Bolivia: elezioni tra odio e violenza

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Foto: Unsplash.com

Il 17 agosto in Bolivia ci saranno le elezioni presidenziali. Come si arriverà al 17 agosto è un programma. Quel giorno ci sarà l'elezione di 177 autorità nazionali: presidente, vicepresidente, 36 senatori, 130 deputati e nove legislatori sovranazionali. Le tensioni interne al Mas sono finite solo perchè Evo Morales è uscito dall'organizzazione che l'ha visto alla sua guida per anni ed ora sta cercando di trovare chi lo candiderà alla presidenza se pur ha una sentenza del tribunale che lo inebirebbe. Morales si è comunque candidato, è inutile dire che questo non è a costo zero, non sappiamo se la sua base sociale lo seguirà fuori dal Mas e se sarà disposta nuovamente a bloccare pezzi di Bolivia, ma non si può nemmeno escludere. A rendere tutto più complesso c’è la candidatura, in zona cesarini, del 36enne Andrónico Rodríguez, presidente del Senato, e fino a pochi giorni fa considerato stretto di Evo Morales. Un solo partito, devastato dagli scontri di potere, si dividerà in tre. A destra non stanno meglio, il tentativo di una candidatura unica è naufragata. Samuel Doria Medina è il candidato di quasi tutte le forze a destra del Mas ma Jorge “Tuto” Quiroga ha deciso di chiamarsi fuori dall'alleanza è correrà solo. Quiroga ha presentato davanti al Tribunale Supremo Elettorale la sua candidatura, in conferenza stampa ha detto che “Libre”, la sua coalizione, è composto da “due partiti nazionali”, il Fronte della Sinistra Rivoluzionaria (FRI) e il Movimento Democratico e Sociale (MDS), a cui si uniscono 15 gruppi di cittadini provenienti dalle nove regioni della Bolivia. Ma non è detto che le rotture dentro al blocco elettorale di destra non si allarghino. Saranno almeno 10 i candidati presidenti il 17 agosto. Insomma tutt'altro che uno scenario disteso, con le destre continentali già pronte a denunciare una frode elettorale se Arce uscirà confermato presidente dalle urne. 

Si sta già preparando il terreno, tanto che una lettera scritta da un ex comandante dell'esercito boliviano, oggi in carcere, è giunta nelle mani di Fuerza Informativa Azteca (FIA) e così il portale web e Tv Azteca hanno dato gas al testo. Il militare che si presenterebbe come un “servitore della Bolivia” accusa Luis Arce, il presidente della Bolivia,  di aver orchestrato un “piano machiavellico” per far precipitare il Paese nella violenza e perpetuarsi al potere attraverso un “autogolpe”. Il piano sarebbe quello di replicare quanto accaduto in Salvador, se pur in altri termini, e poi in maniera autoritaria ri-darsi la presidenza. L'accusa trova certamente forza dopo i fatti del 26 giugno 2024, quando Juan José Zúñiga, che ricopriva la carica di Comandante dell'Esercito boliviano, mobilitò truppe e carri armati che circondarono Plaza Murillo e il palazzo presidenziale di La Paz (sede del governo boliviano). Un “golpe” fallitto e che per molti e molte altro non è stato che una messa in scena di Arce per rafforzarsi. Ma il clima, anche delle battute da bar, in Bolivia è questo. 

Oltre al clima di odio e violenza con cui si arriva alla campagna elettorale ciò che preoccupa è che le opzioni in campo paiono essere lontane dalle necessità del popolo boliviano, la destra ha mostrato tutta la sua postura coloniale, razzista, autoritaria e neoliberista durante il “governo golpista” di Jeanine Áñez Chávez. Una proposta che è stata rifiutata dal paese. Il Mas, oltre allo scontro di potere e di leadership interno, ha mostrato il fallimento del suo progetto politico, l'incapacità di emanciparsi dell'economia estrattiva così come di dar fondo ai percorsi anti-sessisti e di inclusione sociale e politica che si era posto. La proposta del Mas ripercorre schemi tecnocratici e novecenteschi, che erano lontani all'inizio della sua parabola. Non è da escludere che a “sinistra” del Mas si tentino della candidature. Certo è che la popolarità di Arce è molto bassa, scandali di corruzione legati alla famiglia, l'uso della forza interna al paese, e la crisi economica dilgante hanno allargato lo scontento. I movimenti sociali che si erano ri-avvicinati al Mas in chiave anti  Áñez non hanno nessun intenzione di stare ancora attorno al partito. Ad oggi, tutto, direbbe che dopo diversi anni dovrebbe essere la destra ha trionfare alle elezioni. 

Se questa sensazione venisse confermata sarabbe un vaticinio sul fallimento politico di un'esperienza grandiosa, nata sull'onda lunga dei movimenti sociali, soprattutto quello per l'acqua ed il gas, che a fine 1900 ed inizio 2000 hanno segnato una svolta sociale e politica in Bolivia. Fino al 2009 il percorso, anche di governo, è stato interessante, potente, rivoluzionario dentro alla compatibilità data vittoria elettorale. Poi il potere ha fatto il potere, Morales, il Mas, e i gruppi dirigenti si sono allontanati dalla base, dalle necessità delle persone, e il fallimento è cresciuto giorno dopo giorno. Una vittoria delle destre, conservatrici, avrebbe una gross impronta internazionale, mettendo nello scacchiere un paese in più che guarda a Trump. A livello interno però, il grande sogno di fine secolo scorso, la dignificazione dell'essere popolo, indigeni/e, contadini/e, è un qualcosa che non può tornare indietro. E per le destre non sarà facile, il governo golpista lo ha pagato sulla sua pelle. Il domani della Bolivia sarà una storia a tinte fosche, ma sarà anche lo spazio perchè ciò che si è perso, ma che già ha saputo alzarsi, possa tornare a battere e trasformare il paese, e non solo.  

Andrea Cegna

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