Come chiudere il giornale più venduto del paese e ricevere tre miliardi di euro

Stampa

L’accordo turco-europeo lascia gestire il flusso dei migranti ad un paese sconvolto dalle violazioni dei diritti fondamentali. Nel frattempo, la Turchia addolcisce i propri cittadini promettendo visti liberi per viaggiare in Europa. Quali sono le opinioni dei soggetti coinvolti? Quali i rischi per Europa e Turchia? 

Gli affondi alla libertà di espressione

Lo scorso 31 Ottobre, il giorno prima delle elezioni parlamentari turche, mi trovavo nella redazione di Zaman, il quotidiano più venduto in Turchia. Arrivata davanti all’imponente sede del quotidiano, ho superato i controlli di sicurezza, divenuti più stringenti dopo che il 7 Settembre 2015  la sede del quotidiano Hurriyet e del gruppo editoriale Doğan è stata assediata da 200 protestanti filo- governativi armati di pietre e bastoni.

Al piano terra aspettava Mustafa Edib Yılmaz, editore della sezione esteri del Today’s Zaman, il giornale in lingua inglese del gruppo editoriale Feza Holding. Assieme abbiamo attraversato le postazioni di lavoro di alcuni dei 5000 dipendenti che il giornale conta in tutto il paese: un open-space costellato di dettagli significativi, tra copie di Charlie Hebdo e cartelli con la scritta “Free media cannot be silenced” (I media liberi non possono essere messi a tacere). Erano giorni cruciali per il giornale, che da due anni aveva cambiato la sua linea editoriale rendendola più critica verso l’establishment turco: questo avvenne  dopo gli scandali sulla corruzione di molti funzionari dell’AKP (Partito per la Giustizia e lo Sviluppo) di Erdoğan nel 2013 e la rottura tra quest’ultimo e il leader religioso Fethullah Gülen. Zaman non era un giornale immune all’influenza dei poteri forti, ma negli ultimi tempi la linea editoriale era cambiata verso un’analisi critica più profonda.

Numerose aziende del paese sono collegate al movimento di Gülen, l’Hizmet: tra queste, i gruppi editoriali Ipek Koza Holding e Feza Holding, di cui fa parte Zaman; ad Ipek è stata imposta un’amministrazione straordinaria scelta dal governo il 26 Ottobre 2015 e Feza ha subito la stessa sorte il 5 Marzo 2016.

“La situazione è critica” disse Yılmaz sedendosi alla scrivania. “I nostri principali sponsor, che costituiscono il 67% delle entrate, ci hanno abbandonato sotto minaccia. Così i giornalisti stessi: già due anni fa l’allora Capo del Governo Erdoğan disse ad una nostra inviata nel corso di una conferenza stampa di smettere di lavorare per “quei traditori”; così, molti hanno lasciato il giornale cercando un posto di lavoro più sicuro. Anche i lettori sono stati suggestionati, preferendo evitare di salire sull’autobus o di sedere al bar con una copia di Zaman. Le nostre vendite sono crollate da 1 milione a 600mila copie”.

Oggi le peggiori previsioni si sono avverate. Il 5 Marzo 2016 anche il bell’edificio di Zaman ha visto irrompere la polizia, dopo cariche di acqua e pallini di gomma contro i manifestanti dinnanzi ai cancelli di accesso. Il gruppo Feza è stato posto sotto amministrazione controllata e in pochi minuti 27 anni di archivi digitali sono stati cancellati.  Nell’ ultima edizione di Zaman prima del sequestro, la prima pagina era completamente nera se non per la scritta “Anayasa askıda” (Costituzione sospesa). Dopo due giorni, Zaman è tornato in edicola con in prima pagina il terzo ponte sul Bosforo inaugurato da un compiaciuto Presidente della Repubblica.  

La lotta al terrorismo

Come lo stesso sito del Consiglio d’Europa ricorda, la lotta al terrorismo è uno dei motivi per cui la collaborazione tra Turchia ed Unione Europea  è nuovamente intensa. È evidente però come il concetto di terrorismo, in particolare per la Turchia, non sia molto chiaro. Tra Stato Islamico, separatisti curdi e organizzazioni di estrema sinistra, la Turchia annovera anche l’Hizmet come gruppo terroristico che tenta di creare uno “stato parallelo”. Come scrive Cem Kucuk, del giornale filo-governativo Star, presto anche 17 università saranno confiscate per i loro collegamenti con l’Hizmet, l’ “organizzazione terroristica più pericolosa degli ultimi mille anni”.  Il semplice fatto che nessuno in Europa sia mai stato minacciato da tale organizzazione, la dice lunga sulle diverse priorità che i due recenti alleati hanno.  

