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Da Baghdad a Gerusalemme
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Dopo la visita in Siria e Libano, l'8 maggio il Segretario di stato americano Colin Powell si reca in Medio Oriente per la seconda volta nel giro di due settimane. Scopo principale del viaggio, che porterà Powell in Arabia Saudita, Egitto, Giordania, Israele e nei Territori palestinesi, è creare un clima favorevole all'implementazione della road map, il piano di pace del Quartetto (USA, UE, ONU e Russia) per la soluzione del conflitto israelo-palestinese, presentato la scorsa settimana al primo ministro israeliano, Ariel Sharon, e al neo primo ministro dell'Autorità palestinese (Ap), Mohammad Abbas, meglio conosciuto con il nome di Abu Mazen. La formazione di un nuovo governo palestinese era infatti la condizione essenziale posta dagli americani e dagli israeliani per la presentazione della road map. Israele da tempo premeva per avere un interlocutore diverso dal presidente Arafat, accusato di sostenere gli attentati terroristici contro i civili israeliani. Non a caso infatti Powell incontrerà Abu Mazen e non Arafat.
Articolata in tre fasi con l'obiettivo finale di creare uno Stato palestinese accanto allo Stato di Israele entro il 2005, la road map si può considerare l'applicazione concreta della proposta avanzata dal presidente americano Bush nel giugno 2002, su cui si è manifestato il consenso internazionale.
Gli americani sono consapevoli del fatto che il conflitto israelo-palestinese è un elemento centrale dell'instabilità e delle tensioni in Medio Oriente e che la stabilizzazione della regione passa inevitabilmente attraverso la soluzione della questione palestinese. Una questione che riguarda non soltanto le parti direttamente interessate, ma anche gli stati arabi della regione che già un anno fa nella Dichiarazione di Beirut (marzo 2002) avevano fatto importanti aperture verso Israele: trattato di pace e stabilimento di normali relazioni diplomatiche in cambio del ritiro israeliano dai territori occupati nel 1967 durante la guerra dei sei giorni e della formazione di uno stato palestinese indipendente e sovrano.
L'attuazione della road map resta ostaggio di forti contrasti interni alle due parti, che riguardano in primo luogo i contenuti stessi del piano. Mentre Abu Mazen ha dichiarato che la road map "deve essere implementata e non negoziata", gli israeliani non intendono essere costretti da una rigida tabella di marcia e insistono sulla fatto che ogni azione a favore della pace (il blocco dei nuovi insediamenti nei Territori) è condizionata alla completa cessazione della violenza da parte palestinese. Suscita perplessità il fatto che questioni spinose come il diritto al ritorno dei rifugiati e lo status di Gerusalemme siano ancora una volta rimandate all'ultima fase del processo.
Più in generale, sia Israele che l'Ap devono fare i conti con le opposizioni interne contrarie alla mappa per la pace. Da una parte i coloni sono rappresentati nell'attuale governo israeliano e, anche in caso di formazione di un governo di unità nazionale, avrebbero il sostegno di circa la metà dei deputati del Likud, il principale partito del paese. Dall'altra il leader di Hamas, Ahmed Yassin, ha rigettato il piano affermando che questo mira ad assicurare la sicurezza d'Israele a spese del popolo palestinese.
È inevitabile chiedersi quale sia la portata degli sforzi che l'amministrazione Bush è disposta a intraprendere per assicurare il successo del piano e quindi la soluzione del conflitto israelo-palestinese. In particolare sarà necessario un fermo impegno americano per indurre le parti, e in specie Israele, a intraprendere la strada della pace; pressioni di questo genere potrebbero anche ostacolare la campagna per la rielezione di Bush. All'interno della stessa amministrazione americana inoltre emergono dubbi sulla capacità del Segretario di stato di raccogliere l'appoggio del resto dell'amministrazione a favore di un processo di pace che non ha portato fortuna alla precedente amministrazione americana.