Cattolici e governo Monti, tra parole nuove e politichese

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L’intricata e particolare storia del rapporto tra cattolici e politica in Italia si è arricchita di un altro capitolo a seguito del tramonto dell’era berlusconiana e della nascita del governo Monti, una compagine tecnica, accolta positivamente da molti, che però gode ancora di una vasta, seppur tra mille distinguo, maggioranza parlamentare. Il primo ministro impersona la stagione della serietà, il suo modo di essere e di fare invita alla discussione su provvedimenti concreti, del confronto il più possibile pacato.

In questo quadro si dice comunemente che i cattolici possono ritrovare un perduto protagonismo di presenza e di proposta, magari riprendendosi la guida del paese. È opportuno evidenziare come, in questa analisi, sia dato per scontato che nei due governi Prodi la presenza cattolica sia stata irrilevante e che i governi Berlusconi (giudicati per troppi anni come vicini alle posizioni ecclesiali) siano stati lontani mille miglia da un’impostazione valoriale cattolica. Ma lasciamo perdere lo sguardo retrospettivo per concentrarci sul presente.

Oggi, sabato 14 gennaio, il presidente Monti incontra ufficialmente il Papa. Nell’agenda ICI e sorrisi, collaborazione reciproca e valori non negoziabili, politica e religione. Niente di nuovo. Per capire che cosa si muove occorre guardare nelle pieghe della compagine governativa.

Nel Consiglio dei ministri i “cattolici” con l’etichetta sono quattro. Lorenzo Ornaghi, già rettore dell’Università cattolica di Milano, sponsorizzato dal Cardinal Ruini, ora ministro dell’istruzione. Corrado Passera, imprenditore, banchiere, manager, attivissimo negli ultimi anni nella “finanza bianca”, applaudito al Meeting di Rimini del 2009, è l’uomo forte intorno a cui si condensano le indiscrezioni su di una possibile candidatura a premier del terzo polo nel 2013. Come ministro della sanità troviamo Renato Balduzzi, esponente dell’Azione cattolica e vicino alle posizioni di democratici come Rosy Bindi.

E veniamo a Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di sant’Egidio e ora ministro della Cooperazione e dell’integrazione (una dizione del dicastero molto interessante), l’esponente cattolico più noto e attivo del governo Monti. Le sue prime uscite pubbliche hanno dato il segno di una netta discontinuità rispetto al grossolano e muscolare approccio precedente: dalle tragiche vicende del campo rom bruciato a Torino alla strage di immigrati senegalesi a Firenze fino alla decisiva questione della cittadinanza italiana, Riccardi ha dimostrato quella sensibilità ma anche quella concretezza che tante volte abbiamo visto all’opera nelle varie iniziative della Comunità. La scelta di Monti di togliere la competenza sull’immigrazione dal ministero degli interni a quello – costruito appositamente – della Cooperazione implica una notevole sterzata politica: la questione degli stranieri non è più considerata un problema di reati, ordine pubblico, quote e manette ma di integrazione, mutua collaborazione, economia, cultura. Già questo cambio di paradigma (probabilmente il frutto migliore del nuovo clima) potrebbe essere salutato come una vittoria della sensibilità cattolica. Ed è su questo piano che bisogna procedere. Certo se poi il ministro della difesa Di Paola parla della questione F35 come un’opportunità di creare molti posti di lavoro, capiamo che poco è cambiato rispetto al passato.

Un altro rischio sempre incombente è quello di cadere nel politichese. Dispiace dirlo ma Riccardi, che mai prima si era impegnato nella politica attiva e che anche oggi rivendica la sua posizione di tecnico, ha subito imparato il linguaggio più raffinato del dire e non dire partitico. Lontane sono le parole inequivocabili che ha lanciato contro il razzismo strisciante ma presente in Italia; interrogato a fine 2011 sul futuro del ruolo dei cattolici, Riccardi è riuscito ad inventare un nuovo termine che arricchisce il già vasto lessico del politichese italiano. Percorrendo fino in fondo le “convergenze parallele” di democristiana memoria, Riccardi arriva a dire che, nello scenario politico futuro, ci potranno essere maggiori “condensazioni” di cattolici in uno dei due, o tre, grandi schieramenti. Ora che cosa significhi concretamente questa parola non è dato saperlo. Si condensa un gas ma forse si possono condensare anche le idee. Riccardi precisa che le condensazioni non sono unificazioni partitiche. Non si vuole cioè ricostruire l’unità politica dei cattolici.

Le condensazioni di Riccardi si collocano su questa scia che, usando una terminologia da palazzo, potremo definire “centrista”: i cattolici vogliono riprendere le redini del paese; per questo il ministro parla della necessità di “rifondare la democrazia” italiana passando attraverso una radicale trasformazione dei partiti. Un’urgenza che sentiamo tutti ma che sarebbe triste si esaurisse in un nuovo partito, magari ago della bilancia per future coalizioni elettorali. Grandi movimenti sono comunque in atto.

La presenza di “cattolici” dovrebbe tradursi in provvedimenti concreti nella direzione della solidarietà, dell’inclusione, di un nuovo progetto di Italia. Molte associazioni hanno applaudito a Riccardi proprio per questo, senza aver bisogno di piantare bandierine.

Piergiorgio Cattani

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