Chi bruciò Roma? (e a chi giovò l’incendio?)

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Non sappiamo ancora se sia stato Nerone o frange estremiste di realtà cristiane, come sostiene la moderna storiografia, a bruciare Roma nel 64: figurarsi se potremmo sapere se vi fu qualcuno che ne creò le condizioni (leggi «non prevenire») il 15 ottobre 2011. Il problema però non è il mandante ma la massa che non è stata capace di isolare, nonostante alcuni straordinari esempi coraggiosi, i violenti.

Come andare in piazza

Non serve certo aver studiato l’enciclopedia sulla nonviolenza attiva del vecchio Jean Sharpe per capire che in piazza o si va organizzati o, forse, è meglio non andare. Per questo le manifestazioni d’autunno ben organizzate dalla società civile (Perugia-Assisi del 25 settembre), dai sindacati (Fiom il 21 ottobre), dai NO TAV (23 ottobre), dai partiti (PD del 5 novembre) sono state nonviolente. Nonviolente e silenti. Ed è qui che i violenti rivendicano ragione: «voi potete portare milioni di persone in piazza ma nessuno vi darà voce, ascolto». Come dar loro torto. Le maggiori tv nazionali ne danno cenno, forse, tra le varie.

Come sortirne? La piazza virtuale italiana, nella quale peraltro opero, vede rivoli frammentati e disorganizzati pari alla piazza reale. Un’infinità di siti, blog, community incapaci di far sintesi e condividere un’agenda. Come se la primavera araba non fosse esistita e le piazze reali non fossero state preparate nei minimi particolari da quelle virtuali, non solo attorno al Mediterraneo ma anche a New York, con Occupy Wall st., per essere proiettate in quasi mille città del pianeta. Eppure la creatività può andare oltre ogni potere mediatico. Lo ha dimostrato lo scendere in piazza all’insegna dello slogan «se non ora quando» dello scorso anno.

Ma cosa è accaduto il 15 ottobre? La non organizzazione ha concentrato i figli del «vietato vietare» in piazza San Giovanni. È quasi naturale che poche teste “calde” che non vengono fermate sul nascere decidano di prendere la scena. Quale servizio d’ordine strutturato s’erano dati gli organizzatori?

Per l’amico Mao Valpiana il problema sta sempre nel fine e nel mezzo. Il clima che precede una manifestazione di massa è importante ed è determinato anche dalle dichiarazioni e dalle “parole d’ordine” degli organizzatori. Se i toni si esasperano, attirano gli esasperati. Nell’esasperazione scompare l’agenda politica. Proprio come accadde peraltro a Paolo Borsellino. A chi giovò la confusione del dopo attentato?

Qui non si tratta solo di “isolare o respingere i vandali” ma semplicemente di creare le condizioni affinché costoro non si presentino. L’ho sperimentato nella mia piccola circoscrizione. Durante un concerto all’aperto era stata programmata musica rave e permesso che fiumi di birra si riversassero sui giovani. Nessun controllo all’entrata del parco e la miscela fu esplosiva: un casino a cielo aperto sino all’alba e la fuga di centinaia di giovani che volevano semplicemente far festa. L’anno a seguire la programmazione si avvalse di esperti con musica rock da parte di gruppi scelti, offerta anche di bevande analcoliche, servizio d’ordine da parte dei carabinieri in pensione, illuminazione nei punti più oscuri del parco. Insomma, un successo. Soprattutto di pubblico.

Bisogna proclamare preventivamente il carattere nonviolento delle manifestazioni, come accaduto per i NO TAV in Val di Susa del 23 ottobre, reduci anch’essi da manifestazioni violente. I cortei gridati sono più a rischio dei sit-in in grandi spazi o nei parchi, con buona musica come colonna sonora. Si rinunci alla mega-manifestazione, sempre a Roma, e si privilegino tante piccole manifestazioni, collegate fra loro dal virtuale, in ogni città e in ogni paese, dando a tutti la possibilità di partecipare, soprattutto alle famiglie, ai bambini, agli anziani. Le RAI 3 regionali, per esempio, potrebbero essere interessate bypassando il veto nazionale. Anche in questo caso uno con il casco integrale in testa e i parastinchi sarebbe messo alla berlina. Al posto della polizia ci sarebbe più probabilmente il vigile.

Insomma, se lasciamo la giornata al caso prevarrà il casco, il sanpietrino, la violenza. Se fossimo un pochino meno supponenti, (cosa che contraddistingue quasi tutte le nazioni occidentali) potremmo imparare dai sud del mondo. I discendenti di Gandhi, per esempio, sanno benissimo a chi giova la violenza e si attrezzano di conseguenza. Recentemente in India migliaia di persone si sono riversate improvvisamente per le strade per sostenere il loro leader nonviolento Anna Hazare («fratello maggiore»), sventolando bandiere nazionali, gridando «lunga vita all’India» e cantando canzoni patriottiche: in un contesto del genere non c’è proprio spazio per gli incappucciati. Nelle Filippine manifestano attorniati da una fascia rossa lunga chilometri: chi è dentro la fascia appartiene, chi è fuori no. Ogni cento persone c’è un coordinatore collegato via telefono ai tre responsabili e appena uno fa lo stupido il coordinatore più vicino informa i responsabili che decidono il da farsi; per esempio «tutti seduti» oppure «cantare una canzone» oppure «tutti in silenzio senza muoversi».

