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Cosa ci insegna la Cina?
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Cina in cinese si traduce Zhong Guo (中国). Una parola formata da due caratteri dove il primo significa “centro” e il secondo indentifica il concetto di “paese”. Se traduciamo letteralmente “Zhong Guo”, ciò che risulta sarà “paese di mezzo” o “paese al centro”. Dopo aver risolto questo primo enigma linguistico però viene da chiedersi: “in mezzo rispetto a cosa? Millenni di anni fa le è stato assegnato questo nome perché la consideravano la civiltà al centro del mondo? Oppure il “centro”, in questo caso, era una forza magnetica capace di mantenere unite tutte le differenze dentro lo stesso spazio geografico?
Innanzitutto, ci tengo sempre a sottolineare, quando si parla di “nazione Cinese” è necessario riassettare le proprie percezioni spaziali e linguistiche. Ciò significa che è richiesto fare lo sforzo di pensare a una nazione vasta quanto l’Europa e di ricercare – per quanto possibile – l’etimologia delle parole chiave del concetto che si va ad analizzare. Il carattere “Zhong” “中” ad esempio, oltre a “centro” si può tradurre anche nella “ricerca costante di un equilibrio o di un punto di riferimento”. L’ideogramma infatti – se guardate bene la sua conformazione – può essere graficamente interpretato come un ago posto al centro che divide qualcosa a metà, o come un magnete che cerca di mantenere quel qualcosa in perenne equilibrio. Quindi, a seconda del contesto in cui si inserisce, un carattere può assumere delle sfumature semantiche in grado di modificare il senso del discorso in auge.
Tornando a noi, per comprendere di che “centro” si tratta è indispensabile chiedersi cosa sia stato questo “luogo centrale” fin dai tempi più antichi. E per farlo è indispensabile portare alla luce la tradizione cinese. Innanzitutto la Cina è l’unica grande civiltà che è nata, cresciuta e si è sviluppata “in modo autonomo e indifferente” dal pensiero Occidentale. Questo, tradotto in altre parole, significa un’occasione per “noi” occidentali di scoprire un altrove capace di offrire un approccio alla vita che non abbiamo ancora pensato o ipotizzato. A questo punto però, viene da chiedersi: “in cosa si differenzia il pensiero cinese dal nostro?”.
Precisiamo subito che Confucianesimo e Taoismo sono i pilastri della civiltà della Cina: sono le due filosofie e le due religioni autenticamente cinesi (Buddhismo, Islamismo e Cristianesimo sono state importate).
Il confucianesimo si divide su due piani: uno più funzionale e l’atro più ideale. Alla base del primo ci sono dei valori universalmente condivisi, quali l’amore filiale, il rispetto verso gli anziani, l’integrità morale e un senso di giustizia condizionato dalla virtù della benevolenza. Alla base del secondo invece c’è il principio di armonia che guida tutti gli uomini all’enigmatica verità di essere intrensecamente legati – e dunque influenzati – con il mondo divino dell’universo.
Il taoismo, differentemente, si distacca dalla dimensione sociale per interessarsi maggiormente alla dimensione dell’anima. Il pensiero del Tao, semplificando, sostiene che al cuore arrivano due tipi di sensazioni: quelle del mondo esterno che vediamo attraverso i nostri occhi e quelle provenienti dal mondo interiore. Per essere in armonia, l’uomo e la donna, non solo dovrebbero percepire questi due universi, ma imparare a stare nel mezzo o a vivere stando al centro dei due.
Il primo Pensiero, attraverso virtù condivise anche dal secondo, ricerca un equilibrio costante nel mondo “sotto il cielo” (nel pianeta, nello stato e nella famiglia) il secondo Pensiero invece ricerca un equilibrio costante fra i due mondi, quello esteriore e quello interiore, affinché l’essere umano non sprofondi né in uno né nell’altro.
Entrambe nate nell’Evo antico (fra il VI e il II a.C.) queste correnti quindi rappresentano i classici della civiltà cinese. Un insieme di popoli che è bastato a se stesso fino a metà del 1800 (inizio del periodo di decadenza: guerre dell’Oppio, invasione dei coloni europei e una dittatura che ha censurato la tradizione), ma che oggi sta riconquistando il suo ruolo centrale, sia agli occhi del mondo sia davanti a quelli dei suoi abitanti. Non è un caso infatti che si stia parlando di un vero e proprio “rinascimento cinese”. È il leader stesso del Partito Comunista che dal 2014 auspica la necessità di una “rinascita spirituale e culturale” capace di equilibrare uno sviluppo economico che in “40 anni ha fatto fare alla nazione cinese quello che l’Europa ha fatto in 400 anni”. Un balzo in avanti che ha portato la società attuale alla ripresa e al margine del collasso. Una nazione che per riequilibrare questi due opposti sta ritornando alla propria tradizione senza il bisogno – come spesso capita a “noi” – di attingere da altre culture per compensare la propria. Questo, a mio avviso, è il prezioso insegnamento che la Cina di oggi offre al mondo intero: la straordinaria capacità di cambiare per adattarsi al nuovo, senza perdere la propria identità né rinnegare l’autenticità dei propri valori.