Approvata con la fiducia la manovra finanziaria: un’analisi voce per voce

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Ieri la manovra correttiva dei conti pubblici (qui il testo in .pdf) è stata approvata con voto di fiducia nell'aula della Camera (316 favorevoli e 302 contrari). Il testo verrà sottoposto ora al Presidente della Repubblica e - se firmato - verrà pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale per diventare legge. La manovra è stata ampiamente criticata da numerose associazioni della società civile alle quali abbiamo dato spazio su Unimondo. “Infine siamo arrivati a una stangata da 55 miliardi. Una manovra vendicativa e recessiva, che rischia di non bastare” – scrive Roberto Romano in un’ampia e dettagliata analisi pubblicata su Sbilanciamoci.info che proponiamo ai lettori per un approfondimento.

 

La manovra-mostro, voce per voce

Infine, siamo arrivati a una stangata da 55 miliardi. Una manovra vendicativa e recessiva, che rischia di non bastare. Una mappa per orientarsi, e i documenti del governo

1. Vincoli macroeconomici dell’Italia

2. Impatto fiscale delle misure finanziarie

3. Misure irrilevanti dal lato finanziario, ma pesantissime dal lato sociale

4. Privatizzazione delle municipalizzate

5. Emendamento al decreto legge di agosto

 

1. Vincoli macroeconomici dell’Italia

Quando analizziamo la crisi economica internazionale, e quella italiana in particolare, tendiamo a neutralizzare le differenze. Più o meno la denuncia tipo è: la crisi economica e sociale dell’Italia è imputabile alle politiche restrittive europee, che puntano alla riduzione dello stato sociale, dei salari e in generale dell’intervento pubblico.

Questa generalizzazione non solo è sbagliata, ma impedisce la ricerca di soluzioni adeguate alla particolare crisi italiana. Infatti, la crisi economica italiana è molto diversa da quella media europea. Per questo occorre un’azione straordinaria, cioè un progetto di transizione.

Mettiamo in fila alcuni s-nodi che occorre non dimenticare se si vogliono adottare dei provvedimenti coerenti per la crescita e lo sviluppo del paese:

  • l’Italia cresce meno della media dei paesi europei da oltre 15 anni, con un cumulato di minore crescita del pil pari a oltre 150 mld;
  • gli investimenti delle imprese italiane sono del 50% meno produttivi delle imprese europee;
  • il salario medio italiano è significativamente più basso della media europea (area euro), ma nel contempo il costo del lavoro, che è un indicatore di prezzo e non di competitività, è in forte crescita;
  • la produzione ad alto contenuto tecnologico delle imprese italiane è più bassa del 75% di quella media delle imprese europee;
  • la spesa pubblica italiana primaria è la più bassa tra tutti i paesi europei.

Molti sostengono che un aumento della domanda potrebbe risolvere una parte dei problemi del paese, ma la domanda è fatta da consumi e investimenti. Qual è la domanda che si vuole sostenere? Questo snodo non è irrilevante, e condiziona le proposte di tutte le politiche di crescita e di sviluppo.

È bene ricordare che la domanda di consumi italiani, come per la maggior parte dei paesi a capitalismo maturo, non è una domanda in espansione, ma di sostituzione. Difficile credere che un aumento del reddito possa determinare una crescita del pil. Semmai il problema dei salari e dei redditi deve essere collocato dentro uno scenario più ampio di politica economica e di giustizia-diritti presi sul serio (Einaudi). L’aumento della domanda dal lato dei consumi ben poco può fare per la crescita del paese, mentre può fare molto per il benessere dei lavoratori e dei cittadini. Si tratta, insomma, di redistribuire il reddito disponibile in percentuali diverse da quelle attuali. Per traguardare una situazione almeno pari a quella del 1995, occorre ri-allocare 50 mld di euro. Questo è un obiettivo sociale, non un obiettivo per la crescita economica.

Per la crescita economica sono molto più importanti gli investimenti e l’innovazione, ma qui iniziano i problemi più gravi. Se gli investimenti italiani sono del 50% meno produttivi di quelli europei, la crescita del pil legata agli investimenti è esattamente pari alla metà di quella europea, senza contare il più basso effetto moltiplicatore keynesiano implicito. L’esito non deve sorprendere. Infatti, tutta la componente ad alta tecnologia, anche quella legata alle tecnologie per la produzione di energia rinnovabile, è sostanzialmente importata. Stante l’attuale specializzazione produttiva del paese, la domanda di investimenti delle imprese italiane è soddisfatta via importazioni. L’esempio più eclatante è quello dei pannelli solari: su 100 pannelli installati, 98 sono importati, 1 è prodotto da una impresa estera in Italia e 1 è realizzato da una impresa italiana. La stessa cosa si può dire per molti dei beni e servizi ad alto contenuto tecnologico, dalla cura, all’ambiente e via discorrendo.

Ma a livello europeo e internazionale sono proprio gli investimenti nella green economy e nell’alta tecnologia a crescere in misura doppia rispetto agli investimenti per la produzione “meccanica”. Il difetto dell’Italia è proprio quello di avere una struttura produttiva del tutto inadeguata per affrontare i settori emergenti. Quindi occorre un intervento diretto per modificare la struttura dell’offerta dei beni e servizi del paese. Si potrebbe intanto differenziare gli stimoli pubblici agli investimenti. Per esempio, gli stimoli pubblici potrebbero essere concessi solo per i progetti ad alto contenuto tecnologico generati dalle imprese, cioè non importati dall’estero, meglio ancora se la cassa depositi e prestiti industrializzasse la ricerca e sviluppo pubblica.

Una via difficile, ma occorre molta attenzione nelle proposte per uscire dalla crisi. La domanda è un insieme complesso di attività, di cui quella da consumo è la meno rilevante. Il paese esce dalla crisi se “rompe” il vincolo di struttura produttiva, che vale una minore crescita del pil rispetto all’Europa per oltre 150 mld di euro. Questa è l’unica via per aumentare i salari, creare le condizioni per un lavoro buono dei giovani, agganciare il nuovo paradigma tecnologico e crescere quanto fanno altri paesi.

Continua a leggere l'analisi sul sito Sbilanciamoci.info

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