Dalla Libia al golfo Persico, l’impegno dei movimenti non violenti

Stampa

A un mese dall’inizio delle operazioni militari in Libia, uno dei punti nevralgici dell'odierna crisi del Mediterraneo, il quadro è più complicato che mai. In generale occorre notare la difficoltà che tutti incontriamo nel rapportarci a questa svolta epocale di cui stiamo testimoni: i commentatori faticano a trovare un'interpretazione condivisa, mentre i politici sono lenti e impacciati nel gestire la situazione venutasi a creare a seguito della rivolta generalizzata del mondo arabo. L’uccisione del cooperante italiano Vittorio Arrigoni è soltanto un piccolo ma tragico segnale della violenza che potrebbe dilagare in un attimo.

La Libia è soltanto una parte, significativa ma parziale, di una realtà geopolitica in repentina evoluzione che vede in difficoltà gli attori tradizionali dell’area e anche i paesi occidentali. Per ora l’intervento in Libia ha raggiunto con fatica uno degli obbiettivi: fermare il regime di Gheddafi dalla conquista di Bengasi e dai sicuri massacri della popolazione civile. L’assedio della città di Misurata, giustamente paragonato a quello di Sarajevo, è soltanto un esempio dei fiumi di sangue che avrebbero potuto scorrere per tutta la Libia. Questi episodi di violenza continuano ma in misura sicuramente minore rispetto a quanto avevano ventilato le oscure ma credibili minacce del colonnello. Lasciarlo fare avrebbe significato mandare una sorta di via libera agli altri dittatori della regione: se volete rimanere in sella vi conviene usare le maniere forti. Per questo anche l’utilizzo delle armi ci è sembrato giustificato.

Ora però tutto si sta ingarbugliando e molti osservatori si stanno chiedendo quale sarà l’esito di questa campagna. Nella cosiddetta comunità internazionale si è fatta strada l’idea che Gheddafi e la sua famiglia siano ormai fuori dal gioco della Libia del futuro. Ma questo sembra più un auspicio che un dato di realtà. Non solo le potenze del BRIC, non solo l’Unione africana o la Lega araba nutrono forti perplessità sulla gestione del conflitto, ma anche i paesi confinanti sembrano cercare, per ora di nascosto, nuove vie di contatto con il Rais. mercenari del colonnello, provenienti da Niger, Ciad, Burkina Faso e persino Darfur, che sono stati riforniti di armi sofisticate con le quali, una volta terminato il lavoro a sostegno del dittatore libico, ritorneranno nei loro paesi ad ingrossare le fila degli oppositori in armi; una circostanza che fa paura ai regimi del Sahel e che gli spinge a trattare con Gheddafi.

Occorrono però nuove idee di lungo periodo e nuove soluzioni politiche. Non possono soltanto parlare le armi. Occorre dare forza alle istanze positive dei giovani insorti. I blitz militari possono funzionare per dare il colpo di grazia a regimi in agonia, come è accaduto qualche giorno fa in Costa d'Avorio, ma notoriamente non riescono a gestire la transizione. Non possiamo abituarci agli interventi degli eserciti poiché rischiamo di dimenticarci il nucleo fondamentale da cui sono partite le rivolte: i metodi non violenti.

In effetti questa è la vera novità che ha scompaginato i piani dei regimi più repressivi e che all’apparenza sembravano i più solidi. È il caso della Siria di Bashir Al Assad. La rivolta, dilagata dopo vani e sanguinosi tentativi di soffocarla, è partita da Daraa, città teatro nel 1980 di un massacro dalle vaste proporzioni in seguito a una sollevazione dei Fratelli musulmani. Ma ora sono i giovani a essere protagonisti: le manifestazioni più recenti sono partite dalle università di Damasco e di Aleppo, seconda città del paese. Le notizie parlano di azioni non violente (come la protesta delle donne che hanno bloccato la principale autostrada costiera), di scontri, di arresti, di uccisioni. Sono colpiti intellettuali e giornalisti come Samira Al-Masalma, redattore capo di un quotidiano governativo, arrestato per aver denunciato le violenze della polizia.

Stesso copione, anche se più ridotto, negli Emirati Arabi Uniti, un contesto diverso da quello siriano ma ugualmente in ebollizione. Pochi giorni fa è stato arrestato Ahmed Mansoor, noto esponente del movimento democratico negli Emirati. Fermato ufficialmente per detenzione di bevande alcoliche, secondo le organizzazioni internazionali dei diritti umani, Mansoor è prigioniero per reati di opinione.

Il golfo Persico sta diventando il secondo “fronte rivoluzionario”, dove però si giocano gli equilibri geo strategici globali. La questione del petrolio, la sorda ostilità tra Arabia Saudita e Iran (cioè tra sunniti e sciiti), la presenza militare americana, i timori israeliani, il protagonismo spesso ambiguo di emittenti come Al Jazeera sono soltanto alcuni ingredienti che rendono la situazione imprevedibile e esplosiva e che rischiano di marginalizzare i veri movimenti democratici dal basso.

Per chi vuole veramente che la rivoluzione del mondo arabo diventi un momento di svolta e di speranza per tutto il mondo occorre non dimenticare queste voci, le uniche che lavorano effettivamente per il futuro.

Piergiorgio Cattani

Ultime notizie

I sommersi!

08 Settembre 2025
Entro il 2100 il livello marino sulle coste italiane potrebbe aumentare di circa un metro. (Alessandro Graziadei)

Stretching Our Limits

06 Settembre 2025
Torna Stretching Our Limits, l’iniziativa di Fondazione Fontana a sostegno delle attività de L’Arche Kenya e del Saint Martin.

Il punto - Il balletto delle "alleanze fragili"

05 Settembre 2025
Nel balletto delle “alleanze fragili”, una partita fondamentale la sta giocando il genocidio a Gaza. (Raffaele Crocco)

Dossier/ Materie prime critiche (2)

03 Settembre 2025
L'estrazione dei minerali critici per la transizione energetica genera tensioni in tutto il mondo. (Rita Cantalino)

Una grammatica sociale

01 Settembre 2025
Questo mese nel podcast ALTRO MODO parliamo del progetto Strade Maestre, un esperimento formativo in cui il percorso scolastico si svolge in cammino. (Michele Simeone)

Video

Serbia, arriva a Bruxelles la maratona di protesta di studenti per crollo alla stazione di Novi Sad