Cumhuriyet, Gülmen e Özakça: i processi simbolo della Turchia di oggi

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Cumhuriyet (“Repubblica”) è uno storico quotidiano di opposizione turco, vittima delle conseguenze del tentato colpo di stato del Luglio 2016, che ad oggi hanno portato in carcere più di 150 mila persone, con un detenuto su tre che risulta essere studente. In queste settimane sta avendo luogo il processo a 18 tra giornalisti, editori e avvocati di Cumhuriyet, che rischiano fino a 43 anni di carcere a testa con l’accusa di sostegno ad un’organizzazione terroristica.

I fatti 

Il 31 Ottobre 2016, il capo procuratore di Istanbul iniziò a indagare sulle pubblicazioni del giornale, che avrebbero “giustificato il tentato colpo di stato”: i giornalisti e gli editori sarebbero dunque colpevoli di sostegno a FETÖ - l’organizzazione asseritamente dall’imam Fethullah Gülen e che lo stato turco considera colpevole del tentato golpe- e di sostegno al PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan). Considerazione, questa, già piuttosto opinabile visto che le due organizzazioni sono radicalmente diverse, per storia, ideologia ed obiettivi, ammettendo che FETÖ sia mai esistita in quanto tale se non dal Maggio 2016, quando il governo turco l’ha inserita nella lista delle organizzazioni considerate terroristiche dal paese. 

Nel caso Cumhuriyet, troviamo un esempio emblematico del complicato intreccio di accuse e controaccuse che ha luogo nella Turchia contemporanea: lo stesso pm Murat İnam, che ha accusato i giornalisti di sostegno ad associazioni terroristiche, è indagato per la sua presunta appartenenza a FETÖ.

Sempre il 31 Ottobre 2016, 16 membri del giornale furono arrestati. Ad essi seguirono Ahmet Şık il 31 Dicembre e Emre Iper il 29 Aprile 2017.  

Il processo ha avuto inizio il 27 Luglio scorso, con una seconda e terza udienza rispettivamente l’11 e 25 Settembre. Successivamente alla prima udienza, 7 degli imputati sono stati rilasciati in attesa di processo, dopo molti mesi di detenzione cautelare. In seguito alla terza udienza, si è ottenuta la scarcerazione (ma ancora, non l’assoluzione) dell’editorialista Kadri Gürsel.

Le prove d’accusa 

Varie e poco convincenti le prove contro i giornalisti, a sostegno delle accuse di terrorismo. Prima fra tutte, l’aver scaricato o utilizzato sul proprio cellulare l’applicazione di messaggistica criptata ByLock: si tratta di un’applicazione simile a Telegram o Whatsapp disponibile in tutto il mondo (in Turchia, fino al Marzo 2016) su Google Play Store o Apple Store- scaricata da oltre 600.000 persone tra il 2014 e il 2016. Di conseguenza, difficilmente può essere considerata una delle prove principali di appartenenza ad un’organizzazione terroristica esistente solo in Turchia, come invece avviene da mesi (si veda il caso del giudice ONU Aydin Sefa Akay, condannato a 7 anni di carcere). Al contrario, il 26 Settembre scorso la Corte Penale Suprema turca ha confermato che ByLock può essere considerata una prova evidente di per sé stessa, legittimando le decine di migliaia di processi in cui l’utilizzo dell’applicazione è una delle giustificazioni principali all’azione penale. 

Allo stesso modo, sono prove poco convincenti il fatto di avere un conto in banca presso BankAsya - una delle principali banche nel paese- e di alloggiare presso strutture studentesche riconducibili al movimento di Gülen, l’Hizmet, esistente da molti anni con il beneplacito del partito di Erdoğan.  

Infine, a molti degli interrogati durante il processo Cumhuriyet sono state poste domande relative al presunto cambio di linea editoriale del giornale. “L’accusa ha voluto desumere che c’è stata un'effettiva svolta nella linea editoriale” ha spiegato l’avvocato Nicola Canestrini, osservatore internazionale che ha preso parte all’udienza dell’11 Settembre, “desumendo poi anche che dev’essere stata a favore delle due associazioni presunte terroristiche. Sono salti (logici) grossi dal punto di vista giuridico: innanzitutto, si considera che il cambio di linea editoriale possa essere un reato, e poi bisogna chiedersi se la linea editoriale di per sé possa essere un crimine”.

Processi- simbolo

Il processo contro Cumhuriyet non è l’unico a coinvolgere dei giornalisti: la Turchia è al momento la più grande prigione al mondo per i reporter, con circa 170 giornalisti in carcere. Il caso Cumhuriyet è divenuto però un simbolo degli attacchi alla libertà di stampa e al libero pensiero in un paese che, agli occhi della comunità internazionale, aveva intrapreso un percorso di “democratizzazione” negli anni 2000.

Si trattava di un’impressione collettiva tanto forte quanto appare ingenua oggi, alla luce di tragedie quotidiane: una di queste coinvolge Nuriye Gülmen e Semih Özakça, due insegnanti in carcere da quattro mesi- e in sciopero della fame da sei- che protestano per riavere il proprio lavoro di maestro elementare e professoressa universitaria, sospesi nell’ondata di purghe post-golpe. 

Il 28 Settembre, i giudici nel penitenziario di Sincan non hanno concesso la scarcerazione dei due insegnanti, accusati di terrorismo: Nuriye è stata portata in cura intensiva pochi giorni prima, contro la sua volontà, mentre Semih ha raggiunto l’aula su una sedia a rotelle. Quest’ultimo ha affermato che il suo sciopero della fame non sarà interrotto fino a che non verranno reintegrati nel loro posto di lavoro, e che rifiuta di difendersi fino a che anche Nuriye non potrà farlo. 

In attesa della prossima udienza per i due insegnanti, il prossimo 20 Ottobre, e per i giornalisti di Cumhuriyet, il 30 Ottobre, vi invitiamo a cercare le illustrazioni di Murat Başol, Zeynep Özatalay, Berrin Simavlıoğlu, Tarık Tolunay, Eylem Koçyiğit e Yıldıray Çınar: questi disegnatori, dipingendo i momenti salienti dei due processi descritti sopra, hanno sopperito al divieto di telecamere e macchine fotografiche in aula, in vigore dagli anni 2000. 

Sofia Verza

Laureata in Giurisprudenza presso l'Università di Trento, ha studiato ad Istanbul presso le Università Bilgi e Yeditepe, specializzandosi nel campo del diritto penale e dell'informazione. Ad Istanbul, ha lavorato per la fondazione IKV (Economic Development Foundation), ricercando nel campo della libertà di espressione. E' stata vice presidente dell'associazione MAIA Onlus di Trento, occupandosi di sensibilizzazione sulla questione israelo-palestinese e cooperazione culturale in Cisgiordania. Scrive per il Global Freedom of Expression Centre della Columbia University e collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso

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