Conta solo la legge del più forte. Il punto

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Immagine: Atlanteguerre.it

I morti in poche ore sono stati 82. Si aggiungono alla lista allucinante dei quasi 60mila uccisi dalle Forze Armate Israeliane dall’ottobre del 2023. L’azione militare israeliana contro i palestinesi prosegue senza sosta e senza alcuna pietà. L’obiettivo è chiaro, lo ha annunciato il Primo ministro Benjamin Netanyahu: “l'esercito israeliano - ha dichiarato - controllerà tutta la Striscia di Gaza al termine dell'offensiva”. Poco importa che Israele non abbia alcun diritto a stare lì: per Netanyahu e il suo governo conta solo la legge del più forte.

Non interessa, al governo di Tel Aviv, nemmeno la crisi umanitaria. Anche qui, lo dice con chiarezza il capo dell’esecutivo, difendendo la necessità di "evitare una crisi umanitaria" solo per mantenere la propria libertà d'azione. È preoccupato, Netanyahu, dalla vasta ondata di condanne internazionali che le restrizioni all'ingresso degli aiuti umanitari stanno suscitando. Insomma: dei palestinesi non gli interessa. Del suo buon nome a livello internazionale, sì.

Così, ha permesso all’Onu e alle agenzie internazionali di recuperare i camion carichi di aiuti fermi al valico di Rafah, fra Egitto e Striscia di Gaza. Ha voluto spiegare, Netanyahu che "per completare la vittoria, sconfiggere Hamas e liberare i nostri ostaggi, non dobbiamo arrivare a una situazione di carestia, né dal punto di vista pratico, né da quello diplomatico”. Così, prende il controllo del territorio e coordina la distribuzione degli aiuti tramite l’esercito, per impedire che possano arrivare ad Hamas. Questa è la teoria. La pratica l’ha spiegata in settimana il portavoce dell'Onu, Stephane Dujarric. La maggior parte degli aiuti entrati a Gaza da lunedì 19 maggio 2025, è stata caricata su camion dell'Onu, ma non ha raggiunto i palestinesi. Dujarric ha spiegato che la strada era troppo pericolosa. "Sono in corso trattative - ha aggiunto - per trovare un'alternativa". Così, il rischio di una carestia di massa resta concreto e reale. I palestinesi di Gaza muoiono di fame. E la colpa è di Israele.

Il Mondo, intanto, sembra finalmente svegliarsi e prendere posizione. Il governo svedese ha condannato la decisione di Netanyahu di voler prendere il controllo totale di Gaza. Alle parole, ha fatto seguire i fatti: presenterà all'Unione Europea la proposta per sanzionare alcuni ministri israeliani. Si tratta dei ministri estremisti, quelli che spingono per gli insediamenti illegali e si oppongono ad una futura soluzione a due Stati. Lo ha annunciato la ministra degli Esteri, Maria Malmer Stenergard. Contemporaneamente, in Spagna il Parlamento a larga maggioranza ha approvato una legge che pone l'embargo a qualsiasi fornitura d’armi a Israele. Il Regno Unito ha, invece, sospeso i colloqui commerciali con Israele - si voleva arrivare ad un accordo di “libero scambio” - e convocato l’ambasciatore israeliano per quella che ha definito “l’intollerabile” offensiva nella Striscia. “Il Paese - ha dichiarato il Primo ministro Starmer - è inorridito dall'escalation di Israele”. Da Tel Aviv è arrivata una risposta in linea con l’arroganza degli ultimi anni: “Il mandato inglese sulla Palestina - ha detto una fonte ufficiale - è finito nel 1948”, riferendosi al periodo fra le due guerre mondiali in cui Londra controllò Gerusalemme e il territorio allora chiamato Palestina. Anche l’Unione Europea ha disposto una revisione degli accordi commerciali con Israele e Francia e Canada si dicono pronte a riconoscere lo Stato di Palestina. A tacere o quasi è ancora una volta l’Italia, che continua a non condannare l'azione di Tel Aviv.

La risposta reale del governo Netanyahu è arrivata, come sempre, sul campo. Ed è stata intimidatoria. In Cisgiordania, l’altra terra palestinese occupata illegalmente dagli israeliani, a Jenin, un'unità dell'esercito israeliano ha sparato colpi di avvertimento in aria, durante una visita diplomatica.La delegazione era composta da decine di ambasciatori e diplomatici europei, arabi, cinesi, giapponesi, indiani e di altre parti del Mondo. Il panico è stato immediato e grande, per fortuna non ci sono stati feriti. In ogni capitale, gli ambasciatori israeliani sono stati chiamati dai Ministri degli esteri  per dare spiegazioni. Per una volta, anche Antonio Tajani, il ministro italiano, ha definito “inaccettabile quanto accaduto”. Da Tel Aviv sono arrivate le scuse, spiegando che si è trattato di un errore. Lo stesso errore - viene da pensare - che ha portato, in 19 mesi di offensiva contro Gaza, alla morte di oltre 220 giornalisti e giornaliste. I dati sono delle Nazioni Unite, aggiornati al 19 maggio.

Altrove, nel Risiko mondiale si fanno i conti dei morti; in Libia, Sudan, Myanmar, Nigeria. O si fa il punto sul cessate il fuoco, come fra India e Pakistan. Oppure, si finge di trattare, come fra Russia e Ucraina. La guerra continua implacabile. Siamo arrivati al giorno 1.185 dall’invasione russa. Secondo le agenzie internazionali, sarebbero morti altri due italiani, arruolati come volontari nell’esercito ucraino per fermare i russi. Sono Antonio Omar Dridi, palermitano di 35 anni e Manuel Mameli, 25enne originario di Cagliari. Salgono così 7, ad oggi, gli italiani morti  mentre combattevano in Ucraina. Intanto, si inseguono le voci di possibili trattative a metà giugno in Vaticano. Un’ipotesi che incontra il favore di tutti: la Santa Sede viene giudicata il luogo migliore e più neutrale per ospitare le trattative. Un entusiasmo che, per una volta, è stato però spento dall'ottimista per eccellenza, il presidente statunitense Donald Trump. “Putin - ha avvertito - non è pronto a mettere fine alla guerra”.

Raffaele Crocco

Sono nato a Verona nel 1960. Sono l’ideatore e direttore del progetto “Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo” e sono presidente dell’Associazione 46mo Parallelo che lo amministra. Sono caposervizio e conduttore della Tgr Rai, a Trento e collaboro con la rubrica Est Ovest di RadioUno. Sono diventato giornalista a tempo pieno nel 1988. Ho lavorato per quotidiani, televisioni, settimanali, radio siti web. Sono stato inviato in zona di guerra per Trieste Oggi, Il Gazzettino, Il Corriere della Sera, Il Manifesto, Liberazione. Ho raccontato le guerre nella ex Jugoslavia, in America Centrale, nel Vicino Oriente. Ho investigato le trame nere che legavano il secessionismo padano al neonazismo negli anni’90. Ho narrato di Tangentopoli, di Social Forum Mondiali, di G7 e G8. Ho fondato riviste: il mensile Maiz nel 1997, il quotidiano on line Peacereporter con Gino Strada nel 2003, l’Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo, nel 2009. 

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