Assemblea Generale Onu: tensioni e speranze di pace

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Echi di democrazia e un susseguirsi di richiami alla pace e alla fratellanza dei popoli sono provenuti questa settimana dal Palazzo di Vetro di New York. Con l’avvio dei lavori della 67sima sessione dell’Assemblea Generale, il più alto scranno dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (Onu) ha offerto lo scenario ai 193 Stati membri per consentir loro di esprimere le proprie linee di politica globale. In questo “strano" consesso in cui grandi potenze e minuscoli Stati hanno pari diritto di parola e di voto, in un apparente esercizio di forzata democrazia, ci si è confrontati con i problemi più incalzanti del panorama mondiale e con il ruolo da attribuire al forum, dando particolare attenzione agli attori principali dello scacchiere internazionale e alle crisi aperte o che paiono imminenti. Nonostante le frequenti “insofferenze” agli interventi dell’Onu, la comunità internazionale sembra rinnovare l’impegno prioritario dell’Organizzazione a depotenziare e dirimere i conflitti, sancito al momento della sua nascita con l’obiettivo di “salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all'umanità”.

Una “diffusa percezione di insicurezza, ingiustizia, ineguaglianza e intolleranza” ha indotto il Segretario Generale dell’Onu Ban Ki-moon ad aprire la sessione con un monito di allarme in direzione dell’intera “famiglia umana” e con il forte incoraggiamento ai leader mondiali a dare concrete soluzioni ai problemi che attanagliano i popoli. Lo sviluppo sostenibile, la costruzione di un più efficace sistema di sicurezza collettiva, il sostegno ai Paesi in transizione, il rafforzamento dei diritti delle donne sono state indicate quali principali questioni insolute cui l’Assemblea Generale è chiamata a dare risposte urgenti. Non sfugge che si tratti di problemi ampi e la cui soluzione appare di lungo periodo, e che il mite diplomatico sudcoreano abbia evitato intenzionalmente di entrare nel dettaglio delle crisi più acute (e controverse) attraversate dal comunità internazionale.

È stato il Presidente Obama a riportare l’attenzione sulle conflittualità correnti. Lo statunitense, nel pieno della corsa per le elezioni del prossimo novembre e premio Nobel della pace nel 2009 (riconoscimento conferitogli più grazie ai discorsi che ai fatti concreti), ha fatto più volte ricorso nel suo intervento al termine “hope”, speranza, parola-chiave della sua prima campagna elettorale. Speranza di una transizione verso la democrazia dei Paesi investiti dal moto di rinnovamento della “Primavera araba”, speranza di pace in Siria, speranza di dialogo fra comunità religiose dopo i recenti violenti episodi di antiamericanismo diffusisi a macchia d’olio in tutto il mondo arabo e che, fra l’altro, sono costati la vita all’ambasciatore statunitense in Libia, Chris Stevens.

Speranza parzialmente contraddetta dai toni ben più aspri di altri interventi. Il reciproco lancio di accuse tra il Presidente dell’Iran Ahmadinejad e il Primo ministro dello Stato di Israele, Benjamin Netanyahu sul discusso programma nucleare iraniano ha rinnovato il timore di un effettivo rischio di conflitto nucleare nella martoriata area mediorientale. Difficile inoltre dare eccesivo credito alla serenità ostentata dai governi nati dalla “Primavera araba”, quando paiono evidenti le loro difficoltà nel gestire le istanze di democrazia delle popolazioni; come tanto più tragica si presenta la sorte di quei Paesi la cui evoluzione politica è ancora incerta, quali Siria e Yemen.

Da 67 anni la sessione di apertura dell’Assemblea Generale dell’Onu si propone come un efficace forum di dialogo per l’intera comunità internazionale. Il rischio che si presti a una spettacolarizzazione mediatica o a un puro esercizio di retorica è reale. Ciò non deve però offuscare la straordinaria importanza di una condivisione mondiale di un insieme di valori, sanciti dallo Statuto dell’Organizzazione, primo fra tutti l’invito ai governi del mondo a preferire la linea del dialogo a quella della forza. Un’esortazione e un monito al contempo.

Miriam Rossi

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