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Arriva sui fondali degli oceani l’ingordigia dell’uomo e della finanza
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Foto: Unsplash.com
Di quello che succede sott’acqua, di come sono fatte le profondità degli oceani, delle forme di vita che abitano a migliaia di metri sotto la superficie, l’umanità sa eccezionalmente poco. Sotto certi aspetti, meno di quanto sappia di pianeti distanti milioni di chilometri.
Chi decide sui fondali marini?
Ancora in gran parte ignota è, ad esempio, la morfologia dei fondali degli oceani, che in diversi punti superano i settemila metri di profondità. Proprio sui fondali degli oceani si sta in questi giorni giocando una partita importante: a Kingston, in Giamaica, si riuniscono il Consiglio e l’Assemblea dell’Autorità internazionale dei fondali marini (nota anche con l’acronimo inglese ISA), un’organizzazione internazionale attraverso cui 168 Stati e l’Unione europea organizzano e controllano le attività legate alle risorse minerarie nell’alto mare (il cosiddetto deep sea mining), cioè le acque che distano più di 200 miglia dalle coste. Complessivamente, l’area sulla quale ha autorità l’ISA corrisponde a circa il 54% della superficie mondiale degli oceani. Che cosa si sta decidendo a Kingston? Secondo quanto annunciato dalla stessa ISA, l’attenzione principale sarà rivolta all’avanzamento dei negoziati sulla bozza di regolamento per lo sfruttamento delle risorse minerarie, con l’obiettivo di arrivare alla cosiddetta prima lettura del testo, il primo passo formale per giungere a una normativa.
A caccia di risorse minerarie
Quali risorse minerarie? I minerali presenti nei fondali marini più interessanti sotto il profilo commerciale sono quattro: manganese, rame, cobalto e nichel, quattro dei sei minerali “chiave” (così viene definita dalla Bce in un recente articolo tradotto e pubblicato anche sul sito del Senato italiano) per la transizione verde. Nel testo, si definisce “di vitale importanza” la capacità di assicurare la fornitura di questi “minerali verdi”, la cui estrazione è oggi “concentrata principalmente nelle economie di mercato emergenti e in via di sviluppo del Sud America e dell’Africa”. Sempre secondo l’articolo pubblicato sul blog della Bce, “alcuni Paesi ricchi di minerali stanno cercando di formare cartelli, anche se finora senza successo” e “dal punto di vista geopolitico, la Cina sembra attualmente essere in una posizione migliore rispetto all’Ue e agli Stati Uniti per quanto riguarda l’approvvigionamento di minerali critici”.
Nel testo, si sottolinea che “la domanda di questi minerali quasi quadruplicherà entro il 2040, se la transizione avverrà in conformità con l’Accordo di Parigi”, ma si fa anche presente che “la ricerca sui materiali sostitutivi per le tecnologie verdi sta dando i primi risultati promettenti e potrebbe ridurre la domanda futura di minerali critici”. Proprio su questo punto insiste The Ocean Foundation, la fondazione comunitaria nata negli Stati Uniti la cui missione è “migliorare la salute globale degli oceani, la resilienza climatica e l’economia blu”.
Nel rapporto del 2024 intitolato Deep sea mining isn’t worth the risk (letteralmente L’estrazione mineraria in alto mare non vale il rischio), sostiene che la progettazione delle innovazioni legate alla transizione ecologica “si sta allontanando dai minerali presenti sui fondali marini, in particolare dal cobalto, anche per quanto riguarda le batterie” dei veicoli elettrici, e che è verosimile stimare una riduzione della domanda di “cobalto, nichel e manganese del 40-50% tra il 2022 e il 2050”...






