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Copenhagen: "fuori il nucleare dall'accordo", proteste per esclusione delle ong
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Le organizzazioni della campagna internazionale "Don’t Nuke the Climate!" hanno consegnato ieri a Copenhagen ai delegati dei governi 50mila firme e una cartolina gigante per chiedere che il nucleare venga escluso dall’accordo sul clima. Lo riporta Legambiente sottolineando che l’appello è stato sottoscritto anche da eminenti figure del mondo ambientalista, nonché da due ex ministri dell'Ambiente francesi, Yves Cochet e Corinne Lepage e dal deputato europeo Josè Bovè.
“L’accordo che dovrà uscire dal vertice di Copenaghen per vincere la crisi climatica deve puntare sulle energie rinnovabili, sull’efficienza energetica e sull’innovazione- ha dichiarato Edoardo Zanchini di Legambiente . Questo vale soprattutto per un paese come l’Italia che non ha nessun interesse a seguire la strada sciagurata del vecchio nucleare”. Parlando a nome della campagna, Charlotte Mijeon della rete francese Sortir du nucléaire ha dichiarato: "Siamo qui per consegnare le firme che abbiamo raccolto negli ultimi due mesi per sollecitare un accordo sul clima libero dal nucleare. Migliaia di persone in tutto il mondo vogliono un accordo sul clima equo, che escluda l’energia nucleare, costosa, sporca e pericolosa”.
L’accordo post 2012 per la riduzione dei gas serra su larga scala è una grande sfida, dove secondo le organizzazioni aderenti a "Don’t Nuke the Climate!", non c’è nessun posto per l’atomo. Anche quadruplicando l'espansione del nucleare entro il 2050, come proposto dalla International Energy Agency, si otterebbe solo una riduzione delle emissioni di CO2 di appena il 4%. Si tratterebbe di un contributo assolutamente marginale, che comporterebbe invece costi enormi - oltre 10 mila miliardi di dollari - creando gravi rischi legati alle possibilita’ di incidenti, all’irrisolta gestione delle scorie e al rischio di proliferazione nucleare.
Nei giorni scorsi alla Conferenza di Copenhagen è stato presentato "L’indice 2010 di Germanwatch" (le tabelle in .pdf). Dal rapporto emerge che Italia è ferma al 44esimo posto mentre sul fronte delle politiche nella lotta ai cambiamenti climatici il nostro Paese si aggiudica addirittura il terzultimo posto, peggio di noi solo il Canada e l’Arabia Saudita.
La ricerca - condotta annualmente dall’associazione tedesca in collaborazione con la rete delle associazioni ambientaliste CAN (Climate Action Network) Europe e di Legambiente per l’Italia - valuta le performance sul clima dei 57 Paesi che, insieme, sono responsabili di oltre il 90% delle emissioni del pianeta. In particolare il Climate Change Performance Index prende in considerazione il livello delle emissioni di anidride carbonica di ogni Paese, i trend delle emissioni nei principali settori (energia, trasporti, residenziale, industrie) e le politiche attuate per la lotta al mutamento climatico.
"E’ la mancanza di una strategia di riduzione delle emissioni di CO2 a pesare nel risultato dell’Italia, invariato rispetto allo scorso anno nonostante nel corso del 2009 le sue emissioni siano calate per via dell’inverno mite, della crisi economica e della riconversione a gas di alcune centrali a olio combustibile" - commenta Edoardo Zanchini di Legambiente. “Una pessima figura per il nostro Paese che dipende dal non aver ancora voluto cambiare le vecchie politiche in materia di trasporti, energia e edilizia, i settori che più contribuiscono alle nostre emissioni di gas serra”.
A riprova di questa realtà, evidenzia Legambiente, le scelte portate avanti nell’ultimo anno: sono stati approvati tre progetti di grandi e inquinanti centrali a carbone, le priorità d’investimento in materia d’infrastrutture continuano a privilegiare per il 70% strade e autostrade, e perdura una incomprensibile incertezza per quanto riguarda gli incentivi per le fonti rinnovabili e gli interventi di riqualificazione energetica degli edifici. “Se l’Italia intende finalmente recuperare la distanza che la separa dai Paesi più industrializzati - aggiunge Zanchini - deve finalmente cambiare pagina rispetto a quanto fatto in questi anni in materia di clima. Basta con i rinvii rispetto all’attuazione del protocollo di Kyoto, smettiamola con le scuse sui costi del Piano europeo al 2020. I cittadini e le aziende italiane hanno tutto l’interesse a riconvertire la propria economia al nuovo scenario della green economy”.
In testa alla classifica Brasile, Svezia, Regno Unito e Germania. In particolare, questo rapporto 2010 mette in evidenza gli sforzi compiuti dal governo Lula per ridurre la deforestazione e la legge nazionale sulle politiche climatiche approvata dal Regno Unito per tagliare le emissioni nei prossimi anni. Agli ultimi posti Kazakhistan, Canada e Arabia Saudita.
Numerose ong hanno protestato per il piano di restrizione scattato ieri per contingentare le entrate dei delegati delle organizzazioni non governative fino a venerdì al Bella Center, sede della Conferenza Onu sul clima. "Un'azione antidemocratica e ingiusta" -ha commentato il segretario generale della FOCSIV Sergio Marelli.
"L'articolo 6 dell'UNFCC - ha spiegato Marelli - richiede a tutti i Paesi delle Nazioni Unite di promuove e realizzare adeguati programmi di formazione, informazione e partecipazione del pubblico. Inoltre il diritto a partecipare alla presa di decisioni è contenuto nell'articolo 25 del Patto Internazionale sui diritti civili e politici delle Nazioni Unite. Alla luce di tutto ciò, e convinti della necessità che la società civile non sia esclusa da questo processo decisionale, riteniamo che queste restrizioni rischiano gravemente di marginalizzare la voce della società civile che rappresenta un attore fondamentale in questo processo. La partecipazione della società civile ai processi negoziali di Copenaghen è cruciale e fondamentale per garantire che davvero le voci vere del mondo siano ascoltate" - ha concluso Marelli. [GB]