Gli accordi sui migranti

Nonostante ciò, sembra che dopo ogni confisca arrivi un nuovo accordo tra Unione Europea e Turchia. Tre giorni dopo la confisca del gruppo editoriale Ipek Koza in Ottobre, il Consiglio d’Europa comunica che “il processo di ammissione della Turchia nell’Unione Europea ha bisogno di nuove energie”. Poiché, secondo le cifre della stessa comunicazione, la Turchia ospita più di 2,2 milioni di Siriani e ha speso per questo circa 8 miliardi di dollari, l’Unione Europea si è impegnata a versare 3 miliardi di euro iniziali per implementare un Piano di Azione Comune di regolazione dei flussi migratori.

Dopo 5 mesi, la storia si ripete. A due giorni dalla confisca del gruppo editoriale Feza, il vertice europeo del 7 Marzo 2016 delega di fatto alla Turchia la crisi dei migranti. Il paese tra Oriente ed Occidente ha capito di essere in posizione di forza e ha richiesto altri 3 miliardi di euro e la soppressione dell’obbligo di visto per lo spazio Schengen per 78 milioni di turchi entro Giugno. In cambio, fermerà il flusso di migranti verso l’Europa, riprenderà tutti i migranti che hanno raggiunto le isole greche e a tutto ciò verrà applicato il l’oscuro criterio di “un siriano in Turchia per un siriano nell’Unione Europea”, con movimenti forzati di migliaia di esseri umani. Poco chiara anche la sorte per i migranti di origine non siriana, che raggiungono la Turchia soprattutto da Pakistan, Afghanistan e Iraq.

“Non è che siamo noi a mandare i migranti in Grecia” ha commentato il Presidente Erdoğan, criticando l’UE per la sua riluttanza ad accogliere. Non alla luce del sole, certo, ma il paese su cui l’Europa al prossimo vertice di 17 e 18 Marzo deciderà ufficialmente di investire 6 miliardi di euro ha visto nascere un mercato nero legato ai migranti che ha raggiunto dimensioni ormai difficili da estirpare; oltre a questo, non ha alcuna esperienza nel campo degli aiuti umanitari o dell’integrazione di stranieri. Dimitri Bettoni, nell’interessante reportage “Istanbul, nella rete dei trafficanti”, racconta le partenze giornaliere di decine di autobus privati verso la costa occidentale della Turchia, da cui i migranti saranno imbarcati verso la Grecia. Ismail, un trentenne che vende tè caldo sulle panchine della piazzetta di Aksaray da cui partono gli autobus, dice: “Qui si possono vedere trafficanti a tutte le ore del giorno e della notte”. Sostiene che la maggior parte di loro sono siriani “ma hanno solo un piccolo ruolo in questo business, la maggior parte del denaro va ai turchi”. Aksaray si trova a meno di due chilometri dalla principale stazione di polizia di Istanbul. Il 9 Marzo, circolano in rete video che immortalano la guardia costiera turca mentre prende a bastonate un gommone che tenta di raggiungere l’isola di Lesbo, in Grecia.

Le Nazioni Unite esprimono perplessità nei confronti di questo accordo, che sembra violare la Convenzione di Ginevra del 1951.  Cosa pensano di tutto ciò i leader europei? La Francia teme un’invasione di turchi in Europa, e il Presidente Hollande ci tiene a precisare che le liberalizzazioni del visto avverranno solo dopo che la Turchia rispetterà 72 criteri; per ora solo 19 di questi sono soddisfatti. L’opposizione tedesca attacca la Merkel, vera forza trainante dell’accordo con la Turchia, per aver fatto troppo concessioni in tema di visti: le elezioni regionali del 13 Marzo hanno confermato questo malcontento. Nel frattempo, Slovenia, Croazia, Serbia e Macedonia hanno chiuso i propri confini, mentre Austria e Ungheria hanno imposto limiti numerici di entrata molto stringenti.

