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Abolire le armi nucleari: un “sogno” necessario per l’umanità
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Il 16 luglio 1945, nel deserto del New Mexico, venne realizzato l’esperimento “Trinity”, cioè lo scoppio controllato della prima bomba nucleare nella storia. Qualche settimana dopo questo esperimento venne replicato: ma questa volta l’obiettivo erano due città giapponesi e i loro ignari abitanti.
Trinity era l’esito finale del cosiddetto “progetto Manhattan”, l’enorme sforzo bellico, scientifico e tecnologico degli Stati Uniti, per arrivare alla bomba almeno un giorno prima dei tedeschi (e dei sovietici). Il progetto, che inizia virtualmente nel dicembre 1942 quando, in un laboratorio di Chicago, Enrico Fermi aveva realizzato la prima reazione nucleare a catena controllata, riesce nel suo terribile intento, quello di avere in mano l’arma più potente della storia. La guerra in Europa però era già finita. La bomba sarebbe dunque rimasta nei depositi militari? No, bisognava provarla. E l’irriducibile Giappone era la vittima predestinata.
Conclusa la seconda guerra mondiale, subito gli Stati Uniti propongono, un po’ per mantenere il monopolio, un po’ perché consci della pericolosità della bomba, un piano per impedire la corsa agli armamenti nucleari. Piano rigettato dall’URSS che nel 1949 compie il suo primo test e nel 1953 ottiene la bomba. Sulla stessa strada si incamminarono Regno Unito (1952), Francia (1960), Cina (1964). Così, tra il 1945 e il 1998, furono sperimentate più di 2000 testate nucleari: deserti, fondali marini, atmosfera, sottosuolo contaminati in varie parte del mondo. Nel frattempo prende piede l’utilizzo dei materiali radioattivi per produrre energia a scopi pacifici: nel 1957 nasce la IAEA, l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica.
Proprio negli anni cinquanta il pericolo di una guerra nucleare era all’ordine del giorno. Nel 1953 gli americani testano, presso l’atollo di Bikini, la bomba all’idrogeno: il fall out successivo porta la contaminazione radioattiva per un raggio di 150 chilometri dal punto dell’esperimento. L’evento suscita sgomento nella comunità scientifica. Due anni dopo, il 9 luglio, viene divulgato il “Manifesto Russell - Einstein”, un documento che non solo avverte dei pericoli della bomba, ma che lancia un profetico appello all’umanità niente meno che per l’abolizione della guerra. Alcuni passaggi sembrano scritti oggi, non 60 anni fa.
“Non parliamo, in questa occasione, come appartenenti a questa o a quella nazione, continente o credo, bensì come esseri umani, membri del genere umano, la cui stessa sopravvivenza è ora in pericolo. (…) Questo dunque è il problema che vi poniamo, un problema grave, terrificante, da cui non si può sfuggire: metteremo fine al genere umano, o l’umanità saprà rinunciare alla guerra? È una scelta con la quale la gente non vuole confrontarsi, poiché abolire la guerra è oltremodo difficile. Abolire la guerra richiede sgradite limitazioni alla sovranità nazionale. Ma forse ciò che maggiormente ci impedisce di comprendere pienamente la situazione è che la parola “umanità” suona vaga e astratta. Gli individui faticano a immaginare che a essere in pericolo sono loro stessi, i loro figli e nipoti e non solo una generica umanità. Faticano a comprendere che per essi stessi e per i loro cari esiste il pericolo immediato di una mortale agonia. E così credono che le guerre potranno continuare a esserci, a patto che vengano vietate le armi moderne. Ma non è che un’illusione. (…) Ci attende, se lo vogliamo, un futuro di continuo progresso in termini di felicità, conoscenza e saggezza. Vogliamo invece scegliere la morte solo perché non siamo capaci di dimenticare le nostre contese? Ci appelliamo, in quanto esseri umani, ad altri esseri umani: ricordate la vostra umanità, e dimenticate il resto.”
Nel 1970 entra finalmente in vigore il Trattato di non proliferazione nucleare, che si basa su alcuni punti: il “diritto” dei cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza di avere armi atomiche; il divieto agli altri Paesi di procurarsi questi armamenti; il diritto degli Stati firmatari di accedere all’energia nucleare per fini pacifici; dare il via a negoziati per un disarmo nucleare.
Si può dire che il Trattato abbia sostanzialmente funzionato benchè altri quattro Stati (Israele, India, Pakistan e Corea del Nord) possono contare sulla tecnologia militare per la bomba. La IAEA riesce a svolgere sostanzialmente il suo compito, dal 1986 a oggi gli ordigni sono diminuiti da 70.000 a 15.700 testate. Un numero comunque insostenibile.
Le campagne globali per l’abolizione delle armi nucleari, in questo luglio così scandito da anniversari, hanno colto l’occasione per rilanciare l’attenzione su un tema che, al pari dei cambiamenti climatici, rischia di compromettere il futuro dell’umanità.
L’accordo sul nucleare iraniano va salutato positivamente, in quanto rappresenta un segnale in controtendenza rispetto agli ultimi avvenimenti seguiti soprattutto al conflitto in Ucraina. La Russia infatti ha annunciato un programma di “ammodernamento” proprio dell’arsenale atomico, visto come segnale non solo per rafforzare la deterrenza, ma pure per far vedere al mondo la ritrovata potenza militare della Federazione. Tuttavia questi proclami sembrano essere retorica, per altro presente anche nei paesi occidentali. Certo che, se davvero l’accordo entrerà in vigore, l’approccio multilaterale voluto da Obama segna un punto a suo favore. Siamo lontani però dai discorsi infuocati che lo stesso presidente americano pronunciava a Praga nel 2009.
Insomma ci sono anche segnali che fanno sperare. Bisogna crederci, perché lo scenario alternativo è l’autodistruzione.
Piergiorgio Cattani

Nato a Trento il 24 maggio 1976. Laureato in Lettere Moderne (1999) e poi in Filosofia e linguaggi della modernità (2005) presso l’Università degli studi di Trento, lavora come giornalista e libero professionista. Scrive su quotidiani e riviste locali e nazionali. Ha iniziato a collaborare con Fondazione Fontana Onlus nel 2010. Dal 2013 al 2020 è stato il direttore del portale Unimondo, un progetto editoriale di Fondazione Fontana. Attivo nel mondo del volontariato, della politica e della cultura è stato presidente di "Futura" e dell’ “Associazione Oscar Romero”. Ha scritto numerosi saggi su tematiche filosofiche, religiose, etiche e politiche ed è autore di libri inerenti ai suoi molti campi di interesse. Ci ha lasciati l'8 novembre 2020.