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Corpo, tempo e piattaforme
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Foto: Christian Wiediger da Unsplash.com
Se il tempo totale è tempo di lavoro, è perché il corpo autoassoggettato è forza lavoro. Il soggetto produttivo delle piattaforme risponde in toto a questo schema. Non è possibile scollegare l’assoggettamento del lavoratore dalla seconda natura del vivente. Per questa ragione la comprensione delle attitudini sul lavoro del soggetto produttivo delle piattaforme può essere compresa solo se inserita nel contesto più ampio che mette in relazione il corpo con il tempo, le norme con i valori, l’estrazione con l’inclusione.
Simonetta, la driver di Amazon che ha contribuito alla stesura de “La fabbrica del soggetto. Ilva 1958 – Amazon 2021“, ha portato la sua testimonianza a due presentazioni del libro organizzate a Genova tra luglio e novembre ‘23.
Senza giri di parole, Simonetta ha detto sostanzialmente di sentirsi a suo agio in Amazon, di lavorare in un ambiente amichevole e rispettoso, dove tutti si prendono cura dei problemi dei colleghi e dove gli standard di sicurezza sul lavoro sono molto elevati.
Inutile dire che queste dichiarazioni hanno suscitato qualche perplessità tra i presenti. Almeno alcuni di loro si aspettavano una posizione incentrata sulla critica alle forme di neo-taylorismo digitale, al dominio impersonale e onnipresente dell’algoritmo nel governare il lavoro in Amazon. In altre parole, la lettura più comune che si trova nelle riviste e nelle pubblicazioni che adottano un approccio radicalmente critico all’economia delle piattaforme, che sottoscrivo.
Niente di tutto questo. Simonetta è soddisfatta del suo lavoro in Amazon.
Di fronte alla comprensibile difficoltà di una parte del pubblico ad accettare quel discorso, ho tentato di riflettere sulla verità che quello stesso discorso enuncia, prendendo come punto di partenza un film dell’anno scorso, Nomadland, della regista Chloé Zhao.
La disincantata donna di mezz’età interprete del film di Zhao gira da sola negli spazi immensi del Mid West con un camper, fermandosi per lavorare nei magazzini di Amazon, ma subito pronta a ripartire alla volta del successivo parcheggio dove incontra amici in perenne movimento come lei. Non traspare nessuna particolare tensione o rivendicazione: ciò che Amazon propone a Fern, la protagonista del film, è né più né meno quello di cui lei stessa ha bisogno per il tipo di vita – nomade – che ha scelto, o che si è trovata costretta a scegliere.
Dove si produce, allora, questo scarto tra la nostra lettura e le vite di milioni di persone che accettano il lavoro in Amazon o in una delle innumerevoli piattaforme così com’è, nonostante i tentativi (alcuni riusciti, molti no) di introdurre forme di organizzazione sindacale di base per contrattare un altro tipo di rapporto lavorativo? Prima di provare a dare una risposta del tutto personale a questa domanda, vorrei aggiungere un ulteriore elemento che, spero, faciliti la comprensione di cosa mi accingo, sia pur con dubbi, a sostenere...