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Aborto: un crimine contro le donne
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Sapana Pradhan-Malla è avvocata presso la Corte suprema a Katmandu. Un'attività messa al servizio delle donne, per i cui diritti si batte da tempo. Perché in Nepal la discriminazione nei confronti delle donne non si cela solo nei costumi tradizionali, ma è scritta nella legge.
Scheda
Nepal
Quadro Generale
Tipo di governo: monarchia costituzionale
Lingua/e parlate: nepali
lingua ufficiale e altri idiomi
Principali gruppi etnici: molti gruppi discendenti da indiani, tibetani e altri migranti
dell'Asia centrale
Religioni: 90% indu, 5% buddisti, 3% musulmani
PIL pro capite: $1000 (1995)
Quadro demografico
Popolazione totale: 22,6 milioni
Popolazione urbana (1995):14%
Tasso crescita popolazione: 2,5%
Diffusione di contraccettivi moderni: 26%
Tasso di natalità: 4,95 figli
per donna in età fertile
Mortalità materna: 1500 decessi ogni 100.000 nati vivi
Mortalità neonatale
(nel primo anno di vita):
82 su 1000 nati vivi
La condizione delle donne
Diritto di voto ottenuto nel 1951
Attuale numero di deputate:
7 su 205 (1° gennaio, 1997)
Popolazione economicamente attiva: 23% donne,
77% uomini
Percentuale donne adulte
nella forza lavoro: 32% donne
Iscritti scuole secondarie:
46% uomini; 23% donne
Speranza di vita: 57,6 anni
gli uomini, 57,1 anni le donne
Percentuale di analfabeti:
59% maschi; 86% femmine
Salario recepito durante il congedo di maternità: 52 giorni retribuiti al 100% ma solo
per i primi due figli
Fonti: Rapporto Unfpa 1997, Unfpa;The World Almanac 1996, World Almanac Books;
La Démocratie Inachevée, 1997, Union Interparlementaire;
Le donne nel mondo 1995 numeri e idee, Onu e Commissione nazionale
per le Pari opportunità (1997).
"Una donna, se non è sposata, non ha il diritto di registrare il proprio figlio all'anagrafe, quindi non può nemmeno trasmettergli la cittadinanza", racconta Pradhan-Malla, "a meno che non sia in grado di provare di non conoscere il padre, o che il padre del bambino sia fuggito dopo averla messa incinta". A meno che, cioè, la gravidanza non sia frutto di uno stupro. E dato che l'aborto è assolutamente vietato, si arriva al paradosso che lo stato obbliga una donna a partorire un bambino che poi questo stesso stato rifiuta di riconoscere perché senza padre.
"Ma è proprio l'aborto uno dei problemi più gravi per le nepalesi", spiega l'avvocata. "In Nepal l'interruzione di gravidanza è illegale e non viene punita con una multa, ma con il carcere. L'accusa però non è "semplicemente" aborto, bensì un reato che comprende aborto, infanticidio e tentativo di infanticidio attraverso l'abbandono del bambino", ed è rubricato sotto il capitolo dell'omicidio.
Spiega Sapana che in Nepal "le donne non hanno abbastanza informazioni sulla salute riproduttiva. Inoltre i servizi sanitari sul territorio sono scarsi e mal distribuiti. Con il risultato che quando una donna capisce di essere incinta e decide di abortire, la gravidanza è ormai già in fase avanzata ed è troppo tardi per recarsi in clinica". Sì, perché anche se illegale "l'aborto viene praticato in moltissime cliniche private. Chi non può raggiungere una clinica finisce per ricorrere alle pratiche tradizionali, con tutti i rischi che queste comportano". Ma se la cosa viene scoperta, la donna può essere trascinata in tribunale con l'accusa di infanticidio.
