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Angelo Branduardi: no agli F35, sì al Servizio civile nazionale
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La partenza di un nuovo tour è l’occasione per incontrare Angelo Branduardi, uno dei musicisti italiani più noti anche all’estero grazie a uno stile assolutamente unico che ha fatto scuola, rimanendo sulla breccia da ormai quarant’anni. Il menestrello col violino è un personaggio che ha il pregio di parlare chiaro, senza falsa modestia né peli sulla lingua, spaziando a 360 gradi su musica, impegno, servizio civile, disabilità e industria discografica in crisi.
Non tutti sanno che l’autore di album come “Alla fiera dell’est” e “La pulce d’acqua” è stato nel 1967 tra i soci fondatori del servizio civile internazionale, come da lui sottolineato in occasione dell’incontro coi ragazzi di Es.Ser.Ci (acronimo per Esperienze di servizio civile). “Un’esperienza durata quasi due anni e a tratti anche molto dura, come per esempio nei tre mesi all’interno del manicomio di Canterbury. Non posso dimenticare il periodo passato a Praga, dove mi occupavo di costruire piscine sui monti Tatra, e per non farmi mancare nulla sono stato pure arrestato. La colpa stava nell’aver portato da mangiare ad alcuni personaggi invisi al governo, espiata con una decina di giorni di carcere”.
In uno degli incontri tenuti in una scuola superiore di Trento, alle domande dei ragazzi, preoccupati dal timore che a partire dal 2013 il servizio civile potrebbe essere sospeso, Branduardi risponde con estrema onestà: “Il servizio civile sarà sempre penalizzato rispetto alle risorse destinate alla difesa militare. Il recente acquisto di alcuni cacciabombardieri da parte del governo, per una spesa di oltre venti miliardi di euro, rientra in una politica di diplomazia internazionale che negli ultimi anni ha visto l’Italia in profonda crisi. Io sono assolutamente solidale con la vostra raccolta firme anche perché non chiedete la luna e l’iniziativa è sacrosanta, ma bisogna essere consapevoli delle logiche alla base di certe decisioni”.
Non può mancare la domanda sul rapporto tra musica e impegno, sulla quale un’artista come Branduardi non si fa certo trovare impreparato. “Negli anni ’70 ho fatto un’intera tournèe europea a favore dell’Unicef, destinando parte degli incassi e dei proventi del disco. Non mi piace sbandierare la solidarietà ma piuttosto agire per le cause in cui credo. La musica è una potente forma di terapia ed espressività ma non potrà salvare il mondo: credo piuttosto possa servire come miccia alla bomba. Credo invece che la musica come strumento universale per unire i popoli sia una grande balla: se avessi suonato nell’Iran di Khomeini un qualsiasi talebano avrebbe potuto spararmi perché la musica è considerata un insulto alla religione”.
Alcuni ragazzi disabili di una cooperativa sociale si fanno avanti per chiedere se handicap e arte possono coesistere. “Ho lavorato con una comunità di Carpi – risponde Branduardi – con cui ho allestito uno spettacolo basato su “Pierino e il lupo” e in quell’occasione ho conosciuto due pittori bravissimi, di cui uno è anche quotato all’estero. Quando c’è il talento la disabilità non è affatto un ostacolo, anzi credo che noi musicisti siamo un po’ dei diversi, magari borderline di lusso, a partire dal sottoscritto”.
Interessante il dibattito che segue alla domanda su quanto spazio ci sia al giorno d’oggi per emergere nel mondo della musica. “Quando negli anni ’70 ho cominciato a scrivere musica mia e l’ho proposta al discografico dell’epoca mi ha risposto: hai cinque anni di tempo, col primo disco ci rimettiamo, col secondo andiamo in pari e col terzo cominciamo a guadagnare. Oggi invece ti danno cinque minuti di tempo e se non sfondi subito vai a casa. Onestamente al di fuori della classica non vorrei mai essere un debuttante al giorno d’oggi, costretto a passare per baracconate televisive come i reality show. Del resto esistono precisi motivi storici per cui la musica in Italia è rimasta indietro di cent’anni: ha espresso il suo massimo fulgore nel rinascimento e nel tardo barocco, saltando completamente il romanticismo”. In una carriera lunga ormai quarant’anni il menestrello col violino ha avuto i suoi alti e bassi, ma non ha mai smesso di innovare e andare alla ricerca di stimoli musicali sempre nuovi. “Occorre essere capricciosi in questo mestiere, a me è sempre piaciuto dividere il pubblico: ho un individualismo fin troppo sfrenato che mi spinge al rischio. Del resto se non tocchi il fondo e inizi a raschiare non puoi mai risalire. Non penso che andrò mai in pensione, credo che il mio destino sia quello di schiattare sul palco!”.