Il Presidente Renzi, chiede che le recenti violazioni della libertà di stampa turche siano citate nel summit finale del 18 Marzo, minacciando di porre un veto sull’accordo. Affermazione lodevole ma che arriva tardi, dato che quella commessa contro il quotidiano Zaman è solo una delle tante violazioni della libertà di espressione del governo AKP: qui un riassunto fino al momento delle elezioni del 1° Novembre, prima che l’ AKP venisse riconfermato e si arrogasse il diritto di non rispettare non solo le convenzioni internazionali, ma in primis la propria costituzione e le proprie leggi. Nella lucida lettura di Mustafa Akyol, “Per questo regime la democrazia non è nient’altro che le elezioni, e il vincitore, incarnando la volontà nazionale, ha il diritto di dominare ogni aspetto della società”. Solo nel 2016, inoltre, all’indomani di tre esplosioni che hanno sconvolto Istanbul e Ankara, il governo ha proibito la circolazione di notizie e foto a riguardo oscurando Twitter e Facebook il 13 Marzo.

Ma al di là delle parole dei leader, molti cittadini turchi sono disillusi.  “Tutto questo è un gioco sporco e complicato” dice Özgür, studente universitario. “Già due anni fa, un grosso scandalo sollevato dalle opposizioni rivelò l’intento dell’AKP di rafforzare il proprio elettorato concedendo facilmente cittadinanza e voto ai siriani. Il database del governo mostrava erroneamente che a casa mia vivevano altre 4 persone di origine siriana”. Dimostrare che i siriani hanno una casa, concedere loro la cittadinanza e assicurarsi voti verso l’obiettivo di una repubblica presidenziale che permetta al governo turco di agire senza poter essere accusato di non rispettare la legge. Una logica lineare.

“Questa è solo una truffa” aggiunge Koray Kırca, avvocato. “Sappiamo bene che ai cittadini turchi non sarà concesso nulla in termini di visto e tanto meno entreremo nell’Unione Europea. Questi accordi sono qualcosa di cui parlare in TV, per addolcirci di fronte al nostro declino economico e democratico”. “E non capisco come possiamo lasciarci addolcire da un accordo che abbandona a morte certa migliaia di esseri umani” aggiunge con risentimento. Come suggerisce il politologo turco Cengiz Aktar, l’accordo porterà con sé altre sorprese: “Chiudendo gli occhi sulle violazioni dei diritti umani in Turchia, gli europei si troveranno presto a dover accogliere anche i profughi turchi e curdi in  fuga da quelle violazioni”. 

Sofia Verza

Laureata in Giurisprudenza presso l'Università di Trento, ha studiato ad Istanbul presso le Università Bilgi e Yeditepe, specializzandosi nel campo del diritto penale e dell'informazione. Ad Istanbul, ha lavorato per la fondazione IKV (Economic Development Foundation), ricercando nel campo della libertà di espressione. E' stata vice presidente dell'associazione MAIA Onlus di Trento, occupandosi di sensibilizzazione sulla questione israelo-palestinese e cooperazione culturale in Cisgiordania. Scrive per il Global Freedom of Expression Centre della Columbia University e collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso

Ultime notizie

Stretching Our Limits

06 Settembre 2025
Torna Stretching Our Limits, l’iniziativa di Fondazione Fontana a sostegno delle attività de L’Arche Kenya e del Saint Martin.

Il punto - Il balletto delle "alleanze fragili"

05 Settembre 2025
Nel balletto delle “alleanze fragili”, una partita fondamentale la sta giocando il genocidio a Gaza. (Raffaele Crocco)

Dossier/ Materie prime critiche (2)

03 Settembre 2025
L'estrazione dei minerali critici per la transizione energetica genera tensioni in tutto il mondo. (Rita Cantalino)

Una grammatica sociale

01 Settembre 2025
Questo mese nel podcast ALTRO MODO parliamo del progetto Strade Maestre, un esperimento formativo in cui il percorso scolastico si svolge in cammino. (Michele Simeone)

Lavori in corso per il nuovo sito!

31 Agosto 2025
Stiamo lavorando per voi (e per noi). Stiamo lavorando ad un nuovo sito...

Video

Serbia, arriva a Bruxelles la maratona di protesta di studenti per crollo alla stazione di Novi Sad