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Compensare o risparmiare? - #Diventaregreen
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Foto: Matthias Heyde da Unsplash.com
Ultimamente per molte realtà è diventato un vanto. Non necessariamente un raffinato lavorio di greenwashing studiato da ben ricompensati responsabili del marketing, e nemmeno un modo veloce e tutto sommato agevole di azzittire le coscienze. Spesso è semplicemente un autentico e sincero afflato ambientalista che si riassume in una frase che suona più o meno come “Non possiamo fare altrimenti, il nostro lavoro ha delle conseguenze sull’ambiente, ma almeno compensiamo”. E ve lo raccontiamo negli incontri dal vivo, sui volantini, sulle etichette dei prodotti, sui nostri siti. Solo che spesso in questi racconti manca una riflessione non proprio trascurabile. Che sta tutta in quel… “non possiamo fare altrimenti”. Perché… davvero non possiamo fare altrimenti?
Sia a livello locale che a livello mondiale la politica, quando si interessa di questi temi, sostiene con vigore azioni di riparazione: piantare alberi a compensare le emissioni di anidride carbonica, pagare una piccola percentuale in più un acquisto online per compensarne i costi ambientali del trasporto, e via dicendo. Tutti gesti visti con favore perché ci aiutano a sentirci più impegnati nel ripulire la scia di sporco che lasciamo al nostro passaggio.
Qualche settimana fa è diventato legge negli Stati Uniti l’Inflation Reduction Act, un documento che invita le aziende grandi e piccole a investire in nuove tecnologie e servizi che permettano di ridurre drasticamente le emissioni di CO2. Un provvedimento che stanzia centinaia di miliardi di dollari per aiutare le realtà economiche a generare energia più pulita e con minor costo, utilizzando fonti rinnovabili, incentivando i crediti sull’utilizzo di auto elettriche nuove e usate e tagliando i costi per l’installazione di dispositivi energeticamente più efficienti come pompe di calore e pannelli solari. Dollari destinati dunque ad azioni volte a contenere il cambiamento climatico, nell’ottica di raggiungere quell’obiettivo di ridurre al 2030 le emissioni di gas serra del 50% rispetto ai dati del 2005. Un documento e una serie di azioni a cascata che farebbero ben sperare no? Soldi spesi a favore di nuove tecnologie, più efficaci e meno impattanti.
C’è però anche un altro modo di calcolare il valore di questo Atto. I soldi non spesi. Quantificare il prezzo che in termini di inquinamento la crisi climatica riscuote in diversi ambiti della società, da quello della salute pubblica all’agricoltura, dall’edilizia abitativa alle infrastrutture e alla produttività, è di certo un’operazione molto complessa. Tanto che dal 2010, come parte dei compiti dell’amministrazione Obama, una squadra di economisti di diversa provenienza ha elaborato una formula per calcolare l’impatto economico causato dall’introduzione di una sola tonnellata di inquinamento da carbonio nell’atmosfera. Una cifra che può essere calcolata in dollari e che hanno chiamato “il costo sociale del carbonio”.
Si tratta di un dato importante di cui fare buon uso, ma ancor più interessante sarebbe sapere quanto possiamo risparmiare dall’evitare l’emissione in atmosfera di quella tonnellata. Un calcolo che recentemente la Casa Bianca ha pubblicato in un nuovo report che usa il costo sociale del carbonio per fare una proiezione: quanto non spenderemmo per mitigare le conseguenze di azioni peggiorative rispetto alla crisi climatica se ragionassimo in termini di programmi e politiche preventive (che l’Inflation Reduction Act appunto promuove)? La stima è più o meno di due trilioni di dollari da adesso al 2050, una cifra inimmaginabile a pensarla così, ma molto concreta se tradotta nella riduzione delle tasse a favore dei cittadini, ma anche in ingenti risparmi in ambiti che ci stanno decisamente a cuore perché ci riguardano da vicino: gli impatti sulla salute, le conseguenze dovute a disastri naturali, il prezzo del cibo e delle bollette.
Analisi supportate anche da enti non di parte, per cui questo passo intrapreso dagli Stati Uniti sarebbe un “game changer” che cambierebbe in meglio le regole della partita per la decarbonizzazione. Il fronte di contestazione identifica questo atto come un costo massivo per la società, senza considerare che una spesa volta a ottenere miglioramenti non è un costo, ma un investimento. Perché alla base dell’incentivare provvedimenti di questo tipo, oltre a garantire una maggiore sostenibilità e un minore impatto della nostra presenza umana e delle sue conseguenze sul Pianeta, c’è anche la volontà di investire su scelte e tecnologie migliorative che diventano, già nel breve-medio periodo, opportunità di risparmio.
Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.