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Baghdad, gli sciiti sono pronti a difendersi
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Sadr City (Baghdad) – Il potente religioso sciita, uno degli uomini più temuti dell’Iraq è tornato. Niente toni concilianti per trovare una soluzione politica alla crisi irachena ma minacce. Moqtada al-Sadr alza il livello del conflitto settario e in una conferenza, circondato da fedelissimi, minaccia: “scuoteremo la terra” sotto ai piedi dell’avanzata sunnita sulla capitale. Da tre settimane giovani e vecchi della milizia Mahdi army sono tornati attivi. Nuove reclute, per la maggior parte adolescenti, ai quali i miliziani insegnano come marciare e pulire le armi. I veterani dell’insorgenza contro i militari statunitensi sono tornati ad arruolarsi e ad arruolare. Questa volta il nemico da combattere non è un esercito straniero ma interno.
Moqtada al-Sadr è uno dei nomi più temuti in Iraq e oggi è tornato a guidare la potente milizia. I suoi fedelissimi, richiamati alle armi anche dalla massima autorità sciita dell’Iraq, l’Ayatollah al- Sistani, sono migliaia di giovani pronti a morire. Oggi, anche un po’ per scrollarsi di dosso l’infamia del passato, le brigate del Mahdi si sono trasformate nelle “Brigate di pace”. Nome che suona ironico quando si vedono decine di giovani sfilare con cinture esplosive avvolte attorno al corpo. Del resto cambia il nome ma non l’ideologia e la regia di chi li guida. Un “brand” che vede alla regia lo stesso clero sciita iracheno che inflisse agli americani migliaia di morti e fu a sua volta accusato di migliaia di esecuzioni contro i sunniti del paese. Il cuore pulsante dei miliziani è a Sadr City, un desolato e povero quartiere a Nord-Est della Capitale. Un quartiere che gli americani avevano occupato nel 2008 per cercare di frenare le violenze, senza riuscirci. Negli anni è stato lentamente ricostruito ma rimane comunque una fogna a cielo aperto, contenitore di oltre 2 milioni di persone, tutti sciiti. Si stima che solo qui siano circa 20mila i sadristi pronti ad impugnare le armi.
Sadr City è solo uno dei quartieri che il governo ha dato “in appalto” alle milizie. Mentre la macchina su cui viaggiamo approccia un check point poco dopo il monumento che ricorda la guerra tra Iraq e Iran, un SUV della Polizia viene fatto tornare indietro. A controllare il check point sono fedelissimi del Mahdi, le brigate della pace. Ci sono anche giovani soldati dell’Esercito iracheno ma non fanno altro che sedere su uno sgabello a guardare le auto sfilargli davanti. La situazione rimane pericolosa. Il rischio oggi, oltre che di un Iraq fuori controllo, è che si riaccendano i rancori della guerra civile che ha insanguinato il Paese tra il 2006 e il 2008, e che le vendette con esecuzioni di rivali torni ad essere una normalità.
Abu Ali è un miliziano che ha accettato di portarci a casa sua per una intervista. Ha combattuto gli americani e mostra fiero le foto di quegli anni. Nel 2010 era diventato un “riservista” della milizia. Oggi ha chiuso il suo negozio di alimentari ed è tornato alle armi. Sul cancello di casa sua c’è un murales che raffigura i due Imam più importanti per gli sciiti, Hussein e Ali. “Non ho smesso di lavorare”, dice fiero della sua appartenenza alle “brigate di pace” Abu Ali, “il mio negozio è aperto. Ma se qualcosa succede, se i nostri comandanti ci chiamano, sono pronto a sacrificarmi per il mio Paese”. Secondo Abu Ali in Iraq non c’è nessun conflitto settario in atto “i problemi – secondo lui – non sono con i sunniti del Paese ma con i terroristi venuti da fuori a distruggere l’Iraq”. La teoria del complotto prende forma nuovamente. Non ammette che i sunniti siano in rivolta neppure quando gli faccio presente che se ci fossero solo 3-4 mila stranieri a combattere, i 50mila soldati di stanza nella provincia di Anbar sarebbero oggi in controllo del territorio.
Oggi lo scenario è più complesso che mai. Tutti sono coinvolti in Iraq. Gli americani hanno mandato super advisor, gli iraniani lo stesso, che allo stesso tempo addestrano e fornisco armi e soldi alle milizie, molte delle quali coinvolte in Siria e che negli ultimi tempi hanno fatto rientrare i propri combattenti. Una di queste milizie è Asaib Ahl al-Haq, finanziata e armata direttamente dall’Iran, in guerra con i colleghi del Mahdi army o brigata di pace e oggi, insieme alla Katiba Hezbollah, una delle più attive nei combattimenti.
A differenza dell’Esercito del Mahdi, i cui leader giurano che impugneranno le armi solo se l’ISIL attaccherà Baghdad o città sacre come Najaf, Kerbela o Samarra, la milizia Asaib Ahl al-Haq, una delle milizie sciite più spietate, è al fronte a combattere fianco a fianco con l’esercito. Jawad, il portavoce ci riceve nel suo ufficio di Karrada, nel centro di Baghdad, in un fortino sorvegliato da miliziani e videocamere. L’incontro avviene in una stanza del compound, decorata con divani verdi e quadri dell’Imam Hussein ed Ali. Come pensa che i sunniti possano appoggiare il governo di Maliki ed il suo esercito se le milizie sciite guidano le operazioni militari sui maggiori fronti (Tikrit, Fallujah, Ramadi, etc)? “Siamo soltanto una seconda linea” dice quasi seccato. “Non siamo al fronte per sostituire l’Esercito o in competizione con esso. Diamo soltanto il nostro supporto quando ce lo chiedono”. Faccio notare che sono appena tornato da un pattugliamento nella zona di Abu Ghraib e prima del fronte ci sono almeno sei check point gestiti dalla sua milizia, senza la minima presenza dell’Esercito. Jawad cerca di correggere il tiro e parla di back up dell’Esercito. “Stiamo li perché l’Esercito iracheno non ha sufficienti mezzi e munizioni per affrontare il nemico. Ma – assicura – il giorno che l’Esercito sarà sufficientemente armato e preparato per gestire la situazione noi ci ritireremo alla nostra vita civile”. Chiedo quale sia il ruolo dell’Iran nella milizia Asaib Ahl al-Haq e la risposta è breve e scocciata: “ci forniscono armi e consigli”, di più non posso dire. Ci salutiamo. Provo a chiedere una analisi off-record sul coinvolgimento iraniano nel conflitto ma Jawal volta le spalle e se ne va, mentre i suoi miliziani ci accompagnano fuori ai 50 gradi di Baghdad.
Per capire la matassa in cui si trova l’Iraq oggi basta pensare che gli americani, nemici degli iraniani, hanno inviato advisors al governo per riorganizzare l’Esercito. Che però, sul campo, combatte con i miliziani addestrati, armati e finanziati dall’Iran, che a sua volta ha personale a Baghdad. Ma parlare di milizie non fa piacere al governo e quindi ha deciso di vietare ai media, almeno quelli iracheni, di parlarne. Si può soltanto esaltare le gesta eroiche e le imprese militari dell’Esercito. Che per adesso devono ancora arrivare. (2 – continua)