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Rifugi alpini tra hi-tech e sostenibilità
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C’erano uno volta i rifugi alpini, riparo spartano eppur salvifico per gli alpinisti di tante generazioni, simbolo di un turismo dei tempi passati e manifestazione tangibile di accoglienza. I rifugi di una terra di montagna come il Trentino furono costruiti attorno alla fine dell’Ottocento: erano semplici, anche perché c’era un limite al carico che i muli potevano portare in quota e in fondo, per le condizioni del tempo e del luogo bastavano legno e pietra per costruire un riparo accogliente.
Oggi, tuttavia, i rifugi alpini hanno bisogno di una spolverata: le centinaia di strutture presenti sulle montagne hanno bisogno di qualche intervento per essere mantenute in sicurezza. L’occasione che si pone è quella di ristrutturare questi edifici per mantenerli sicuri e ospitali, ma anche, magari, per ripensarne il ruolo adattandolo ai cambiamenti della nostra società e aggiornando i servizi offerti allo scopo di adeguarli alle nuove forme del turismo di montagna. La questione sta travalicando i confini regionali per raggiunge un’audience nazionale interessata a un dibattito che in realtà riguarda dilemmi molto complessi e profondi, come quelli di come coniugare tradizione e innovazione, passato e futuro. La questione affascina perché riflette convinzioni legate a temi di principio, quali il progresso e l’approccio alla montagna.
La questione più immediata, comunque, riguarda proprio l’interpretazione del ruolo e della natura dei rifugi. La domanda posta da un convegno internazionale sul tema dei “Rifugi in divenire”, tenutosi proprio a Trento tra il 21 e il 23 marzo 2013, è proprio quella su come interpretare il ruolo dei rifugio alpino: “punti d’appoggio a bassa quota per alpinisti, struttura di ospitalità per i turisti della montagna o manufatti incustoditi che ricevono la visita di pochi temerari alpinisti in un anno?”. Di fondo, tuttavia, il problema è ancora più ampio: i rifugi sono espressioni fondamentali di identità e cultura. Per questo, ripensarne il ruolo e le forme significa agire su interpretazioni ampie del concetto di montagna, comunità, società.
Il dibattito è in corso da tempo, ma in seguito al convegno internazionale di cui sopra, la questione si è scaldata parecchio e ha catalizzato l’interesse di buona parte della stampa nazionale. Nel giorno di Pasquetta, sui ruderi di Malga Fosse nelle Dolomiti, molti cittadini si sono riuniti per protestare contro il progresso architettonico basato su strutture ricettive definite “très chic”. Malga Fosse è l’esempio paradigmatico di questo scontro di culture sul tema dell’innovazione in montagna. Per la ristrutturazione del rifugio la Provincia autonoma di Trento ha lanciato un bando al quale hanno preso parte 180 professionisti. La decisione della commissione di premiare un progetto avveniristico ha scatenato le proteste dei puristi, ovvero coloro che ritengono che il rifugio debba limitarsi alla funzione essenziale di luogo di arrivo e di riparo senza fronzoli e rotture con le tradizioni del passato.
Dall’altra parte, i sostenitori dell’innovazione inseguono un’idea di rinnovamento mirato ad aggiornare la funzione del rifugio agli sviluppi della società in cui viviamo. È evidente, tuttavia, che ci sono ruoli diversi di concepire l’innovazione. L’introduzione di materiali hi-tech o addirittura di spazi destinati al wellness vanno incontro a una clientela decisamente diversa da quella da pranzo al sacco. L’idea di costruire strutture avveniristiche staccate dalla montagna come sue protesi snatura il concetto primordiale di rifugio per soddisfare invece i bisogni economici del sistema turistico basato su logiche di sviluppo scarsamente sostenibile.
Eppure vi sono anche concezioni innovative che non tradiscono la dimensione autentica di vivere la montagna. Vi sono progetti di rifugi hi-tech che si inseriscono in una traccia sostenibile, rinnovandosi a livello tecnologico per migliorare l’efficienza delle funzioni basilari e contribuire all’eliminazione dei generatori a gasolio per la produzione di energia pulita e la differenziazione e il riciclo dei rifiuti. Un esempio in questo senso potrebbe essere il Bivacco Gervasutti (sul Monte Bianco) presentato da Greenews.info al Workshop IMAGE 2011.
Queste posizioni sono sostenute anche da chi la montagna la ha vissuta per tanti anni, come Egidio Bonapace, guida alpina, gestore del Segantini in val d’Amola e presidente dell’Accademia della Montagna, che sul giornale locale “Trentino” viene citato cosi: “Avanti con il nuovo. C’è gente che vorrebbe rifornire ancora i rifugi con i muli, facendo finta di non sapere che l’estate dura al massimo tre mesi, mentre i muli mangiano tutto l’anno. E vorrei invitare gli integralisti sostenitori della pietra a tutti i costi a salire in un rifugio con le mura di sassi a inizio stagione, quando ci vogliono una ventina di giorni per abbattere l’umidità”. Allo stesso modo, Annibale Salsa, antropologo, già presidente del Cai, sostiene che “il rifugio non può però essere pensato come una continua ripetizione, occorre innestare sulla tradizione scenari nuovi; si tratta di capire come accettare questa nuova tipologia, evitando gli eccessi e salvaguardando comunque i rifugi storici”.
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