Nello Yemen o in Siria i manifestanti con le mani alzate sono stati falciati dai mitra ad altezza uomo. Sì, certo: si tratta di un fallimento non solo della società civile che manifestava ma dell’opinione pubblica mondiale ipnotizzata dallo schermo piatto. A questo riguardo l’Italia non è un’eccezione.

Cattivi pensieri

Ma anche nelle situazioni più violente e fallimentari le società civili di alcuni Sud sembrano contrapporre un’organizzazione meticolosa della protesta nonviolenta all’organizzazione poliziesca che caratterizza un regime dittatoriale. Il 15 ottobre siamo andati allo sbaraglio. E s’è visto. Ma, cosa ancor più grave, non siamo gli unici. Anche le forze di polizia hanno dimostrato impreparazione e improvvisazione. Una miscela affatto rassicurante.

E qui si aprono due pensieri. Il primo è che vi sia stata una volontà politica affinché Roma bruciasse. Non lo sapremo mai. In altre occasioni s’è “bonificato” il percorso, sono stati tolti i cassonetti e sigillati i tombini proprio per prevenire incendi e la possibilità di alzare barricate. Davanti alle agenzie di banche v’era un picchetto di polizia. In molti paesi europei, all’uopo, sono stati attuati fermi cautelativi per non far marciare facinorosi esagitati in strade non presidiate e piene di materiali contundenti. I servizi segreti dei diversi Paesi conoscono i volti dei capibanda che, guarda caso ed anche questa volta in Italia, non sono stati arrestati. L’arresto di sole dodici persone su centinaia di black bloc pone uno o più dubbi.

Ma il secondo pensiero è ancor più pericoloso. Non v’è stata alcuna volontà politica affinché la manifestazione del 15 ottobre fallisse miseramente non permettendo a duecentomila persone di dimostrare la propria indignazione, ma solo l’impreparazione delle forze dell’ordine. Se questo è vero, come sostiene il Ministro dell’Interno, è naturale porsi la domanda conseguente: se poche centinaia di incappucciati con armi rudimentali possono creare una tale confusione, quale sarebbe l’esito a fronte di altrettanti padani ben armati che vogliono prendere il palazzo come più volte minacciato?

Mirko Carletti (poliziotto e sindacalista del SILP-CGIL) ha messo in evidenza, l’indomani del 15, «le pecche di un modello militare che è solo scenico, dove la preparazione e la professionalità sull’ordine pubblico sono subordinate alla “scenografia”. Quando poi si creano situazioni di guerriglia urbana è difficile tenere la situazione sotto controllo, se non si riesce a prevenirle dopo diventa difficile, se non impossibile, gestirle».

Una cosa è certa. Sia nella prima che nella seconda ipotesi il governo ne ha tratto beneficio, consenso. Un po’ di respiro nel processo di corrosione interna. Che viene ad aggiungersi al respiro portato dal «Movimento 5 stelle» i giorni seguenti la manifestazione, quando il centro destra ha primeggiato in Molise. Il 19 ottobre il premier ha affermato: «Lunga vita a Beppe Grillo. Il 95% dei suoi elettori sono voti sottratti alla sinistra». A tal proposito mi auguro che anche il «Movimento 5 stelle», come i partiti delle ali estreme, possano trovare rappresentazione in parlamento. L’assenza di loro rappresentanti, infatti, porta a questo tipo di degenerazioni di piazza (ove la destra, peraltro, era di gran lunga maggioritaria rispetto ai rappresentanti dei centri sociali).

L’agenda politica

Sino a qui abbiamo tentato di affrontare il «come». Credo sia importante affrontare anche il «che cosa». L’agenda politica. L’Italia, nei suoi passaggi storici, ha saputo dal basso dare delle risposte: dalle ACLI alle case del popolo, dal cooperativismo bianco e rosso, ai diritti civili. Siamo in grado di proporre un’agenda, un’idea di società altra? Se gli indignados avessero potuto manifestare pacificamente e le loro richieste fossero salite agli onori della stampa, quale sarebbe il risultato?

A leggere la lettera che i giovani indignados nostrani hanno inviato al presidente Giorgio Napolitano non si coglie il disegno di una società nuova ma la rivendicazione di quella trascorsa, con tutti i suoi diritti, il suo welfare e, purtroppo, i suoi sprechi. Allora si guadagnava 100 e si spendeva 120. Oggi, invece, serve un ridisegno ove a fronte di 100 si spenda 80 ed i rimanenti 20 vadano a pagare il debito pubblico. Per far questo serve una presa di coscienza collettiva e un «farsi carico» collettivo. Serve »sentirsi nazione» con uno scopo ben preciso: salvare il paese dal baratro finanziario.

Nella missiva sovracitata, per fortuna, si danno anche indicazioni su dove trovare le risorse: nella parte più abbiente della società. Ma la tassazione progressiva non può e non deve esentare alcuni e tassare altri in quanto sarà tutto il popolo italiano che dovrà «farsi carico».

Quand’eravamo noi giovani indignados, vent’anni fa, proponemmo la Tobin tax per rallentare le speculazioni finanziarie. Oggi, a proporlo, sono alcuni governi europei. Ma anche allora, come oggi, non fummo capaci di organizzarci; d’incidere. A qualche speculatore giovò la nostra incapacità. E i risultati sono evidenti.

Fabio Pipinato per Il Margine

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