"A denunciarla può essere il marito stesso, i parenti o in alcuni casi, persone dello stesso villaggio". Il paradosso gravissimo è che finiscono per essere accusate di infanticidio anche le donne che subiscono aborti spontanei, al punto che la metà delle donne attualmente detenute nelle carceri nepalesi è accusata di aborto o infanticidio. L'avvocata fa un esempio: "Tra le mie clienti ho una donna di 25 anni, vedova con 4 figli. Era stata costretta a sposarsi a 13 anni. Dopo la morte del marito ha avuto una relazione con un uomo: è rimasta incinta. Lui le ha promesso di sposarla, e di occuparsi del figlio. Poi ha cambiato idea. Ha detto che non era possibile sposarla e l'ha costretta ad abortire. Con il risultato che il cognato ha poi denunciato la donna che ora è in carcere".
Per Sapana la legge sull'aborto si configura come una violazione legalizzata dei diritti umani delle donne. "Molto spesso si dice infanticidio per dire semplicemente aborto. Noi rifiutiamo decisamente questa definizione", afferma, "perché l'aborto non dipende dalla volontà della donna ma dalla carenza di informazione, di contraccettivi e di strutture sanitarie adeguate. Le donne pagano con la scelta di un aborto tutta una serie di carenze che non dipendono dalla loro volontà".
Esiste poi un ulteriore elemento di discrimine: il denaro. Spiega Sapana: "Una donna ricca può sempre permettersi di andare in una clinica privata, dove viene praticato l'aborto. Se abita nei dintorni delle grandi città può facilmente recarsi a Katmandu o Birgunj, dove esistono cliniche private. Ma per le donne povere delle campagne non vi sono alternative". Una volta arrestate, se sono povere non possono nemmeno permettersi un avvocato. Sapana conferma: "Infatti. La Costituzione prevede che alle persone più disagiate venga messo a disposizione un avvocato d'ufficio. Ma sono pochissimi i tribunali che hanno questo genere di servizio. Negli ultimi tempi si stanno costituendo delle associazioni di avvocate che visitano le donne in carcere e sono disponibili a fornire assistenza gratuita o quasi, alle donne più povere. Ma per molte non esiste alcuna possibilità di difendersi".
Sapana mette in evidenza anche un altro rischio: "La maggior parte delle cliniche private non è fornita di tutte le strutture necessarie per far fronte a casi di emergenza. Per cui è successo che alcune donne sono morte nel corso di un aborto. In questo caso, o nel caso di seri danni alla salute a seguito di un'interruzione di gravidanza, non è possibile alcuna azione legale per ottenere un risarcimento o per far rimuovere il medico, perché le leggi a tutela dei pazienti sono poche e molto vecchie". Il Codice civile nepalese (Muluki Ain) risale al 1963 e da allora è rimasto praticamente invariato.
"Negli ultimi tre, quattro anni sono state fatte diverse proposte per emendare il Codice, in particolare per quanto riguarda l'aborto, per ora inserito nello stesso capitolo che tratta l'omicidio. Ma senza successo. Nel frattempo l'Associazione per la pianificazione familiare", racconta l'avvocata, "ha presentato una legge che va sotto il titolo di "Norme per la tutela della gravidanza", dove si parla anche di aborto, amniocentesi, responsabilità dei medici e che prevede la possibilità di intervenire contro quei mariti che obbligano le mogli ad abortire. È stata inoltre presentata un'altra proposta di legge che consente l'aborto entro le prime 12 settimane alle donne sposate, ed entro le prime 18 settimane alle donne che hanno subito uno stupro o nel caso di seri rischi per la salute della donna".
Restano alla mercé della vecchia legge - che prevede un anno di carcere per l'aborto praticato nei primi 3 mesi di gravidanza, tre nel secondo trimestre e 5 nell'ultimo - le donne "single": cioè vedove, divorziate e giovani non sposate. Che costituiscono una percentuale significativa tra quelle costrette a ricorrere all'aborto, "anche perché l'educazione sessuale nelle scuole è limitata a un cenno nell'ambito del corso sulla "salute", in decima classe (la nostra quinta ginnasio, ndr)". Nel frattempo attraverso la stampa e la tv, e soprattutto il cinema indiano, arrivano nuovi modelli di comportamento che spezzano la rigida barriera fra i sessi che caratterizza la società nepalese. "Perciò, cambiare questa ingiusta legge non basta". È sulla salute riproduttiva nel suo complesso che bisogna lavorare, perché diventi sempre meno necessario abortire.