Colombia: passo storico verso una pace ancora complicata

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Dopo più di tre anni di colloqui non privi di ostacoli, incomprensioni e contrasti, Juan Manuel Santos, presidente della Colombia, e Timoleón Jiménez (Timochenko), comandante delle FARC-EP (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia) insieme ai rappresentanti dei Paesi che hanno operato come mediatori e garanti (per Cuba, il Presidente Raúl Castro e per la Norvegia il Cancelliere Borge Brende e anche il Segretario Generale ONU Ban Ki-moon) hanno firmato a L’Avana, il 23 giugno scorso, un cessate il fuoco che vorrebbe essere definitivo.

A margine dell’incontro Clara Rojas parla quasi a bassa voce nel fragore delle negoziazioni diplomatiche, quasi abbagliata dai flash delle telecamere. Rojas, 51 anni, venne sequestrata dalle FARC nel 2002 fino al 2008 insieme alla candidata presidenziale Ingrid Betancourt di cui era segretaria; diede alla luce un figlio, Emmanuel, che le venne tolto dalle braccia e che rivide solo dopo due anni dalla nascita; oggi come deputata liberale è Presidente della Commissione Diritti Umani del Parlamento Colombiano. Così commenta l’accordo: “Non è sufficiente firmare un documento, bisogna aprire il cuore alla pace e costuirla quotidianamente nel proprio ambiente familiare, nel lavoro, in una società ancora ferita da quasi sessant’anni di guerra; dobbiamo affrontare altri conflitti sociali come la povertà e le diseguaglianze, come il fatto che troppi bambini muoiano oggi di fame e di sete nella Guajira e altre regioni”.

Il Presidente della Repubblica Santos è stato molto determinato nel suo intervento sottolineando che “stiamo scrivendo il punto finale del conflitto, non abituiamoci all’orrorre della guerra, chiudiamo il capitolo per cicatrizzare le feriti e non ripetere una storia di violenze che ha fatto tanto danno a tutti i colombiani. Ora le idee si difenderanno con la ragione, non con le armi. Si avrà giustizia per le vittime e non impunità”.

Parla delle vittime della guerra per rispondere al silenzio assordante del comandante Timoleón Jiménez che in un discorso politico molto sprezzante, non cita mai le vittime, non cita mai gli 11.300 bambini anche minori di 12 anni, che secondo la Fiscalia della Nacion sono stati utilizzati come baby soldato, come carne da macello in questa guerra assurda, dove le FARC sono considerate tra i cartelli più potenti del narcotraffico a livello mondiale, come ha documentato anche Gustavo Duncan, membro della commissione storica sul conflitto armato e le vittime promossa dal Governo nazionale nel 2015.

Il Presidente Santos rompe le etichette del bon ton, ricordando con durezza che “i bambini non devono andare mai più alla guerra, i bambini devono giocare e ridersi della vita, che deve essere dignitosa per tutti”.

Tra i commentatori della televisione pubblica, il missionario della Consolata Leonel Narvaez rimprovera alla Chiesa Cattolica di essere timida. Ricorda che “gli esempi del Sud Africa, Honduras, Guatemala, El Salvador, hanno firmato la pace vent’anni fa ma ora la violenza, le maras-gang giovanili sono esplose perchè non abbiamo sanato le ferite della violenza, della rabbia, del rincore dei giovani, che si riflette nella politica economica dell’odio como direbbe la sociologia politica, dobbiamo disarmare la parola, il cuore per facilitare un dialogo sereno tra tutti i popoli”.

La firma della pace in Colombia con il principale e più temibile gruppo armato è un fatto veramente epocale, e insieme con la normalizzazione dei rapporti fra Cuba e Stati Uniti, va annoverata tra gli eventi politici più rilevanti nella regione negli ultimi 50 anni. Quest’accordo realmente storico è un ulteriore, decisivo, contributo alla fine della «guerra fredda» latinoamericana che tanto male ha fatto ai popoli della regione, solo Colombia piange 260.000 vittime, con una crisi umanitaria esplosiva con 7 milioni di rifugiati interni, desplazados.

Cristiano Morsolin, esperto di diritti umani in America Latina dove vi risiede dal 2001.

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