Amo il diritto internazionale però…

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Foto: Pexels

Amo il diritto internazionale e penso di non essere la sola. L’idea che esistano regole mondiali alle quali tutti gli Stati debbano sottostare, per garantire l’incolumità e il benessere dei loro cittadini, mi riempie di soddisfazione per lo sforzo politico che la sottoscrizione di tali norme ha presupposto, non di rado a seguito di un trauma bellico dalle devastazioni territoriali e umane inimmaginabili. 

Eppure non esiste una disciplina giuridica più disattesa. “Profeti sognatori” quei professori che insegnano diritto internazionale. “Illusi buonisti” quegli attivisti delle organizzazioni multilaterali che applicano quelle norme. “Banditori al vento” quei giudici che tentano di far rispettare le disposizioni dei trattati internazionali. Quando la guerra è stata messa al bando come modalità di risoluzione dei conflitti, con la creazione nel 1945 dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, è venuto meno lo strumento intimidatorio finale per l’applicazione delle stesse sanzioni. Come dire? Non posso importi il rispetto delle norme di diritto internazionale se gli unici strumenti a disposizione sono sanzioni politiche ed economiche. Anche il recente riconoscimento della pace quale diritto fondamentale dell’umanità non ha fornito strumenti coercitivi per indurne il rispetto attivo.

Ecco che allora i recenti conflitti in Siria, Yemen e da qualche settimana Ucraina trovano spazio in un sistema delle relazioni internazionali regolato da norme inefficaci, che rimangono per di più sulla carta, con buona pace della “risoluzione delle controversie internazionali con mezzi pacifici” (art. 2.3 Carta ONU) e della “astensione degli Stati membri nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza” (art. 2.4 Carta ONU). La condanna all’invasione russa dell’Ucraina sancita dall’Assemblea Generale dell’ONU il 2 marzo con 141 voti a favore, 5 contrari (Russia, Siria, Bielorussia, Eritrea e Corea del Nord) e 35 astenuti sembra isolare la Russia e lo scellerato intervento della sua governance. La presa di posizione importante della comunità internazionale, tutta a favore del governo di Kiev, ha indotto l’Assemblea Generale ad adottare un’altra risoluzione votata il 24 marzo scorso sulle “Conseguenze umanitarie dell’aggressione contro l’Ucraina” che chiede “l’immediata cessazione delle ostilità da parte della Russia, in particolare di eventuali attacchi contro civili”, l’accesso umanitario e la protezione dei civili, del personale medico, dei giornalisti e degli operatori umanitari. Ossia gli Stati membri dell’ONU chiedono il rispetto di norme fondamentali del cosiddetto diritto umanitarioAnche il Consiglio d’Europa ha agito contro Mosca, prima sospendendo temporaneamente la Russia dall’organizzazione multilaterale, poi decretandone l’espulsione lo scorso 16 marzo. Il G8 non ha potuto far nulla in tal senso in quanto Mosca era già sospesa dal gruppo dopo l’annessione russa della Crimea nel 2014.

Se gli organi politici si sono mossi con una certa celerità, anche quelli giudiziari hanno dato prova di efficienza: dinanzi alla richiesta di 41 Stati di condanna dell’invasione russa, il 2 marzo la Corte Penale Internazionale ha aperto una inchiesta, di cui chiaramente è ancora presto per valutare gli sviluppi. Anche la Corte Internazionale di Giustizia ha dato ragione all’Ucraina (con 13 voti a due) ricordando che non si può usare la forza all’interno del territorio di un altro Stato sovrano e disponendo l’ordine per la Russia di sospendere le operazioni militari in Ucraina. Come prevedibile, la sentenza è stata del tutto disattesa e il deferimento del caso al Consiglio di Sicurezza, come previsto dalla normativa in caso di inadempienza delle sentenze, è stato comprensivamente bloccato dal veto di Mosca. Ci troviamo quindi in un loop che rende del tutto inefficace il sistema: l’organo incaricato dell’implementazione delle disposizioni giudiziarie è lo stesso nel quale un solo Stato (con diritto di veto) può minare il raggiungimento di una decisione. 

Non è così che l’applicazione del diritto internazionale può funzionare. Se il noto costituzionalista Sabino Cassese, dalle pagine del Corriere della Sera della settimana scorsa, invoca la condivisibile necessità di “ristabilire un equilibrio tra sovranità nazionale e sovranità della comunità internazionale”, ci si domanda come procedere operativamente in tal senso. Tutti i tentativi finora esperiti di modificare le attribuzioni di potere agli Stati vincitori della seconda guerra mondiale non sono stati coronati da successo, in particolare proprio la riforma del Consiglio di Sicurezza dell’Organizzazione delle Nazioni Unite posto a salvaguardia della pace e della sicurezza internazionali. È il Consiglio di Sicurezza, infatti, a decidere come intervenire in caso di conflitto armato ma come farlo correttamente se gli scanni permanenti sono in mano, con diritto di veto, a solo 5 Paesi al mondo, che peraltro nel III millennio non corrispondono più alle potenze egemoni delle relazioni internazionali? Sarà forse l’ennesima guerra a modificare tale stallo? Questa guerra?

Miriam Rossi

Miriam Rossi (Viterbo, 1981). Dottoressa di ricerca in Storia delle Relazioni e delle Organizzazioni Internazionali, è esperta di diritti umani, ONU e politica internazionale. Dopo 10 anni nel mondo della ricerca e altrettanti nel settore della cooperazione internazionale (e aver imparato a fare formazione, progettazione e comunicazione), attualmente opera all'interno dell'Università degli studi di Trento per il più ampio trasferimento della conoscenza e del sapere scientifico.

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