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Alla WSA 8 donne per un'altra Africa
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Nella conferenza "L'altr'Africa: il G8 al femminile" sono intervenute otto donne che hanno raccontato l'Africa con gli occhi di chi non si arrende e vuole cambiare. A coordinare i lavori Elisa Kidanè, missionaria comboniana e redattrice della rivista Raggio. A seguire sono intervenute le sette invitate speciali.
Maria De Lourdes Jesus, giornalista di Capo Verde, già conduttrice di "Non solo nero", rubrica storica di Rai Due sull'immigrazione e attualmente conduttrice di "Permesso di soggiorno", trasmissione del mattino su Rai Uno
"Non ho mai visto tante iniziative sull'Africa in Italia come in questi mesi. Dalla mostra sull'arte africana a Torino, con incontri dibattiti e concerti con i nomi più importanti, al festival del cinema africano di Milano e Firenze dove donne africane hanno parlato sull'infibulazione. A Roma, il sindaco insieme alle Ong ha lanciato con "Italia-Africa" una sfida per il continente africano, un iniziativa grandiosa perché è riuscita a coinvolgere l'opinione pubblica e giornalisti conclusa con una manifestazione e concerto con interventi importanti tra cui il presidente del Mozambico.
Interventi come questi sono importantissimi per riuscire a cambiare stereotipi e mentalità che incidono fortemente sulle nostre relazioni. Non contestiamo il fatto che si parli del dramma della realtà di molte situazioni di disperazione in Africa, ma il fatto che si rappresenti solamente questo in maniera irrispettosa, mistificata e senza alcun rispetto per le persone, per il dolore, la privacy".
"E i piccoli e grandi progressi? I sacrifici che le donne e gli uomini stanno portando avanti? Non ci sono persone che stanno ad aspettare a braccia tese gli aiuti, che non sono neanche tali in quanto sono semplicimente la restituzione parziale di quello che c'è stato tolto e rubato. C'è anzi una relazione molto forte tra voglia, speranza e entusiasmo - molti giovani si stanno associando, formando organizzazioni. Per il primo voto veramente libero in Sudafrica c'è stata una grande festa ma le televisioni occidentali hanno totalmente ignorato l'evento, evitantato perché notizia positiva e quindi non fa audience. Le donne sono presenti, partecipano allo sviluppo e all'economia dei nostri paesi. Le donne che in Africa hanno studiato e si sono fatte strada occupano più posti di potere al punto che oggi mi sento più rappresentata lì che in un paese come l'Italia, dove pure ci sono molte più donne istruite, ma meno in posti di reale rappresentanza".
Beryl Carby Mutambirwa, originaria dello Zimbabwe è membro della Lega Internazionale delle donne per la pace e la libertà ed è inoltre Direttrice del Dipartimento Educativo dell'UICC, Ginevra, Unione Internazionale Contro il Cancro
"Prima dell'11 settembre 2001, nel 1991e precisamente l'8 settembre si chiuse la prima conferenza sul razzismo. Purtroppo il resto del mondo non si ferma all'11 settembre ma ogni giorno muoiono centinaia di persone in molti paesi per altre "guerre". Ma l'Africa era un paese che prima del rapimento degli schiavi e del colonialismo era culla della cultura, dei commeci, ecc. Dopo le due guerre mondiali, di cui anche l'Africa è stata vittima, non c'è stato un piano di ricostruzione e riparazione come quello Marshall per l'Europa. Negli ultimi 20 anni abbiamo subito il processo di globalizzazione che c'è stato imposto, cono in più la corruzione. Oltre 40 milioni di persone sono state affette da Aids nel mondo (28 milioni sono morte e altre 20 milioni moriranno nei prossimi anni). Le donne sono la spina dorsale dell'Africa e adesso l'Aids prende più le donne degli uomini. Tra i motivi per cui non si riesce a fare sufficiente prevenzione c'è il fatto che l'Africa non è libera di agire indipendentemente per le imposizioni ecomiche e le restrizioni dei piani strutturali che impongo di pagare servizi della salute, dell'educazione. Ci vogliono cambiamenti radicali nelle politiche della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale. Commercio aperto ed equo".
Maria Louise Niwemukobwa, cantante e poetessa del Rwanda che vive dal 1967 in Italia ed è rientrata nel suo paese dal 1994 al 1997. E' fondatrice dell'Associazione Donne Immigrate Solidaires (ASDIS-VE) e responsabile dello sportello donne immigrate della CGIL di Venezia.
"Quando un'amica ha visto che avrei parlato di donne in guerra mi ha chiesto: le donne non vanno in guerra! Di che cosa parlerai? Noi donne quando c'è la guerra appoggiamo i nostri uomini-guerrieri. Nel Rwanda non ci siamo mai date pace. Allora, quando ero giovane, credevo nei ministri. Credevo nella Chiesa che è molto forte nel mio paese. Credevo nei nostri vecchi. Io pensavo che fosse risolvibile la situazione. Ero qui come studentessa con i miei due figli, nel '94 quando c'è stato il genocidio con un milione di persone uccise tra tutsi e hutu moderati. Quando sono scesa a Kigali perché sono voluta ritornare a sentire direttamente e non ho trovato il Rwanda che conoscevo; facevo tantissime domande e non era neanche necessario perché la gente non ascoltava. Ascoltando le donne nei mercati, sedendomi per terra con loro, mi dicevano "è stato satana, è arrivata una cosa così forte che nessuno capisce - e tu non puoi capire, sei troppo europea". Volevo andare a trovare mia suocera in un villaggio - e in uno di questi ho trovato una prigione stipata all'inverosimile di uomini; conoscevo alcuni di questi. Assassini, diceva la guardia e mi ha guardata con odio quando ha detto che li conoscevo. Le mogli che portavano da mangiare ai propri mariti prigionieri, non mi hanno voluto aiutare per trovare il villaggio di mia suocera. Quello che è successo è inspiegabile, perché queste cose cambino, occorre dare una forte educazione di pace".
