e Germania, che potrebbero insistere per avere in cambio un maggiore ruolo politico delle Nazioni Unite. Forse Solana fa questa affermazione per fare pressioni su Washington verso un crescente ruolo della NATO; la sua affermazione potrebbe riflettere il punto di vista di Colin Powell, ma è improbabile che rappresenti la posizione dell'intera amministrazione Bush.
Gli Stati Uniti non permetteranno che le Nazioni Unite abbiano un ruolo veramente indipendente. Il ministro degli esteri tedesco Joschka Fischer raccomanda vivamente una maggior partecipazione delle Nazioni Unite "per dare al processo una maggiore legittimità". Una pressione statunitense nel Consiglio di Sicurezza potrebbe portare esattamente a questo risultato. Gli stati membri delle Nazioni Unite potrebbero anche subire pressioni da parte di Washington per permettere e addirittura appoggiare un ruolo della NATO che fornisca approvazione internazionale.
Quindi, cosa chiediamo?
L'occupazione statunitense rimane illegale. Né un "invito" da parte di un "governo" creato dagli Stati Uniti, né uno spiegamento di forze NATO controllato dagli Stati Uniti renderà legale questa occupazione. Chiediamo una fine dell'occupazione militare statunitense dell'Iraq.
Il ritiro dell'esercito statunitense dovrebbe essere affiancato dall'entrata in Iraq di una missione indipendente delle Nazioni Unite, sostenuta dalla Lega Araba, atta a fornire assistenza politica per organizzare delle elezioni, assistenza umanitaria, e un contingente di peacekeeping che mantenga stabilità mentre l'Iraq recupera la sua sovranità. Mentre è in corso un'operazione che porti alle elezioni, truppe delle Nazioni Unite e della Lega Araba dovrebbero immediatamente mettersi al lavoro per restaurare la capacità delle forze dell'ordine irachene di provvedere alla sicurezza sotto l'autorità di un nuovo governo legittimo dal momento della sua nascita.
Le Nazioni Unite dovrebbero rifiutarsi di giocare un ruolo in Iraq fino a che continua l'occupazione. Dovrebbero opporre resistenza ai tentativi di Washington di usare un istituzione globale per dare una facciata internazionale o legale alla guerra statunitense. Le Nazioni Unite dovrebbero rifiutare qualsiasi campagna statunitense tesa a sostenere un impiego della NATO.
Gli Stati Uniti dovrebbero porre fine al loro controllo su tutti i fondi per la ricostruzione dell'Iraq. Quel denaro, donato dagli Stati Uniti o da altri paesi, dovrebbe essere consegnato alle Nazioni Unite per essere distribuito, come in progetti delle Nazioni Unite in altre parti del mondo, ad un governo iracheno veramente sovrano dal momento della sua nascita.
La privatizzazione dell'Iraq imposta dagli Stati Uniti dovrebbe essere dichiarata non valida. Solo dopo che sia stato creato un governo legittimo sovrano dovrebbero essere intraprese modifiche nell'economia irachena, e solo come stabilito da questo nuovo governo.
di Phyllis Bennis (giornalista ricercatrice dell'Institute of Policy Studies (Ips) di Washington