COP26: ultima chiamata per l’emergenza clima

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L’appuntamento della Conferenza ONU sui cambiamenti climatici (COP26) che si terrà a Glasgow, in Scozia, dal 31 ottobre al 12 novembre rappresenta una probabile ultima chiamata affinché da parte dei governi mondiali siano prese le necessarie e urgenti misure per affrontare la crisi ambientale in atto e impedire che il cambiamento climatico diventi sempre più fuori controllo.

Il recente rapporto sul clima del Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici delle Nazioni Unite (IPCC), definito un “codice rosso per l’umanità” da parte di Antonio Guterres Segretario Generale delle Nazioni Unite, ha evidenziato come “il clima stia cambiando in maniera più rapida e intensa del previsto mentre le azioni intraprese a livello globale per tagliare drasticamente le emissioni di gas serra, frenare il riscaldamento globale e contrastare la crisi climatica siano ancora del tutto insufficienti”.

La comunità scientifica ha sottolineato come il ruolo delle attività umane nel riscaldamento globale sia inequivocabile e come la temperatura terrestre sia aumentata ad un ritmo senza precedenti, almeno negli ultimi 2000 anni, raggiungendo la soglia di 1,1°C rispetto all’era pre-industriale.

Gli impatti sui sistemi naturali sono ormai evidenti. Il livello del mare continua a crescere, più 20 cm dal 1901, gli oceani si scaldano, i ghiacci continentali e marini si riducono, il Mar glaciale Artico ha perso il 40% della sua estensione dal 1979. Sempre più frequenti e intensi sono gli eventi meteorologici estremi come piogge abbondanti e conseguenti alluvioni, ma anche ondate di calore e siccità, che insieme contribuiscono a condizioni favorevoli ad incendi come è accaduto per l’area Mediterranea in estate.

Il richiamo del mondo scientifico è chiaro: senza una rapida e sostanziale riduzione delle emissioni di gas serra a livello globale sarà impossibile soddisfare gli obiettivi dell’Accordo sul clima di Parigi. Obiettivi che prevedono di limitare il riscaldamento a 2°C a fine secolo rispetto il periodo pre-industriale ma di fare il possibile per stare sotto 1,5°C di aumento. Il tutto per evitare il raggiungimento di soglie che renderebbero irreversibili alcuni processi fisici in atto come la fusione dei ghiacci, l’innalzamento del livello dei mari e la perdita di ecosistemi che renderebbero catastrofici gli effetti sulla sopravvivenza della specie umana...

L'articolo di Paulo Lima e Roberto Barbiero* segue su Stampagiovanile.it

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