Aminata Traorè - già ministro della Cultura del Mali dal 1997 al 2000 e tra le massime voci dell'Africa "contro la globalizzazione" con la partecipazione ai World Social Forum di Porto Alegre e di Bombay
"Credo che l'altra africa possibile non potrà aver luogo senza l'Altra Italia possibile, l'altra Europa possibile. I fatti del genocidio del Rwanda sono l'occasione per rivedere le cause di quella lingua di fuoco che ha diviso l'Africa, sono state possibili anche perché i potenti del mondo hanno detto: lasciateli scannare tra di loro, tanto sono tribali.
La globalizzazione neoliberale è un enorme menzogna istituzionale ai danni dei più poveri. E oggi c'è un nuovo razzismo, un neorazzismo che dice che l'Africa da sola non ce la può fare. Il cotone per esempio è stata una imposizione dei colonizzatori e quando ci siamo liberati dei colonizzatori siamo rimasti schiacciati da questa produzione che dipende ancora dai pesi occidentali - per la Nigeria ad esempio è dalla Francia.
La globalizzazione che è la disgregazione dell'economia ha imposto l'esportazione al 90% della monocultura del cotone, sottocosto e senza la possibilità di produrre industrialmente. Se poi dovessero scoppiare rivolte e guerre non diciamo mai che è a causa di queste ingiustizie profonde, ma ci prendiamo in giro dicendo che è per le elezioni o perché siamo tibalisti. Nessuno ha consultato il popolo africano sull'Unione Africana e il Nepad. Ci stanno riproponendo "riforme" neoliberiste rifiutate anche in Europa. Privatizzare tutti i servizi e questo colpisce soprattutto le donne, che devono lavorare il doppio per pagare questi servizi, per i mariti senza lavoro e i figli".
Celine Cossa, tra le fondatrici dell'Unione Generale delle Cooperative, un'organizzazione che comprende più di 200 cooperative, prevalentemente agricole e zootecniche, e coinvolge quasi 6.000 lavoratori, al 95% donne, nella regione di Maputo, la capitale del Mozambico.
"Si tenta di risolvere le conseguenze, non le cause dei problemi che ancora oggi costringono la donna ad una condizione subordianata. Nel 1980 nacque a Maputo la nostra cooperativa per fornire servizi di formazione e aiuti economici per la piccola impresa - da quell'esperienza è nato il movimento cooperativistico composto in gran parte da donne con bassa scolarizzazione ma con la possibilità, attraverso il piccolo commercio di prodotti agricoli. In 20 anni si è potuto veramente sviluppare l'organizzazione e con questa la stabilità e la qualità della vita di queste donne, inclusa l'educazione e i sistemi di salute e maternità".
Souado Lagdaf, rappresenta le donne Saharawi che nel loro esilio hanno dato vita ad una delle esperienze organizzative e di progresso sociale e civile più straordinarie della storia moderna in uno dei deserti più inospitali della terra.
"Il Sahara occidentale è un ex colonia spagnola fino al 1975, quando ha firmato un accordo tra la Spagna e il Marocco e la Mauritania, con la conseguente occupazione del paese a suon di bombardamenti e tanti rifugiati. Una guerra molto sanguinosa, con 160.000 persone fuggite che si trovavano in campi profughi tra cui molti in Algeria. I campi sono stati portati avanti dalle donne e sono state quelle che durante la guerra hanno educato i figli alla pace. Durante l'islamizzazione, la donna Saharawi ha mantenuto l'eredità della tradizione e partecipa alla gestione di quella che viene chiamata la Repubblica Araba Democratica Africana, riconosciuta da 84 paesi. Dal '91 aspettano il referendum per l'autodeterminazione. Ma siccome non costituiamo nessuna minaccia per il mondo, siamo dimenticati e siccome abbiamo conosciuto la guerra, il dolore, non volgiamo protarlo ad altri. Ma questo non significa che dobbiamo essere ignorati".
Fatima Mbaye - nata a Saint Louis in Senegal nel 1959, è arrivata in Italia nel 1990 e risiede a Vicenza dal 1992. È stata socia fondatrice, nel 1998, dell'Associazione Donne Immigrate del Veneto di cui è presidentessa dallo stesso anno di costituzione.
"Obiettivo principale dell'associazione è quello di fornire assistenza e supporto sociale, burocratico e culturale alle donne immigrate. Tra le attività in corso vi è la progettazione di una serie di attività economiche (saloni di estetica, ristoranti etnici, asili nido, e centri ricreativi per bambini) per poter dare direttamente lavoro alle donne immigrate, di cui gran parte tolte dalla strada. Vivere ed abitare nella Regione più ricca d'Europa. Vivere ed abitare nella contraddizione. La donna africana, sempre più presente nelle scuole, associazioni, quartieri, supermercati è ormai di casa. Dopo le battaglie per la cittadinanza è tempo dell'incontro, dell'ospitalità, certi che la diversità sia solo una ricchezza". [AT e JN]