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Balene: creature fragili e misteriose
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Foto: Unsplash.com
Morte su una spiaggia della Tasmania australiana. Parliamo di oltre 200 balene pilota che hanno perso la vita sul litorale di Ocean Beach, a ovest di Strahan. Una scena surreale che la prof.ssa Karen Stockin, esperta di mammiferi marini all’Università della Nuova Zelanda, si è trovata davanti con immenso stupore, anche se il sentimento non è purtroppo nuovo in quest’area: le coste occidentali della Tasmania rappresentano un hotspot per uno speciale tipo di delfino oceanico, un globicefalo chiamato anche balena pilota, cetaceo della famiglia Delphinidae.
Gli spiaggiamenti massivi che avvengono su queste coste possono avere ragioni molteplici: dal cambiamento delle temperature dell’acqua che spingono gli animali ad avvicinarsi a riva più del normale alla forte coesione sociale che li caratterizza e che, a fronte di un individuo debilitato, può indurre anche gli altri a seguirlo. Certo una condizione non usuale per animali altamente intelligenti che apre numerosi interrogativi sull’influenza umana, per esempio per le conseguenze legate a test sismici proprio in un’area dove solitamente questi mammiferi si cibano.
Sono situazioni molto impattanti anche sull’opinione pubblica, che spesso influisce negativamente sulla complessità della realtà che i soccorritori devono affrontare: pressati dal desiderio che i mammiferi vengano salvati, spesso si trovano purtroppo a prolungare l’agonia di una situazione difficilmente risolvibile, soprattutto alla luce di numeri così imponenti che di certo attivano la disponibilità di molti volontari, ma che necessitano anche di personale esperto e che abbia già dimestichezza con gli animali selvatici, in modo da garantire la sicurezza di persone e cetacei, a maggior ragione in un’area esposta a condizioni ambientali più difficili rispetto a quelle per esempio dell’estuario di Macquarie Harbour, dove nel 2020 avvenne un altro tragico spiaggiamento di massa.
Sono avvenimenti minori? Se posti di fronte a ciò che riguarda più da vicino l’uomo e i diritti umani o se confrontati con impellenti crisi economiche che apparentemente necessitano non solo di maggiori attenzioni, ma anche di azioni urgenti e indispensabili… forse sì. Ma forse anche no. Perché in fondo non stiamo giocando uno stupido gioco a chi valga di più, ma solo tentando maldestramente di orientarci in un mondo che ci è ancora per larga parte oscuro nonostante i passi da giganti della ricerca e che sui mammiferi del mare, in particolar modo delle balene, ha ancora molto da scoprire.
Per esempio come funzionino alcune tipologie di speciali vasi sanguigni che proteggono il cervello delle balene dalle pulsazioni causate dall’attività natatoria in profondità e che potrebbe danneggiare le connessioni neuronali a causa della forte pressione esercitata. Pulsazioni sanguigne molto forti di cui anche alcuni mammiferi di terra come per esempio i cavalli al galoppo fanno esperienza e che provoca sbalzi pressori continui. Si tratta di una differenza notevole tra la pressione del sangue che arriva al cervello e quella del sangue che lo lascia e che viene alterata da attività locomotorie intense. I cavalli gestiscono questi sbalzi inspirando ed espirando, ma le balene, quando si immergono e nuotano, trattengono il respiro: perché dunque, non potendo utilizzare il sistema respiratorio per arginare gli sbalzi pressori e però sperimentando una forte pressione in maniera continua, riescono comunque a evitare danni cerebrali a lungo termine? La soluzione evolutiva viene da una complessa rete di vasi sanguigni (retia) che utilizza un meccanismo di trasferimento di pulsazioni per assicurare che la differenza pressoria nel cervello dei cetacei durante il movimento sia pressoché assente.
Un modello sviluppato dagli scienziati che però, per essere testato, si scontra con questioni ostative legate non solo a elementi pratici, ma anche di natura bioetica, perché equivarrebbe a installare una sonda in esemplari viventi.
E per una volta ancora, le balene ci raccontano una storia di estrema intelligenza psico-fisica e di altrettanto fitto mistero: creature interessanti da molteplici punti di vista e allo stesso tempo essenzialmente inaccessibili, gli animali più grandi del pianeta ancora custodiscono segreti affascinanti che riguardano le basi della biologia: comprendere per esempio come il torace risponda alla pressione dell’acqua in profondità e come i polmoni influenzino la pressione vascolare sarà probabilmente uno dei prossimi passi da compiere, passo che per ora e per gli strumenti a nostra disposizione rimane tecnicamente ed eticamente impensabile. Un’altra lezione di misura e posizione che ci viene dai grandi cetacei, improvvisamente così fragili spiaggiati sulle coste della terraferma eppure così infiniti e solidi nelle profondità dell’oceano.
Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.