Crisi climatica: l’Africa punta sul business dei crediti di carbonio

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Sempre più paesi del continente - Kenya in testa - guardano con entusiasmo alla possibilità di incassare miliardi di dollari favorendo “il mercato del carbonio” che permette alle industrie inquinanti di continuare a farlo. Un sistema aspramente criticato da società civile, ambientalisti e analisti che da tempo denunciano le relazioni tra produzione di crediti di carbonio, land grabbing, violazioni dei diritti umani e corruzione. Articolo di Bruna Sironi (da Nairobi)  

Al summit africano sul clima (Africa Climate Summit) il mercato dei crediti di carbonio è stato tra i più importanti argomenti all’ordine del giorno.

Tra i maggiori sostenitori, il presidente kenyano William Ruto – lo stesso che di recente ha rimosso il divieto di disboscamento -, padrone di casa del vertice che si è svolto dal 4 al 6 settembre a Nairobi. Nel suo discorso inaugurale ha parlato delle risorse africane che intrappolano il carbonio – foreste, pascoli, savane, boschi di mangrovie e tanto altro – come di una fonte potenziale di somme enormi: «Abbiamo … risorse che possono contribuire a decarbonizzare l’economia globale, queste risorse sono contabilizzabili in miliardi di dollari».

Nei giorni precedenti all’apertura dell’incontro, il parlamento kenyano aveva approvato diversi emendamenti alla legge del paese sul cambiamento climatico, delineando, tra l’altro, proprio un quadro di riferimento legale volto a facilitare il mercato dei crediti di carbonio.

Altro particolare con ogni probabilità non casuale, il presidente Ruto aveva nominato CEO del summit Joseph Ng’ang’a, che tra le sue diverse cariche e competenze ha anche quella di essere cofondatore e membro del comitato direttivo della Africa Carbon Markets Initiative (ACMI). Ѐ l’iniziativa lanciata durante la scorsa convenzione Onu sul clima, COP 27, che si propone di “aiutare, configurare e guidare la possibilità di scambi basati sui crediti di carbonio in Africa”. Dal dibattito che si è sviluppato nei giorni scorsi, sembrerebbe insomma che i governi africani favorevoli allo sviluppo del carbon market pensino di poter incassare una buona parte dei fondi che si sono impegnati ad utilizzare per la transizione all’energia rinnovabile, vendendo crediti di carbonio.

Illuminante una dichiarazione della ministra kenyana per l’ambiente, Soipan Tuya. Il summit «sarà su risorse e capitali. L’Africa mostrerà le sue risorse al mondo e inviterà il mondo a portare in Africa i suoi capitali se davvero vogliamo affrontare la crisi climatica». Frase riportata a pagina 4 di un rapporto dell’Oakland Institute citato più avanti. Ma l’idea è stata aspramente criticata dagli esperti e dalla società civile. Il Daily Nation, in un articolo pubblicato il 7 settembre, sommarizza il dibattito con le seguenti parole: “Mentre l’Africa ha bisogno di fondi per la crisi climatica, non dovrebbe ottenerli permettendo agli inquinatori di continuare ad inquinare”. Laurence Tubiana, direttrice esecutiva della Fondazione europea per il clima, afferma, tra l’altro, che al mercato dei crediti di carbonio serve una revisione e che per ora può essere considerato come una falsa soluzione.

Colonialismo verde

Insomma “un lupo sotto le spoglie di una pecora”, dice un rapporto preparato da diverse organizzazioni della società civile, che aggiunge: “Il clamore attorno al carbon market sta creando in Africa il Far West per un nuovo tipo di imprenditore il cui solo scopo è produrre crediti di carbonio”.  Mentre è chiaro che “i progetti che producono crediti di carbonio … non annullano le emissioni delle industrie inquinanti che li comprano. In pratica, l’impatto netto è l’aumento della crisi climatica che devasta i paesi africani”.

Le piantagioni di alberi, molto spesso di specie non autoctone ma utili alla produzione di legname cui sono generalmente finalizzate, sono tra le misure più popolari e diffuse nel continente per la creazione di opportunità da “spendere” sul mercato dei crediti di carbonio...

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